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Il compagno di Cléopa

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Tempo di lettura: 3 minuti

EMMAUS: ARRIVI E PARTENZE

Un invito ad incamminarsi, a non restare a capo chino a problematizzare, a puntare il dito su ciò che manca o non va come ci si sarebbe aspettati. Cogliere un invito imprevisto, di fronte a progetti e piani che sono saltati in aria, di fronte a promesse che si sono rivelate inattese… Ci vuole coraggio, forse incoscienza a seguire Cléopa, ma almeno è rialzare lo sguardo, rimettere un piede dopo l’altro e un altro ancora verso una destinazione precisa. Allora, chi seguira Cléopa? Sarà l’inizio di un piccolo cammino a puntate per riscoprire il tema spirituale del discepolato e dell’apostolato.

1.

Alla fine, mi sono deciso.

Questa volta il compagno di Clèopa lo faccio io… Lo faccio io perché non c’è bisogno di gridarlo ai quattro venti, neppure mi è stato chiesto di dire il mio nome, o di metterci pubblicamente la faccia, la mia.

Mi sono deciso per il sì, perché penso che compagni di viaggio di Clèopa lo siamo un po’ tutti. Ognuno a modo suo, ognuno con i suoi motivi detti prima di partire o rimasti dentro fino alla fine del viaggio. E questa sera ci sono io e il compagno di viaggio lo voglio fare io.

Ero seduto in un angolo semibuio del Cenacolo. Lì mi raggiunse la voce di Clèopa – «Io me ne vado. Qualcuno vuole venire con me?». Una domanda lanciata all’improvviso nel bel mezzo del gruppo dei presenti: uomini e donne, giovani e meno, all’unisono rinchiusi e protetti dai muri di quella stanza. Alla richiesta di Clèopa dentro di me avevo già deciso per il sì. «Sì, ci vado io con lui». Ma un sì detto solo dentro è un sì senza vento, senza movimento, senza parola e senza suono e, alla fine, resta una volontà debole, timida. Un sì non detto è fratello di una voglia di cose senza…, tutte imperfette, manchevoli, incomplete. Anche il mio sì era muto, imprigionato dalla mancanza di una buona dose di coraggio, tanto quanto necessario per dare voce a quello che stavo pensando e alle scelte che mi sarebbe piaciuto fare al più presto.

Senza che lui se ne potesse accorgere, la voce profonda e calma di Clèopa mi stava già aiutando a rendermi conto che il mio sì o sarebbe stato solo vapore di desiderio, oppure qualcosa di totalmente nuovo, di diverso, il tentativo di scivolare via, di uscire da una situazione bloccata fuori e dentro i miei occhi. Sentivo di avere bisogno di aria nuova, di uscire da lì e di andare ovunque, pur di sentirmi nuovamente libero dentro.

Quello che mi bloccava a dichiarare con coraggio la mia decisione non era tanto il fatto di metterci il nome o il volto, i miei, ma rivelare agli altri del gruppo l’onda infinita di emozioni e di pensieri che avvertivo impetuosi in me, aggrovigliati e taglienti tra loro, un casino dentro, legato per forza ai fatti accaduti gli ultimi giorni a Gerusalemme.

Ci sono rimasto male, ci sto male per la morte di Gesù e per come alla fine sia crollato tutto nel giro di qualche giorno. Una conclusione ingloriosa la sua, fin troppo precisa in un pugno di poche ore. E vedo che nessuno tra noi del gruppo ha voglia di parlarne. Sono più gli sguardi a terra, più i silenzi, più le lacrime, che le parole a rimbalzo. Non ci sono parole di senso per controbilanciare l’assurdo di una morte così improvvisa, così violenta, così solitaria. Già, solitaria: lui, Gesù, dentro la sua morte e noi fuori, dentro il non senso del nostro stare ancora qui.

Per me non è solo questione di delusione o la scoperta di ritrovarmi dentro il fallimento di un sogno. Quando vedi il tuo maestro finire nel modo che meno avresti mai pensato potesse accadere, che cosa ti resta ancora? Non è neppure una questione di risentimento, di rabbia interiore, per una relazione finita così, nel nulla. Chi se ne va via, come anche chi ti viene strappato via da te, alla fine ti lascia lì dove sei e dove puoi rischiare di rimanerci per sempre… E allora è proprio lì, dove ti trovi, che senti il bisogno profondo di trovare un senso allo stare dentro il vuoto di una assenza o il senso di andartene via anche tu. Lasciare al suo vuoto il tuo vuoto.

Per questo ho deciso di fare il compagno di Clèopa, anche perché so che lui ritornerà a Emmaus, il mio villaggio. È da lì che ero partito un giorno, molto tempo fa, trascinato in un’avventura mai udita prima. A Emmaus è dove voglio ritornare questa sera. Alla fine, il mio è un ritorno a casa.

Intanto, voglio uscire da qui, da questo Cenacolo, da Gerusalemme, da questa storia che non la sento più mia e che mi fa stare male dentro. Non è più la mia avventura. Intanto, esco. Poi… strada facendo, vedrò cosa sarà.

Alzo lo sguardo e cerco Clèopa. Lo vedo accovacciato a terra nell’intento di raccogliere con decisione le sue cose. Prendo il respiro e trovo la voce per dirgli il mio convinto:

«Clèopa, vengo io con te!».

(continua)

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