Scroll Top

LA CHIESA NON È UN’AZIENDA

architecture-3091990_1920
Tempo di lettura: 2 minuti

MA SE LO FOSSE …

 

Molte volte, nel lavoro di accompagnamento, utilizziamo strumenti o chiavi di lettura elaborati attraverso una ricerca transdisciplinare in un dialogo che riteniamo fecondo tra la teologia pastorale e le scienze umane. Spesso ci sentiamo dire: “La Chiesa non è un’azienda”, oppure: “Questi strumenti non sono adatti ad un ambiente ecclesiale”. Parto da questa situazione per mettere in luce una possibile resistenza che mi sembra pericolosa e ostacolante in ordine all’efficacia di un processo di rinnovamento pastorale.

 

Primo. Ci sono molte aziende che oggi sono di gran lunga più rispettose delle persone e di quello che concerne la loro crescita personale, di quanto non si riscontri in ambienti ecclesiali in genere. Ci sono aziende che mettono al centro dei loro valori la “pienezza dell’essere umano” per favorire in ciascuno la ricerca di una “integrità interiore”, utilizzando per descrivere questo aspetto il termine “vocazione” (Teal Organizations). Ci sono aziende che non mettono il profitto al primo posto dei loro obiettivi, privilegiandone altri come la crescita del benessere e dell’efficacia del lavoro in team, l’innovazione, l’inclusione, …

 

Secondo. Perché contrapporre la Chiesa e le aziende? Certo, se parliamo di Chiesa come realtà sacramentale assumiamo una particolare prospettiva, ma se consideriamo le istituzioni ecclesiali e le aziende come realtà organizzate, non sarebbe meglio differenziarle senza contrapporle? Dal mio punto di vista la Chiesa è più di un’azienda, ma è ‘anche’ azienda, cioè una realtà che traduce in forme organizzative e prassi una visione e una missione. Per questo non vedo perché alcune buone prassi, metodologie o strumenti che migliorano la qualità del lavoro e della vita delle persone in ambito aziendale non possano essere opportunamente adattati e usati in ambito pastorale. Non tutte le aziende hanno la stessa qualità etica ed organizzativa, proprio come non tutte le realtà ed organizzazioni pastorali annunciano con la stessa qualità evangelica. Il grano cresce insieme alla zizzania, ma non sono la stessa cosa … Confonderli è deleterio, distinguerli è discernimento.

 

Terzo. Considerare uno strumento – come ad esempio un test, un modello, oppure qualsiasi tipo di dinamica di gruppo – inadatto ad un contesto pastorale in quanto nato in altro contesto oppure perché troppo tecnico, a mio avviso nasconde un pensiero distorto, non conforme alla visione cristiana della realtà. In sostanza, chi la pensa così ritiene che le “cose materiali” non siano compatibili con le “cose spirituali” … Questo non è cristiano, anzi contraddice in modo evidente il principio dell’incarnazione!!! Questo approccio che ‘separa’ si avvicina ad un’eresia antica che prende il nome di gnosticismo e dalla quale il magistero attuale ci invita a prendere le distanze.

 

Penso che nei contesti ecclesiali e religiosi sia bene privilegiare modalità di dialogo, lavoro e discernimento che la Tradizione ci consegna, come ad esempio il metodo della conversazione spirituale. D’altra parte, però, non vedo perché non lasciarsi positivamente contaminare da esperienze, intuizioni, modelli e strumenti che provengono dalle scienze umane e sono in grande sinergia con i valori cristiani, mostrando inoltre un’efficacia reale nei processi di rinnovamento dell’azione pastorale.

 

La Chiesa non è un’azienda. Vero. È molto di più. Sì, talvolta. Ma se fosse anche più azienda penso avrebbe migliori possibilità di divenire ‘sistema più aperto’, di prendersi cura con più efficacia delle persone e di accogliere con maggiore disponibilità gli impulsi dello Spirito.