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Il richiamo della foresta

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Tempo di lettura: 4 minuti

L’irresistibile riflesso della pastorale clericale: un caso concreto.

Era da parecchio che la chiesa parrocchiale non era così piena. C’erano più persone che alla messa di mezzanotte di Natale, o rispetto alla veglia Pasquale e persino più che la Domenica delle Palme quando, si sa, si può godere del bonus dell’animazione con i rami d’ulivo.

Il fatto acquisisce ulteriore rilevanza tenendo conto che l’incontro in chiesa era di domenica alle 16, nel bel mezzo di un pomeriggio primaverile, e non era legata ad alcuna celebrazione liturgica.

I parrocchiani avevano riempito la chiesa rispondendo ad un invito del parroco che aveva indetto una “assemblea pastorale per presentare un progetto di rilancio dell’oratorio”, invitando tutta la comunità a partecipare. E così è stato, o almeno doveva essere soprattutto riguardo la partecipazione attiva.

Un fatto senza precedenti

Prima di continuare, è bene a questo punto avvertire che quanto qui esposto rimanda ad un fatto recente realmente accaduto in una parrocchia dell’hinterland di una grande città.

Un’assemblea pastorale in chiesa la domenica pomeriggio è oggettivamente un segno di cambiamento: di una simile iniziativa quella parrocchia non aveva memoria, e forse era davvero senza precedenti.

Perché, peraltro, l’Assemblea si dovesse tenere in chiesa per parlare del futuro dell’oratorio non era chiaro, così come non era chiaro quale esito dovesse avere l’incontro: se informativo, consultivo, deliberativo.

Quanto al rilancio dell’oratorio, quello che era circolato nei giorni precedenti tra i parrocchiani era l’intenzione di ospitare nelle parti della struttura oratoriana non utilizzate un piccolo gruppo di adolescenti sottoposti a sanzione penale, alternativa alla carcerazione.

Non si conoscevano tuttavia i dettagli della proposta (finalità, condizioni, durata, relazioni con altri gruppi ed attività presenti, investimento economico) e ciò alimentava le fantasie più varie.

L’opinione pubblica parrocchiale era divisa tra favorevoli alla proposta, quale testimonianza di accoglienza e inclusione, e chi invece la considerava una ‘svendita’ sottobanco dell’oratorio, una minaccia per la comunità oltre che un danno alla sua immagine e reputazione, data la tipologia di adolescenti interessati. La questione aveva suscitato un certo sconcerto anche tra i genitori, preoccupati di possibili riflessi negativi di una simile presenza sui loro ragazzi .

Sta di fatto che veniva messa in gioco una delle caratteristiche chiave dell’oratorio: il suo essere (o essere considerato) luogo sicuro e protetto dove far crescere i ragazzi, in cui la comunità si poteva riconoscere.

Anti sinodalità in azione

Ed eccoci in chiesa. Una chiesa stipata, in cui si intrecciavano l’esigenza di avere maggiori elementi su cui riflettere, il desiderio di un confronto chiarificatore, le ansie ed i timori di quanto avrebbe prodotto questo cambiamento, le paranoie di chi si sente minacciato dal diverso

Ed è in questo scenario che scatta il riflesso clericale.

Il colpo d’occhio sulla scena parla chiaro: ci sono tre preti – il parroco, un responsabile diocesano, il responsabile degli adolescenti sotto provvedimento giudiziario – seduti attorno a un tavolino collocato ai piedi dell’altare, a livello delle panche. Di fronte i parrocchiani.

Nessun componente del consiglio pastorale, nessun educatore dell’oratorio, nessun moderatore o facilitatore del confronto in assemblea.

Dopo una breve preghiera iniziale (rito di sapore più scaramantico che spirituale) prende la parola il parroco, restando seduto, e così visibile solo alle file più vicine.

