
Introduzione
Il tema di questa sera riguarda le figure o ministerialità di giuntura e mi fa piacere iniziare valorizzando il vostro intenso e prezioso lavoro sinodale espresso nel documento sinodale dal quale sembra che abbiate già le idee piuttosto chiare in merito a queste figure, individuandone il mandato in persone capaci di compiere al servizio della propria parrocchia o unità pastorale un servizio di collegamento fra le varie realtà, di comunicazione, artefici di comunione, di ascolto, di ponte e di custode dei rapporti tra le singole comunità parrocchiali e uffici diocesani, tutti compiti che eravamo abituati ad attribuire ai preti, al parroci, al presbiterio, mentre i fedeli laici erano, se andava bene, considerati semplici collaboratori al servizio della missione della Chiesa svolta dal clero. Ma oggi la situazione si è fatta grave il “calo demografico dei preti” è allarmante, e le Chiese locali e la Chiesa tutta, si rendono conto che giocoforza bisogna passare dall’accentramento alla corresponsabilità tanto che al n. 107 il documento sinodale recita: «La corresponsabilità sollecita a riscoprire l’imprescindibile valore delle diverse vocazioni. In tal senso la situazione di difficoltà determinata dal calo delle vocazioni presbiterali deve poter diventare una concreta provocazione per una più ampia riflessione teologica ed ecclesiologica, e non semplicemente per la ricerca di “soluzioni pastorali”. Sono già parte della normalità le situazioni di comunità che hanno bisogno di una “guida” che non può essere un prete residente. La realtà sembra suggerire figure nuove a cui dare volto e forma».
Insomma, voi stessi evidenziate la necessità non solo di collaborazione, ma addirittura di corresponsabilità! Ebbene sì, la realtà e lo Spirito ci hanno fatto uno scherzetto e ci hanno portati, volenti o nolenti, a dover riscoprire e dichiarare ufficialmente che l’annuncio e la diffusione del Vangelo è responsabilità condivisa di tutti i battezzati, come era all’inizio della Chiesa, in cui tutti si davano da fare, senza tanta definizione di compiti e ruoli, perché erano semplicemente innamorati di quel messaggio di amore di Dio in Gesù che avevano toccato, ascoltato, gustato in prima persona o dai primi testimoni! Così c’era chi ospitava in casa la comunità, chi preparava e portava da mangiare, chi portava le suppellettili per la celebrazione, chi faceva la staffetta per avvisare tutti e vivere insieme l’eucaristia, chi andava in giro fra le comunità per tenere i collegamenti e condividere la bellezza di un Evangelo che si diffondeva e si incarnava, vangelo incarnato, spontaneo, senza tanti ruoli, funzioni e incarichi se non quello di battezzati.… tutti innamorati della buona notizia!
Ci auguriamo vivamente che non sia solo il calo del numero delle vocazioni presbiterali a spingere la Chiesa intera ad un rinnovamento, sia perché il motivo di partenza sarebbe pericolosamente sbagliato, sia perché il Vangelo e il suo annuncio è prima di tutto una questione di passione, di amore per la vita e per gli altri, non di ruoli o strutture da ridefinire per far funzionare la macchina.
