Scroll Top

Sognare, accompagnare, liberare

footprints-2705826_1280
Tempo di lettura: 3 minuti

LO STILE DI SAN GIUSEPPE ORIENTA LA “PATERNITA’ PASTORALE”

La «grazia della paternità» (cf. Francesco, Meditazione in Domus Sanctae Marthae, 26.VI.2013) ha raggiunto anche me nel particolare contesto dell’indizione dell’anno speciale dedicato a San Giuseppe, patrono della Chiesa (Francesco, Lettera Apostolica Patris Corde, 8.XII.2020). Questa ‘Dio-incidenza’ è occasione per rileggere la mia ‘neonata’ esperienza – in via di esplorazione – nel tentativo di tradurre alcune intuizioni importanti in primo luogo per la mia crescita, ma che spero possano offrire qualche prospettiva concreta di ‘paternità pastorale’.

Essere ‘padri’ ha un significato profondo e offre diverse possibilità di riflessione, tanto più se questa esperienza viene riletta all’‘ombra’ di San Giuseppe. Scelgo perciò di concentrarmi su tre aspetti, che traggo dalla narrazione biblica dei Vangeli sinottici e ritengo prioritari per il panorama pastorale attuale, anche alla luce dell’esperienza che vivo nelle Diocesi italiane con il team del Centro Studi Missione Emmaus.

SOGNARE

Giuseppe ci viene presentato in prima battuta alle prese con un sogno: una sfida che egli affronta da vero leader, facendo la cosa ‘giusta’, intraprendendo una ‘terza via’ che apre ad orizzonti impensabili e dai risvolti a dir poco sorprendenti. Qui viene messo in luce un tratto fondamentale della paternità: padre è colui che va oltre il limite del presente, spalancando nuovi orizzonti più ampi e generativi. Il padre trasmette al figlio un «coraggio creativo», che conduce oltre le incertezze del presente e procede in avanti, fiducioso nella bontà della vita e dell’Amore del Padre Celeste.

Pastoralmente questa capacità di sognare e di allargare gli orizzonti si traduce nella ricerca di un nuovo paradigma dell’azione pastorale. Oggi siamo chiamati a ricercare una ‘terza via’ per le nostre comunità, una nuova ‘visione’, che può attuarsi solo a partire dal superamento di vecchi limiti o precomprensioni, per approdare a significati e prassi più autenticamente evangelici. È tempo di abbandonare le routine conosciute e le soluzioni scontate, per muoversi con coraggio verso una terra incontaminata, pur senza sapere cosa ci aspetterà.

ACCOMPAGNARE

In secondo luogo Giuseppe è colui che accompagna il figlio e la madre dapprima in Giudea e poi in Egitto. Sarà nuovamente un sogno a ridefinirne la missione e Giuseppe condurrà la sua famiglia a Nazaret prendendosene cura nella quotidianità della vita. Il padre sta accanto, sostiene e orienta, ma non si sostituisce all’altro.

L’accompagnamento pastorale è uno stile di prossimità che si mette al servizio dell’altro, fa crescere e valorizza i suoi doni. Accompagnare richiede di entrare in una logica di reciprocità, uscendo dalla logica alto/basso. Spesso si sente dire in campo pastorale: il cambiamento deve venire dal basso. Oppure: il cambiamento deve venire dall’alto. Queste impostazioni contraddicono l’ecclesiologia e la visione che ci viene offerta dal Concilio, perché la crescita avviene ‘dall’interno’. Non deve essere lasciata alla spontaneità, né può essere imposta. Ciò richiede un mettersi in gioco di tutti i soggetti della pastorale, potremmo dire una logica sinodale. Giuseppe, accompagnatore – accompagnato, è un segno luminoso di sinodalità per tutta la Chiesa.

LASCIAR ANDARE

Il Vangelo di Luca ci consegna un terzo tratto della figura di San Giuseppe che indica una direzione importante della paternità: il padre introduce al Tempio il figlio in alcune tappe importanti dell’esistenza. In qualche modo egli ‘consegna’ il figlio alla vita – come era stato per Abramo, figura archetipa di paternità – e il fatto dello smarrimento e ritrovamento di Gesù in occasione della festa pasquale, rafforza questo significato.

La paternità pastorale richiede di ‘lasciare andare’ i figli: molte prassi pastorali in atto oggi si concentrano nel cercare di trattenere, nel tentativo di un controllo. La direzione indicataci da Giuseppe è quella della libertà. Pastoralmente parlando è necessario oggi uscire dalla logica del possesso cercando di incarnare nelle scelte più concrete le parole di Gesù: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde» (Gv 12,24-25a).

Il giorno in cui mia figlia Ada è nata, abbiamo scelto di farle indossare una nuova tutina, tutta bianca con al centro la scritta little dreamer (piccola sognatrice). Nel contesto di crisi, che la pandemia ci costringe a vivere, ci sembrava una risposta all’altezza del dono ricevuto. Chiedo l’intercessione di San Giuseppe, affinché mi aiuti a farla sognare allargando i suoi orizzonti, ad accompagnarla giorno dopo giorno con pazienza e a farla cresce libera, per accogliere nella gratuità il dono della vita. Chiedo la medesima cosa per la tutta Chiesa.

Stefano Bucci. Appartiene al team del Centro Studi Missione Emmaus. Formatore di area teologica. Specializzatosi con un dottorato di ricerca sulla creatività pastorale. Opera come consulente e accompagnatore di processi pastorali nell’ambito della gestione del cambiamento ecclesiale.