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Fondere o fondare parrocchie?

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Tempo di lettura: 3 minuti

#0 RIFLESSIONI PRELIMINARI

Con questo articolo si apre una serie di stimoli e approfondimenti sul tema della parrocchie, un’istituzione antica e sempre nuova, da riscoprire, ripensare, rivitalizzare.

«La mia parrocchia. Una parola da non potersi pronunciare senza emozione – che dico! Senza un impeto d’amore. E tuttavia è una parola che ancora non suscita in me se non un’idea confusa» (G. Bernanos, Diario di un parroco di campagna). Con queste parole il parroco di Ambricourt, protagonista del celebre romanzo “parrocchiale” del secolo scorso, esprime il suo sentire nel giorno dell’anniversario di nomina come guida spirituale di una piccola comunità cristiana delle campagne francesi.

Ancora oggi, a molti anni di distanza, un’istituzione antica e millenaria come la parrocchia suscita sentimenti e atteggiamenti contrastanti: un interesse da una parte e, dall’altra, una buona dose di disorientamento di fronte alla percezione diffusa che, nonostante tutti gli sforzi fatti per operare un difficile ‘restyling’, permanga una situazione critica che investe non solo il modello di parrocchia attuale, ma il senso stesso del suo esistere. E questa situazione non favorisce ancora l’attuarsi di un processo di ripensamento profondo da parte delle comunità, ma spesso le conferma come istituzioni immobili, impotenti di fronte al cambiamento e alla complessità della nostra epoca. Diceva a riguardo il protagonista del romanzo appena citato:

«La mia parrocchia è divorata dalla noia, è proprio ‘noia’ la parola giusta. Come tante altre parrocchie! La noia le divora sotto i nostri occhi e noi guardiamo impotenti» (G. Bernanos, Diario di un parroco di campagna).

Ha ancora senso oggi parlare di parrocchia? Oppure essa è chiama oggi inesorabilmente a morire per lasciare spazio a nuove forme di comunità cristiana? Come riconfigurare il modello parrocchiale ereditato che oggi, per molti aspetti, non ha più senso? Domande che sfidano l’identità e la missione della comunità cristiana a partire dal focus specifico della parrocchia.

La serie di ‘articoletti’, che si vuole avviare con queste riflessioni preliminari sulla parrocchia, non ha la pretesa di fornire risposte pronte a queste provocazioni. Molto è stato scritto sulla parrocchia e ci sono in tutto il mondo teologi e pastori che stanno sviluppando un pensiero teologico pastorale approfondito e illuminante. Le finalità che ci proponiamo, che definiscono il proprium di questi contributi, intendono concorrere a: a) Semplificare, cercare di mettere in luce l’essenziale, integrare le molteplici implicazioni che si legano alla riflessione sulla parrocchia al fine di favorire uno sguardo d’insieme sapienziale, a partire da un pensiero organico possibile. Non sarà certamente il migliore, ma costituirà una scelta fondata su una visione definita; b) Suscitare domande e rilanciare alcuni interrogativi profondi.

In un tempo come il nostro, un cambiamento d’epoca (cf. Francesco, Veritatis Gaudium, 3), sono le buone domande che attivano processi generativi. Diceva il Cardinal Martini:

«Credo che non sia il momento di cercare risposte universali. Ricordo sempre un principio pastorale e psicologico fondamentale secondo il quale le risposte cadono su un terreno fertile solo quando prima è stata posta una domanda, quando ho osservato o ascoltato» (cf. C.M. Martini – G. Sporschill, Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede).

Come più volte ha affermato Papa Francesco, oggi è più importante avviare processi che divengano nel tempo generativi per le comunità cristiane, piuttosto che elaborare ‘ricette pastorali’ che tendono a schiacciare le comunità cristiane sulle urgenze immediate lasciando intrappolate le persone in una mentalità che ha perso il sapore del Vangelo.

Oggi è tempo di decidersi per un discernimento profondo, che assuma la dinamica della Pasqua lasciando spazio al nuovo che lo Spirito sta già attuando, cogliendo quelle opportunità che germogliano già ora nelle crisi evidenti.

Per fare ciò occorre assumere uno sguardo illuminato dalla fede. Un’affermazione scontata? Forse, ma questa necessaria premessa diviene fondamentale se non si vuole restare chiusi nelle criticità, nella banalità o nel pessimismo di chi non riesce a fidarsi del fatto che tutto ciò che ci accade non è altro che un segno profetico di ciò che lo Spirito sta suggerendo alla sua Chiesa. Uno sguardo filtrato dall’Amore. Anche qui ci vengono in aiuto le parole del romanzo citato che facciamo nostre come overture di questa modesta riflessione: «Vorrei che il buon Dio mi aprisse occhi e orecchie, mi concedesse di vedere il suo volto, di udire la sua voce. È pretendere troppo forse? Il volto della mia parrocchia! Il suo sguardo! Dev’essere uno sguardo mite, triste, paziente, e mi immagino che sia pressappoco come il mio quando non annaspo più, quando mi lascio trascinare da quell’immenso fiume che ci conduce tutti indistintamente, vivi e morti, verso la profonda Eternità. Uno sguardo che sarebbe quello della cristianità, di tutte le parrocchie o anche … lo sguardo, forse, della povera razza umana? Quello che Dio vide dall’alto della Croce» (G. Bernanos, Diario di un parroco di campagna).