È piuttosto una questione di conversione di cuore, di mente, di paradigmi, di cultura ecclesiale, come ricorda il «Documento Finale della Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2-27 ottobre 2024) Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione” e Risultati delle Votazioni» datato sabato scorso, 26 ottobre 2024: “5. Il cammino sinodale sta infatti mettendo in atto ciò che il Concilio ha insegnato sulla Chiesa come Mistero e Popolo di Dio, chiamato alla santità attraverso una continua conversione che viene dall’ascolto del Vangelo. In questo senso costituisce un vero atto di ulteriore recezione del Concilio, ne prolunga l’ispirazione e ne rilancia per il mondo di oggi la forza profetica”. Cosa non del tutto facile ammettono i padri sinodali stessi: “6. Non ci nascondiamo di aver sperimentato in noi fatiche, resistenze al cambiamento e la tentazione di far prevalere le nostre idee sull’ascolto della Parola di Dio e sulla pratica del discernimento. Eppure, la misericordia di Dio, Padre tenerissimo, ci consente ogni volta di purificare i cuori e di proseguire il cammino”. Ma al tempo stesso vitale, dolce e creativa, infatti: “1.(…) Come i discepoli di Emmaus, anche noi, partecipando a questa Assemblea sinodale, ci siamo sentiti avvolti dalla Sua misericordia e toccati dalla Sua bellezza. Vivendo la conversazione nello Spirito, in ascolto gli uni degli altri, abbiamo percepito la Sua presenza in mezzo a noi: la presenza di Colui che, donando lo Spirito Santo, continua a suscitare nel Suo Popolo una unità che è armonia delle differenze”. “3. (…) Passo dopo passo, abbiamo compreso che al cuore del Sinodo 2021-2024 (…) c’è una chiamata alla gioia e al rinnovamento della Chiesa nella sequela del Signore, nell’impegno al servizio della sua missione, nella ricerca dei modi per esserle fedeli”. Dunque, ci sono tanti modi, anche nuovi o da riscoprire per essere fedeli prima di tutto “alla sequela del Signore” missione di cui la Chiesa è strumento e non fine.
Le figure di giuntura
A mio avviso, con la definizione di queste “nuove” figure, non si tratta tanto di costituire o sostituire un nuovo anello di una struttura che non funziona più per mancanza di “clero” e per affidare alcuni compiti ad altri ed alleviare così il peso dei presbiteri, ma si tratta di qualcosa di più profondo che va ad impattare il tessuto ecclesiale stesso, cioè quella rete di relazioni all’interno di una “comunità di credenti”, alcuni con compiti istituzionali e altri no affinché la parola “comunità” non sia solo un termine usato indebitamente in quanto privo di realtà, ma torni ad avere una consistenza vissuta, che attira, di cui ci sentiamo partecipi e nella quale vogliamo mettere del nostro con passione. Ridare vita a questo livello di comunità è il nodo principale, e le figure di giuntura potrebbero aiutarci a rinnovare il tessuto ecclesiale come era all’inizio del cristianesimo, in un tempo di cambiamento epocale, analogo a quello che sperimentiamo oggi.
I cambi d’epoca, infatti, sono transizioni talmente inaudite, che non bastano più semplici aggiustamenti o riorganizzazioni, tipo fusioni e accorpamenti di parrocchie, di foranie, di province religiose, trattandosi solo di riduzionismi vari nella speranza di continuare a tenere tutto in piedi ma conservando i paradigmi precedenti. Bisogna andare più in là, perché in un cambio d’epoca come quello attuale in cui la fede cristiana non è più di natura sociologica, ossia parte condivisa e vissuta del tessuto culturale della maggioranza, si assiste ad una frattura, ad una voragine fra le forme in cui eravamo abituati a vivere la fede e le parole con cui la significavamo e l’esperienza di vita del mondo in cui la Chiesa e la comunità dei credenti si trovano ad operare, che si è trasformata in maniera eclatante a causa di molteplici fattori culturali, sociali, politici, economici, ambientali e chi più ne ha più ne metta.
Cosa ha spento il fuoco?
Che cosa ha dunque spento il fuoco della partecipazione alla vita ecclesiale che alimentava anche la risposta di vocazioni presbiterali e consacrate? Per rispondere ci facciamo aiutare da una ricerca relativamente recente svolta in America, che ci aiuta a leggere come stanno le cose. Il titolo è “GROWING AN ENGAGED CHURCH. How to stop ‘doing church’ and start being the church again”, di Albert L. Winseman, Gallup Press, 2007. Si può tradurre con «Coltivare o far crescere una chiesa impegnata. Come smettere di ‘fare chiesa’ e cominciare ad essere di nuovo chiesa».
Il primo elemento che spegne il fuoco della fede e della passione per l’annuncio, ci dice la ricerca, è la mancanza di opportunità che favoriscano un INCONTRO PERSONALE CON GESU’, e dico personale, non intellettuale, non semplicemente di formazione biblica o teologica o catechetica/dottrinale.
