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ESPOSIZIONI

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LA CROCE: SOVVERTIMENTO DELLA GIUSTIZIA

Attraverso gli stimoli dell’antropologo René Girard e delle letture che ci stanno conducendo alla Pasqua, una riflessione personale che pone in mezzo il corpo, il capro espiatorio, la colpa che salva.

Riflettere sulla croce mi ha portato a riprendere in mano il testo ‘La violenza e il sacro’ dell’antropologo René Girard. Secondo Girard ogni istituzione, compresa quella giuridica, si fonda sulla necessità di deviare la violenza sociale inappagata verso una vittima sostitutiva. Un capro espiatorio. Non è espiazione dal peccato, dal male, ma struttura come proiezione immaginaria necessaria, volta a preservare la comunità dalla violenza autodistruttrice. “Si può ingannare la violenza solo se le si dà in pasto una vittima sostitutiva così da darle sfogo”. Ha come presupposto una visione negativa dell’uomo, homo homini lupus. Tuttavia…

Si può arrivare anche a scegliere delle categorie di persone, e non di animali, sacrificabili. Sterminarle se necessario. Delimitazione del bene. Lager contenitivo del proprio male, oggetto verso il quale riversare violenza. Omosessuali, migranti, disabili, peccatori… La legge preserva dalla vendetta. È violenza giustificata per legge.

Riflettevo sulle letture quaresimali che ci portano sulla soglia della Settimana Santa. Di come i Giudei si comportano con la donna adultera. Riflettevo su di me, sulla Chiesa. Le nostre colpe ci portano ad accusare gli altri, un altro. L’adultera. Dare la colpa, colpevolizzare. Sfogare all’esterno una pulsione interna.  Fuggire. Sfuggire dalla propria colpa. Capro espiatorio.

Quale è il mio capro espiatorio? Quale è per la Chiesa oggi, di fronte agli abusi o ad un modo malato di gestire il potere e il possesso?

Io ho una grande responsabilità per aver sacrificato delle persone a cui volevo bene per tenere in equilibrio il mio ordine interno. Non ho avuto il coraggio di espormi. La Pasqua chiede altro. di sottopormi alla croce, pormi sotto, contemplazione del corpo esposto, deposto e poi risorto e glorioso. Ecce homo. Corpo che attraversa i muri dell’egoismo, le chiusure della paura pur non essendo un fantasma. Corpo.

“Qualsiasi comprensione è critica, coincide con una crisi del sistema, una minaccia di disintegrazione. L’apparato che dissimula l’identità reale della violenza illegale e della violenza legale, per quanto imponente esso sia, finisce sempre per scrostarsi, screpolarsi, e infine crollare. La verità soggiacente affiora, ed ecco risorgere la reciprocità delle rappresaglie” (Girard).

Posto in mezzo: il corpo della donna adultera, la croce del Cristo. Tra i peccatori, i ladroni, i sapienti, gli accusatori. Posta in mezzo e non vista. Esposta. “Chi è senza peccato…”. “Tu sei quella donna, non te ne accorgi?”, sottotesto. Scagliare contro se stessi la pietra. Invece di un altro che assume la propria colpa. Come l’idiota, il folle, la minorata, il carcerato in una società ‘per bene’. Come il Cristo, in una società normata. Gesù non perdona i nostri peccati, non muore per i nostri peccati. Li assume, li assorbe, li libera. Non è atto di volizione ma di deposizione. Non è lì per cancellare una colpa ma per indicare una via.

Lui si pone sotto, in basso. Si sotto-pone a giudizio. Chiede poi loro di esporsi, dopo che essi avevano im-posto, al centro, il corpo della donna. Come Lui espone Giuda. Chiede di esporre i loro corpi al centro. Spiazza, decentra. Lui stesso, corpo esposto sulla croce.

Cristo rompe l’illusione, la proiezione ideologica. Non discute, non argomenta. Si sottrae verbalmente e fisicamente. Decentra il capro espiatorio mettendo al centro le persone, la comunità, i condannanti, l’istituzione…

Proiettare fuori. Gettare fuori la pietra. Scagliarla. È l’invito di Gesù che sale dalla terra. Che gioca con la polvere. Es-pone- Pone fuori. Non im-pone. Non in-segna… di-segna con le dita a terra: trae un segno dalla polvere: Lazzaro. Il risorto, la risorta. Poi li lascia andare. Non li possiede. Sale al cielo.

Ho visto dentro di me. Ho provato terrore. Questa volta non per come mi potessero vedere gli altri, ma per come io potevo vedermi. Mi si è raggelato il sangue. Mi sono vergognato. Estraneo a me stesso. Mi guardavo straniero. Terra straniera. Eppure ero io. Potevo gettare via le monete-sollievo per aver venduto ciò che mi era più caro per difendermi dalle mie paure. Potevo poi, distrutto dal senso di colpa, impiccarmi ad una croce senza alcuna resurrezione. Ci sono due croci a Gerusalemme, quella di Giuda e quella del Cristo. Giuda consegna Gesù. Quel Giuda che una volta scoperto nelle sue intenzioni, una volta esposto agli altri e a se stesso, si annulla nella notte per non essere più visto. Regressione. Giuda non è deposto, resterà l’ap-peso. Torna per accusare, bacio-offerta del capro espiatorio. Eliminare l’offesa, lo smascheramento.

La croce. Spossessamento. Ribaltamento, offerta ‘a vuoto’.

Lazzaro, sepolcro chiuso. Corpo riposto che verrà esposto, ex-posto. Gesù non restituisce Lazzaro lo libera. Lo libera da ciò che hanno perso. Non è più il Lazzaro che conoscevano. Ma non è più il fantasma di quello che cercavano. Ora è un segno.

Per troppo tempo ho continuato a cercare ciò che avevo perso. Cercare tra i morti colui che era risorto. Non vedere il bene che viene, ma cercare il bene mancato e farlo ancora e poi ancora. Questo è l’inferno. Per me, per gli altri. L’inferno dei viventi (Calvino).

Corpo offerto, esposto, sofferto, spezzato. Ultima cena. Non opposto ma deposto. Corpo espiatorio per il bene comune.

Entrare nella verità, è allora come essere all’interno della fornace di fuoco ardente. Restare nella Parola, in Lui, permette di resistervi. Nel vento pieno di rugiada. Pianto di consapevolezza. Illesi, mentre la fiamma divampa, purifica, libera.

Apertura della compassione. Riconoscibilità dell’altro che io stesso sono. “Chi è senza peccato…”. È liberazione giustificata per amore.