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NON E’ SOLO MISURA DI LINGUA

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RUMINATIO SINODALE – 30 PRENDERE LA PAROLA

Trentesima ruminatio sinodale sul terzo tema del Sinodo universale: prendere la parola.

Chi parla a nome degli altri, di un gruppo costituito o di una comunità di appartenenza, porta sempre con sé la responsabilità della scelta che le altre persone hanno fatto di lui, scelta di stima e di fiducia, scelta di affidamento del pensiero e della parola di tutti, condivisa quasi all’unanimità. Non si sceglie un portavoce solo per le doti eccezionali della sua lingua, per una misura di loquacità superiore alla media, una capacità impareggiabile di affabulare gli ascoltatori, o perché unico nel suo incantare i presenti con gli equilibrismi delle parole.

Certo, in gioco c’è l’uso della lingua, ma più che dello strumento anatomico del parlare si tratta di una dimostrazione di intelligenza e di cuore della stessa persona e, tra tutte le altre doti umane, quella sempre più delicatissima della onestà intellettuale. È su questo punto – l’onestà intellettuale – che avviene la sfida tra una persona e l’altra, perché le parole non siano usate come fioretti tra duellanti, agguerriti fino al punto di giungere a perdersi per sempre, ma occasione per crescere reciprocamente per lunghezza, per velocità, per saggezza, per temperamento e per calore dell’animo di ciascuno.

La difficile arte dei «portavoce» sta nella misura di ciò che c’è da dire e molto di più nella capacità di ascoltare la voce degli altri, poiché le parole non sono solo da portare in uscita, ma con maggiore oculatezza in entrata, cioè nell’ascolto del pensiero e del vissuto degli altri compagni di viaggio.

Prendere parola non è solo misura di lingua, la più tenace, la più veloce, bensì di saggezza, quando anche il silenzio diventa una parola non presa, non detta, ma lasciata e donata alla verità delle cose e dei fatti, affinché sia custodita e resa bella la storia personale di tutti.

Buona settimana.

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