Il secondo elemento è una VITA COMUNITARIA POCO SIGNIFICATIVA. Su tutti i documenti e su tutte le bocche il termine comunità è abusato: comunità parrocchiale, comunità ecclesiale, diocesana ecc. ma quale comunità senza una vita comunitaria significativa? Questo vale tanto per le realtà diocesane quanto per le famiglie, congregazioni e ordini religiosi.
Il terzo elemento è dato da una FORMAZIONE DOTTRINALE O COGNITIVA (FREDDA) che non tocca il cuore (spirito) e la vita reale della gente. Che senso ha formare semplicemente alla dottrina o alla teologia o alla parola biblica senza raggiungere il cuore profondo delle persone, senza passare il cuore stesso del messaggio evangelico? Senza la passione di chi lo trasmette? Senza ricadute concrete sulla vita reale di tutti i giorni, proprio quella che è cambiata radicalmente, ed è in continuo divenire in un tempo di cambio epocale?
Il quarto elemento è costituito dalla SCARSITÀ DI UN IMPEGNO MISSIONARIO E TESTIMONIALE in seno alla comunità parrocchiale. I fedeli lamentano mediamente di non percepire al suo interno una spinta missionaria, non ricevono cioè una testimonianza di vita credente significativa e capace di muovere il cuore e di conseguenza di attivare altri testimoni.
In altre parole, non sussistono, in genere, figure capaci di “nutrire sapienzialmente, spiritualmente e con l’esempio” i parrocchiani, di testimoniare e di promuovere la missione, ovvero l’annuncio evangelico né all’interno della parrocchia né tantomeno all’esterno.
Cosa invece fa bene alla comunità?
La ricerca ci dice che la differenza fra chiese in crisi e chiese in salute sta nel SENSO DI APPARTENENZA dei fedeli coinvolti. È questo senso di appartenenza che produce spontaneamente, e di conseguenza, sia un impegno spirituale sia un ingaggio o impegno davvero comunitario e non l’esperienza di singoli che fruiscono di servizi la domenica o durante altre occasioni sacramentali e poi se ne vanno perché non sono attirati da un forte desiderio di farne davvero parte. Infatti, il senso di appartenenza alla comunità non nasce tanto da cosa facciamo per tale comunità, da come ci sentiamo utili o importanti, ma piuttosto, da come ci sentiamo rispetto ad essa.
Da quanto detto emergono pertanto vari punti di attenzione, che sono fondamentali affinché una persona possa sentirsi attratta, coinvolta, accolta, nutrita e decida di considerarsi gioiosamente parte di quella comunità e di mettersi di conseguenza in gioco a sua volta, donando il proprio tempo e competenze, infatti: abbiamo bisogno di ricevere un’attenzione personale; abbiamo bisogno di una cura spirituale; abbiamo bisogno di gustare una attenzione comunitaria; abbiamo bisogno di sentirci ascoltati riconosciuti e valorizzati nelle nostre qualità, competenze e talenti. Solo sperimentare concretamente queste esperienze vitali nella realtà che frequentiamo apre allo sviluppo di una implicazione in prima persona che si può tradurre in ingaggio, assumendo impegni ministeriali o di altro tipo.
Se vogliamo fare un esercizio personale rispetto alla verifica di questi bisogni possiamo domandarci: come sto nel contesto della mia comunità? Cosa ricevo? Come vengo accompagnato/a nella mia vita di fede? Posso interrogarmi sui legami che sperimento. Mi posso porre la domanda se sono davvero conosciuto/a e riconosciuto/a nella mia specificità? Se sono valorizzato nei miei talenti? Oppure, forse mi chiedono solo di fare delle cose che non mi appartengono, che magari non so fare, che non mi valorizzano per quello che sono in verità?
Come possiamo dunque accompagnare il cambiamento che coinvolge le figure di giuntura? Qualche riferimento scritturistico ci può aiutare a collocarci rispetto ad esse, vi propongo tre testi di San Paolo:
“Come il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo”. (1 Cor 12,12) Questo primo testo ci parla di unità nella complessità, molte membra diverse che compongono un solo corpo, analogamente a Cristo che in sé comprende un tutto variegato, raggiunge tutti e tiene tutti in sé pur essendo una realtà unica. Restare in comunione con lui, come la vite e i suoi tralci, garantisce la vita e produce molto frutto.
