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Predicazione: «pietra angolare» o «pietra d’inciampo»?

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Tempo di lettura: 4 minuti

L’ARTE DI BENE-DIRE

E’ appena uscito nelle librerie il testo “L’arte di Bene-dire. Predicare e annunciare in modo efficace“. Il terzo Quaderno Pastorale della collana curata per Paoline dal Centro Studi. In questo articolo l’autore del testo introduce alcuni dei temi trattati e inquadra le sfide dell’annuncio fornendo alcune utili chiavi di lettura.

Si racconta che un sacerdote, forse a disagio per i testi della liturgia o forse preso da altre priorità, al momento dell’omelia abbia così esordito: «Il Vangelo oggi niente di speciale: dirò qualcosa io».

Una simpatica facezia, ovviamente, che ci aiuta a ricordare come in effetti …. predicare e annunciare il Vangelo non è cosa da poco.

La predicazione – nella forma dell’omelia, della riflessione spirituale o anche dell’esposizione durante l’incontro di catechesi – è sempre più considerata una vera «pietra angolare» e insieme di «inciampo» per le opportunità che esprime e per le criticità che presenta, sia per chi la propone sia per i fedeli in ascolto.

Una valida predicazione e catechesi, lo sappiamo bene, può fare la differenza, soprattutto di questi tempi.

Una serie di sondaggi tra i cattolici statunitensi ha ripetutamente indicato che per due fedeli su tre la qualità della predicazione è un fattore chiave nell’attirare i fedeli verso la loro parrocchia.

Non abbiamo motivo di ritenere che sia diverso tra i fedeli italiani… e nemmeno sul versante dei consacrati e catechisti.

La «scarsa cura nella preparazione dell’omelia e nella presentazione della parola di Dio» è infatti una delle ragioni indicate dal Documento finale (27.X.2018) del Sinodo sui Giovani per spiegare come mai «un numero consistente di giovani non chiede nulla alla Chiesa» ritenendola «non significativa per la loro esistenza» (n. 53).

Le principali cause della «scarsa qualità» della predicazione sono note: insufficiente preparazione, linguaggio inadatto agli interlocutori, taglio moralistico o indottrinante, messaggio principale «soffocato» da una somma di idee disarticolate. Ben venga dunque l’invito della Evangelii gaudium: «Che sacerdoti, diaconi e laici si riuniscano periodicamente per trovare insieme gli strumenti che rendono più attraente la predicazione!» (n. 159).

Il problema dell’impatto ed efficacia della predicazione, e più in generale della catechesi, non è purtroppo un fatto recente. Già oltre trent’anni fa, in una piccola ma densa pubblicazione (Il predicatore allo specchio) il cardinal Martini invitava credenti, catechisti e soprattutto presbiteri, in quanto annunciatori della Parola, a un’attenta autoanalisi.

Non sappiamo quanti abbiano seguito quella preziosa indicazione ma molti elementi ed evidenze portano a ritenere che mentre il momento della predicazione sia andato acquistando sempre più rilevanza, l’obiettivo di renderla efficace si sia fatto ancora più necessario e urgente.

DAL PREDICATORE ALLA PREDICAZIONE

Un possibile contributo per fare un passo avanti consiste nell’affrontare la questione in modo diverso: più che il «predicatore» forse è il caso di mettere «allo specchio» i modelli e stili comunicativi di predicazione e catechesi utilizzati per cogliere e affrontare gli eventuali punti deboli e rinforzare i punti forti.

Non basta infatti, tanto meno oggi, l’intenzione di «dire il bene»: occorre fare il possibile per dire bene il bene. Solo se ben(e)dette, la predicazione e la catechesi possono bene-dire.

Per questo suggeriamo un modello che metta al centro della predicazione e catechesi la competenza narrativa per creare le condizioni di una predicazione e catechesi generative: la Buona Novella di un Dio che ama e salva l’uomo chiede una buona narrazione, in grado di mettere la relazione Dio-uomo al centro. La narrazione, infatti, penetra nella vita dell’interlocutore in modo integrale (ragione, emozione, esperienza), alimenta l’accoglienza, apre al cambiamento, condivide un percorso di conversione.

Il modello narrativo va oltre l’integrazione tra fede e vita: mostra piuttosto che la fede è vita e che ogni vita ha domande di fede. Non a caso tale modello riprende lo stile comunicativo più sintonico e presente nel Vangelo fatto di racconti, parabole, esempi, immagini, rilanci spiazzanti.

Non si tratta dunque di predicare e annunciare la parola di Dio in modo fine a se stesso, ma di leggere la vita delle persone alla luce della Parola divina.

BENE-DIRE NELLA PROSPETTIVA DI EMMAUS

Al di là del necessario lavoro di introspezione spirituale e di approfondimento dei brani biblici che ogni buon predicatore e catechista è tenuto a fare, un ottimo riferimento concreto di lavoro sono i passaggi presenti nell’episodio evangelico dei discepoli di Emmaus, passaggi che diventano altrettante fasi di costruzione e sviluppo di interventi efficaci di predicazione e catechesi, adattati ovviamente ai diversi contesti comunicativi e relazionali in cui l’annuncio viene proposto:

a) l’ascolto e apertura iniziale del cuore, ovvero l’attenzione a entrare in sintonia con i vissuti/esperienze/desideri dei destinatari;

b) la parte centrale del discernimento, basata sull’aprire la mente nel rileggere situazioni, esperienze, scelte di vita alla luce della Parola;

c) la fase conclusiva, in cui sollecitare la volontà a aprirsi concretamente al cambiamento e all’azione in chiave di conversione.

L’obiettivo ultimo è costruire una relazione positiva con gli ascoltatori, empaticamente autorevole, in grado di favorire coinvolgimento e apertura. Per questo occorre adottare uno stile che sappia da subito coinvolgere, suscitare interrogativi, sollecitare un discernimento e orientare la presa di buone decisioni in funzione di ciò che realmente interpella i presenti.

Non si tratta di rendere la predicazione semplicemente meno noiosa e più accattivante, seducente, persuasiva, magari ricorrendo all’uso di effetti speciali più o meno tecnologici. Si tratta piuttosto di farsi prossimo all’interlocutore, fargli spazio, sintonizzarsi sulla sua vita, sui suoi bisogni, desideri, accoglierlo e ospitarlo…
…perché a sua volta rilegga e rinarri la sua vita alla luce della Parola, si decida e agisca nel fare altrettanto.

Nessuna paura: la posta in gioco vale l’impegno e anche qualche difficoltà e errore. Si tratta infatti di dire bene il bene, facendolo diventare bene-dicente e una bene-dizione.

Mettiamoci dunque serenamente alla prova: i primi a venirvi incontro e ad aiutarvi in questo sforzo e sfida di rinnovamento pastorale e ministeriale saranno proprio i destinatari, e i giovani in particolare, che riconosceranno in questo il loro linguaggio, accompagnandovi a parlarlo sempre meglio.

Il premio sarà la loro gratitudine: si verrà ricordati più per aver saputo valorizzare l’altro che per quanto di buono si sarà riusciti a fare.

Ma soprattutto, come ci ricorda sant’Agostino, potremo vivere la predicazione e la catechesi nella dimensione della gioia e della letizia.