Ringrazia e si compiace per la folta presenza; introduce gli altri due sacerdoti ma non chiarisce il senso e l’obiettivo dell’assemblea, non motiva il fatto di ritrovarsi in chiesa, lasciando spazio alle fantasie di voler controllare la situazione (in chiesa ci si deve comportare bene), non parla di ascolto e di dialogo.

In realtà – si sarebbe poi scoperto successivamente – la scelta della Chiesa parrocchiale rispondeva ad esigenze organizzative e non pastorali o tantomeno spirituali: non si riusciva a trovare sedie sufficienti e persone disponibili a predisporre un salone per tenere l’incontro in un altro luogo.  Peccato però non averlo chiarito: farlo avrebbe sgomberato il campo da retropensieri e consentito di introdurre con chiarezza e onestà il problema di fondo: la mancanza di sostenibilità della struttura oratoriana (sia gestionale che educativa) e la necessità di trovare soluzioni alternative a sostegno, magari capaci di rilanciare in modo diverso l’oratorio, anche scuotendo la coscienza dei fedeli. Aspetti su cui ragionare e coinvolgere la comunità…

A questo punto le scelte su come proseguire erano due: mettersi in ascolto oppure far stare in ascolto. Il riflesso clericale non ha avuto dubbi.

Interviene quindi il responsabile diocesano, che al precedente aggiunge un ulteriore riflesso paternalistico: “mo’ vi spiego”. Così, al posto di favorire un discernimento e confronto adulto sulla situazione di crisi in cui versano gli oratori, specie riguardo alla fascia pre/adolescenziale, propone una narrazione storico-apologetica generica della vicenda oratoriana, di taglio rassicurante, segnalando come gli oratori sono sempre in cambiamento, ne hanno viste e passate tante, e dunque non c’è da stupirsi anche stavolta.

Quindi interviene il terzo sacerdote, il quale -mangiata la foglia – prudentemente si limita a segnalare la disponibilità a mettere a disposizione dell’oratorio parrocchiale la sua lunga esperienza nel campo del recupero adolescenziale, ma che ovviamente sarebbe servito un consenso e sostegno convinto da parte della comunità…

E’ l’ora che pia …

Tre preti, tre interventi. È ormai trascorsa un’ora: le persone rumoreggiano, nessuno ha avuto ancora modo di esprimersi, intervenire, domandare. Quando si aprono infine gli interventi inevitabilmente si innesca una modalità di dibattito tra controparti.

Si raccolgono commenti e domande, ma le risposte dei responsabili lasciano disattese le esigenze di comprendere meglio le modalità di attuazione della proposta, deludendo i presenti e alimentando atteggiamenti polemici.

Emerge tra l’altro dal confronto che non è stato fatto alcun lavoro di rete, in primis con l’amministrazione comunale, la quale a sua volta, piccata, si è chiamata fuori.

Nel frattempo, il parroco segnala di sbrigarsi ad intervenire, perché a breve sarebbe stata distribuita una scheda per esprimere un ‘sì’ o un ‘no’ alla proposta. Nessuno sapeva della votazione, una mossa inattesa, imprevista, che lascia ulteriormente perplessi e vissuta come forzatura: si vuole chiudere la questione? come votare se mancano le informazioni? che valenza avrà questa votazione rispetto alla decisione finale?

A questo punto una parte dell’assemblea si alza ed esce, rifiutando di stare al gioco.

Il tempo delle repliche dei due preti ospiti e poi l’invito ulteriore del parroco a fare presto, perché tra pochi minuti doveva iniziare la messa vespertina delle 18.

Gran finale paradossale: la chiesa parrocchiale era piena come da tempo non si vedeva ma mai si sarebbe potuto immaginare quanta gente usciva dalla chiesa perché a breve sarebbe iniziata la messa!

Al momento non si sa nulla degli sviluppi.

PS: pare che il parroco avesse a suo tempo partecipato ad iniziative diocesane che utilizzavano l’esperienza dei tre giri di discernimento spirituale in chiave sinodale (ascolto, risonanza, purificazione): non sembra sia rimasta traccia. Il riflesso clericale è irresistibile.