“Da Cristo tutto il corpo, ben compaginato e connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, cresce in modo da edificare se stesso nella carità”. (Ef 4,16) Qui continua la metafora del corpo e si parla di ordine, ordine di un corpo ben compaginato e connesso che, nella sua varietà di membra, ognuna individuata e riconosciuta per l’energia che le è propria; cioè per la sua specificità ed unicità agli occhi di Dio – in Cristo, ha bisogno però di giunture e di legamenti che le tengano bene insieme, in maniera da non perdersi o sfilacciarsi o slogarsi e perdere la loro funzione, che è quella di crescere per edificare il corpo di cui fanno parte nella carità.
“[Il Cristo], dal quale tutto il corpo riceve sostentamento e coesione per mezzo di giunture e legamenti e cresce secondo il volere di Dio”. (Col 2,19) Questo passaggio mette in luce le funzioni di sostentamento, di coesione e conseguente crescita a cui giunture e legamenti contribuiscono in maniera preziosa, anelli fondamentali di una catena virtuosa che aiuta a realizzare il volere di Dio, ovvero una vita più piena e degna per ciascuno dei membri di quell’unico corpo che vuole essere, nel nostro caso, la parrocchia, la diocesi, l’ordine, la congregazione o famiglia religiosa, la Chiesa…
In tutti questi testi l’analogia con il corpo della Chiesa nei suoi membri (e anche negli organismi che si è data per funzionare e compiere la sua missione) è evidente, come è evidente la funzione di giuntura, connessione, legamento che alcuni fra i suoi membri, avendo questo dono riconosciuto spontaneamente, o ricevendone la missione, sono chiamati a custodire, coltivare ed alimentare.
Alcuni riferimenti magisteriali contribuiscono inoltre a fondare e comprendere la natura delle figure di giuntura e a cosa sono chiamate.
A mo’ di preambolo, gettiamo uno sguardo alla Lettera Apostolica Nuovo Millennio Ineunte, dove Papa Giovanni Paolo II (al n. 43 ) invitava la Chiesa, all’inizio del nuovo millennio, a non essere frettolosa, a non correre il rischio di mettere in atto azioni operative senza che siano fondate su ciò che conta davvero, ovvero “promuovere la spiritualità della comunione” che è alla base delle relazioni avendo quelle funzioni di coesione e giuntura necessarie affinché ogni membro nella Chiesa possa svolgere la sua missione evangelizzatrice insieme agli altri, a tal fine parlava di “scuola di comunione”, mettendoci in guardia: “Non ci facciamo illusioni: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita”. Al n. 45, poi, risuonano ancora espressioni quali “spazi della comunione”, “teologia e spiritualità della comunione” che “ispirano reciproco ed efficace ascolto” fra tutti i livelli ecclesiali, per costruire prima di tutto quella “unione a priori in tutto ciò che è essenziale” e che apre alla capacità di discernere, ossia di compiere “scelte ponderate e condivise” anche laddove non è scontato. E infine, si parlava già allora di altre figure da porre “accanto al ministero ordinato, altri ministeri, istituiti o semplicemente riconosciuti” che “possono fiorire a vantaggio di tutta la comunità”.
Già qui possiamo intuire e riconoscere la legittimità e il senso di queste “figure di giuntura” di cui stiamo trattando.
Passiamo alla Lettera Apostolica in forma di “Motu proprio” di Papa Francesco “Antiquum ministerium” con la quale si istituisce il ministero di catechista del 10 maggio 2021 dove si declina il ministero dei catechisti, precisando, tra l’altro, che “La funzione peculiare svolta dal Catechista, comunque, si specifica all’interno di altri servizi presenti nella comunità cristiana”; e riconoscendo che “Non si può negare, dunque, che «è cresciuta la coscienza dell’identità e della missione del laico nella Chiesa” (n. 7), di cui al n. 8 ne specifica le molteplici caratteristiche di cui mi piace evidenziare in particolare le ultime: “È richiesto che siano fedeli collaboratori dei presbiteri e dei diaconi, disponibili a esercitare il ministero dove fosse necessario, e animati da vero entusiasmo apostolico”.
