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Il tempo di un’Ave Maria

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Tempo di lettura: 2 minuti

Pubblichiamo qui di seguito una breve riflessione inviataci dall’amico Massimiliano Petricca, segretario ISSR e Direttore Ufficio Catechistico della Diocesi di Pescara-Penne, entrato a far parte della Accademia ‘Campo Base’ del Centro Studi dopo aver concluso il Percorso Intro. Ringraziamo Massimiliano e rinnoviamo l’invito agli ‘accademici’ a considerare questo blog un luogo e occasione di dialogo, confronto, partecipazione in stile sinodale.

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In più occasioni mi è capitato di ascoltare testimonianze di adulti che, in merito a questioni di fede, fanno riferimento a racconti o storielle sentite da piccoli. La mamma, il papà, o magari la nonna, erano fabbricanti di storie e aneddoti che riguardavano la vita e la religiosità. Nonna Maria, quando doveva preparare le neole o ferratelle, adottava un metodo infallibile per calcolare quanto tempo ogni lato della ferratella doveva stare sul fuoco. Il tempo di un’Ave Maria: la prima parte della preghiera per scaldare il primo lato, la seconda parte per l’altro lato!

O quando mia madre, davanti ad avvenimenti non ancora chiari o incerti, mi diceva “Lascia fare a Dio!”. Io la interpretavo più nel senso di rassegnazione, ma poi ho scoperto che invece è un’azione di grande discernimento: vedi come opera il Signore intorno a te e poi decidi!

Sembra banale, ma è la maniera più semplice per far vedere come la vita quotidiana e quella religiosa sono fuse e quasi indistinte. La preghiera diventa l’unità di misura. Certo si potrà dire che questa è una religiosità semplice, umana, da distinguere dalla fede cristiana. Sicuramente; ma, a mio avviso, è alla base di una possibile adesione alla proposta evangelica.

Quando, da piccoli, si ascoltavano racconti di storie di Santi o della vita di Gesù, più che il fatto in sé, l’importante era assaporare una dimensione di mistero. Mistero, la categoria che la generazione presente sta perdendo, attaccata com’è alla tecnologia. Come fa un bambino, un giovane, a cogliere la realtà del mistero, quando ha davanti a sé un dispositivo che dà solo certezze? Che non sbaglia mai e sa tutto, molte volte più dei genitori?

Lo sforzo che noi adulti siamo chiamati a fare è quello di avere il coraggio e la forza di narrare ai nostri ragazzi la nostra vita. Sì, perché narrare non è solo raccontare un fatto, ma comunicare cosa quel fatto mi ha provocato, come l’ho vissuto, che sentimenti ho provato e cosa mi ha lasciato. In poche parole, ti racconto me stesso e la mia vita nel tempo di un’Ave Maria!

Massimiliano Petricca