Ma ancor più la successiva LETTERA AI PRESIDENTI DELLE CONFERENZE DEI VESCOVI SUL RITO DI ISTITUZIONE DEI CATECHISTI ne parla in un modo tale e talmente articolato che incarna realmente una funzione di giuntura a financo di una ministerialità istituita. Per esempio, al n. 4 si afferma che “I Catechisti in virtù del Battesimo sono chiamati ad essere corresponsabili nella Chiesa locale per l’annuncio e la trasmissione della fede, svolgendo tale ruolo in collaborazione con i ministri ordinati e sotto la loro guida”. Ed essendo che “lo scopo definitivo della catechesi è di mettere qualcuno non solo in contatto, ma in comunione, in intimità con Gesù Cristo”, Al n. 5 si specifica che “tale finalità comprende diversi aspetti e il suo raggiungimento si esprime in molteplici forme, definite dalle esigenze delle comunità e dal discernimento dei Vescovi. Per questo motivo, al fine di evitare fraintendimenti, occorre tenere presente che il termine ‘catechista’ indica realtà differenti tra loro in relazione al contesto ecclesiale nel quale viene usato”. Il n. 6 declina la varietà di tali forme di cui la seconda richiama più propriamente le figure di giuntura e sollecitando ad una elasticità delle prassi “si possono distinguere – non in modo rigido – due tipologie principali delle modalità di essere Catechisti. Alcuni hanno il compito specifico della catechesi, altri quello più ampio di una partecipazione alle diverse forme di apostolato, in collaborazione con i ministri ordinati e obbedienti alla loro guida. La concretezza della realtà ecclesiale (Chiese di antica tradizione; giovani Chiese; ampiezza del territorio; numero dei ministri ordinati; organizzazione pastorale …) determina l’affermarsi dell’una o dell’altra tipologia”. E al n. 11 si esprime un ampio elenco delle possibili funzioni di collaborazione del catechista, l’ultima delle quali è proprio “il favorire la relazione tra la comunità e i ministri ordinati” chiaro esempio di figura di giuntura.
Infine, in Evangeli Gaudium 31 Papa Francesco, rivolgendosi al Vescovo esprime un chiaro invito: Nella sua missione di favorire una comunione dinamica, aperta e missionaria, dovrà stimolare e ricercare la maturazione degli organismi di partecipazione proposti dal Codice di diritto canonico e di altre forme di dialogo pastorale, con il desiderio di ascoltare tutti e non solo alcuni, sempre pronti a fargli i complimenti. Ma l’obiettivo di questi processi partecipativi non sarà principalmente l’organizzazione ecclesiale, bensì il sogno missionario di arrivare a tutti.
A questo punto possiamo domandarci quali sono le qualità utili ed opportune per coloro che incarnano un compito di tale portata e cosa sono chiamati a custodire? (il contributo è ispirato e tratto da “Il Team player ideale. Come riconoscere le tre virtù essenziali. Un racconto sulla leadership” di Patrick Lencioni Franco Angeli/Trend).
Ci sembra che umiltà, intelligenza interpersonale (o collettiva) e passione (per la vita e l’annuncio del vangelo) siano le tre virtù principali che le figure di giuntura dovrebbero avere.
Umili. Non devono essere persone con un ego ipertrofico, che danno troppa importanza al proprio status. L’umiltà è la più importante tra le virtù di una figura di giuntura. Sono persone rapide nell’evidenziare contributi degli altri e lenti nel sottolineare i propri. Condividono i meriti ed elogiano la squadra di lavoro più di se stessi, parlando di successo collettivo e non individuale. Le persone umili non si vedono più grandi di quelle che sono, ma nemmeno svalorizzano i loro talenti e contributi. “L’umiltà non è pensare meno di se stessi, ma pensare meno a se stessi” (C.S. Lewis).
Appassionati. Sempre alla ricerca di qualcosa di più: da apprendere, fare, responsabilità da assumere. Sono motivati per lavorare sodo e non serve chiederglielo. Trovano energia e forza in quello che fanno, nella visione e nello scopo che sta dietro al loro impegno. Hanno una passione evangelica evidente, in essi si scorge un riflesso del Vangelo di Gesù.
Portatori di una intelligenza interpersonale. Sono persone dotate di buon senso nelle relazioni con gli altri ed appropriati e attenti negli scambi interpersonali. Questi soggetti comprendono quello che avviene in un gruppo e sanno come comportarsi con gli altri nel modo più efficace. Sono considerati autorevoli e significativi dagli altri, capaci di generare e far crescere relazioni significative in un contesto di gruppo o in un sistema complesso.
Quali i compiti? Essi sono chiamati ad un ruolo plurale, I compiti delle figure di giuntura sono infatti quelli di:
Custodi del senso
Condividono il Sogno e la Missione della comunità. Favoriscono il riconoscimento che è a partire da una visione, dal sogno di Chiesa e non dai servizi da svolgere, che possono attrarre e coinvolgere le persone. Richiamano continuamente il senso del processo evitando uno schiacciamento sul ‘fare’, sulle fasi operative, fecondando così le prassi attraverso la visione di fondo. Pregano insieme e condividono momenti di spiritualità per crescere nella fede anche in ordine alla ministerialità vissuta, partecipano alla liturgia domenicale.
Custodi della comunione
Riconducono le persone a Gesù Cristo, diffondendo il buon profumo del Vangelo con relazioni affettive calde. Tengono vive le relazioni, motivano, ascoltano e sostengono le persone coinvolte. Mantengono alte le motivazioni e la passione dei collaboratori in parrocchia. Aiutano i presbiteri nell’ascoltare dall’interno la comunità e nel gestirne i potenziali conflitti o frizioni. Aiutano i presbiteri a seguire i referenti parrocchiali dei vari ambiti pastorali verificando che tutta la comunità sia coinvolta e agisca in modo sinergico.
Custodi del cammino (processo)
Ricordano i compiti e gli impegni, sollecitando i vari agenti parrocchiali coinvolti. Aiutano la comunità a realizzare il cammino curando la formazione delle persone che si coinvolgono e fornendo loro gli strumenti necessari. Si incontrano almeno settimanalmente con i presbiteri per fare il punto, verificare i processi in corso, il clima, il coinvolgimento delle persone. Fanno in modo che si sperimentino dei piccoli successi facendo percepire alla comunità che i cambiamenti in atto sono fruttuosi. Precisano e verificano nel tempo la tenuta della vision/mission della comunità. Definiscono insieme ai presbiteri i processi da avviare e monitorare. Formano e accompagnano figure di coordinamento in grado di sostenere il processo nei vari ambiti della parrocchia.
Per dare concretezza a quanto esposto vediamo alcuni esempi di figure di giuntura sperimentate nel corso dei nostri affiancamenti in quanto Centro Studi a varie realtà ecclesiali.
La prima è una figura di équipe che promuoviamo nel momento in cui avviamo dei processi di trasformazione e sperimentazione nelle realtà con cui lavoriamo, i compiti di custodia che ho evidenziato prima fanno riferimento al loro incarico, ma possono essere facilmente compresi e adattati per ogni figura di giuntura. Li chiamiamo i CUSTODI DEL FUOCO; poiché ogni fuoco, pur se inizialmente grande e potente, se non curato e alimentato continuamente, rischia di affievolirsi fino a spegnersi, L’équipe dei Custodi del Fuoco svolge primariamente due compiti: custodire il senso del processo e accompagnarlo nella preghiera e tenere vivo il processo, curando le relazioni specie nella Comunità di Apprendimento. Questi battezzati agiscono in sinergia con i presbiteri, attraverso costanti momenti di preghiera, confronto e condivisione. Essi esercitano una ministerialità di ‘giuntura’ nell’ambito di una o più parrocchie, in quanto si preoccupano di favorire lo scambio e le relazioni tra i vari soggetti e organismi. È l’integrazione di figure attuative, operative, che si confrontano con i presbiteri e poi mettono in atto alcune azioni, gestiscono tensioni o conflitti e situazioni di fragilità, accompagnando processi per uscire da momenti di difficoltà. Una funzione di scambio e approfondimento con i presbiteri a cui segue un intervento. Favoriscono uno sguardo più connesso con la realtà della “comunità parrocchiale”. Laddove si è messo a sistema, questa cosa funziona, arrivando in qualche realtà persino a dare la guida dal pdv canonico a delle équipe unitamente ai presbiteri con il compito di guida pastorale di quelle realtà.
Altrove il Centro Studi ha formato figure dedicate all’accompagnamento a livello diocesano delle unità pastorali. Si affiancano e aiutano a ripensare prassi, forme di comunità, ricevono un mandato a livello diocesano.
Nel lavoro che si fa con gli uffici catechistici, quando ci sono delle esperienze di rinnovamento dell’iniziazione cristiana, internamente alle comunità cristiane, vengono attivate delle ÉQUIPE DI CUSTODI relativamente ad alcune prassi o ambiti pastorali, esse hanno spesso una funzione motivazionale, di tenere vivo il sogno missionario, di custodire e generare comunione tra le persone, anche oltre le proprie realtà pastorali, intervenendo nei processi in atto a supporto e supervisione. Se il consiglio pastorale affianca il Parroco in una visione di orientamento strategico, una equipe di custodi ha piuttosto una funzione operativa, se c’è un conflitto interviene, se c’è una riunione che non viene fatta offre la possibilità di una supervisione… il parroco può lavorare assieme a loro, pregare con loro, mangiare con loro, raccontarsi ciò che accade in parrocchia, prendere in esame alcune situazioni e decidere come prendersene cura, mediazione, riattivazione motivazionale, supporto di un processo…una ministerialità di cura. Ci sono molte diocesi che lavorano così nel rinnovamento delle prassi pastorali con l’ausilio di équipe di custodi.
Un’altra realtà che il Centro Studi propone nei suoi accompagnamenti è la ministerialità di giuntura chiamata FACILITATORI, che accompagnano e facilitano il lavoro di discernimento di singoli gruppi di lavoro o che intervengono in parrocchia o in diocesi in particolari situazioni di conflitto o di tensioni per accompagnare verso una riconciliazione o lo sviluppo positivo di situazioni complesse.
In alcune realtà esistono i cosiddetti ARTIGIANI DI COMUNITA’ sono dei tuttofare, laici che supportano il ministero presbiterale in maniera generica, hanno contatto con il tessuto ecclesiale diffuso e gli viene chiesto di fare delle cose specifiche.
Chi sono dunque in sintesi le figure di giuntura? Mi pare, concludendo questa carrellata, che le parole chiave per queste ministerialità di giuntura siano “dialogo, comunione, corresponsabilità” figure chiamate ad essere trait-d’union fra il presbitero, i vari uffici o servizi e la comunità dei fedeli … andando a ricoprire quei ruoli di ricucitura e accompagnamento che dicevamo. Sono dei battezzati, dei credenti, persone che si sentono con forza e coraggio di appartenere ad una certa comunità, che la conoscono e che desiderano dal profondo del proprio cuore di fornire con umiltà, passione, intelligenza interpersonale e disponibilità il proprio apporto di battezzati.
Perché servono così tanto le ministerialità di giuntura in questo contesto attuale? Forse perché in un cambio d’epoca assistiamo ad un allentamento, una sfilacciatura di ciò che prima era “ben compaginato e connesso” (Ef 4,16). Un allontanamento, una perdita di tensione e di legame fra le varie membra ed organi che compongono il corpo della Chiesa. Occorre stare radicati nel flusso reale della vita, non si tratta di diventare complicati inventando nuovi ruoli, ma piuttosto di abitare la complessità senza paura e soprattutto di restare umilmente connessi con essa. Quando si aumenta la verticalità in genere sembra che ciò dia un senso di maggior controllo da parte del vertice, ma in realtà questa azione allontana dalle membra. A questa visione seguono normalmente tendenze di carattere organizzativo: ma di fronte ad una complessità più ti organizzi più diventi una sorta di dinosauro e i dinosauri muoiono nei cambi d’epoca. Allora occorre oggi piuttosto alimentare nella Chiesa una dimensione orizzontale, riscoprire una partecipazione condivisa, corresponsabile e diffusa, affinché l’annuncio del Vangelo possa ritrovare nuova vita e passione e la sua dimensione missionaria possa nuovamente scaturire a partire dalle Parrocchie.