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Oratorio Annozero?

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Tempo di lettura: 8 minuti

PER UN PASTORALE GIOVANILE ANTIFRAGILE

Roberto Mauri – Centro Studi Missione Emmaus

L’estate è alle porte e c’è grande discussione su come garantire esperienze educative estive. Qui gli oratori hanno avuto sempre un ruolo chiave e per molte realtà rappresenta il motore pastorale dell’esperienza oratoriana. Ma è sufficiente adattarsi o resistere come oratori? Oppure nela prospettiva antifragile saper accettare la sfida di ripensarsi profondamente, immaginare un oratorio nuovo e non semplicemente adeguato ai tempi?

“Forse non è un azzardo affermare che il nuovo secolo inizia adesso”. Così inizia il recente documento ‘Aperto per ferie. Progetto per l’estate ragazzi in tempo di pandemia’ redatto dal Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile della CEI.  

Un incipit d’effetto, coraggioso e impegnativo che comunica un background presente in altri eventi di carattere nazionale come l’Happening degli Oratori previsto per settembre “Facciamo fuori l’oratorio” o il corso di formazione degli oratori lombardi (ODL) “Stai in zona”, come molte altre iniziative che mirano ad arginare il vuoto educativo previsto per questa estate che sono modellate sull’incipit “Grestiamo a casa”

Ma la questione del nuovo inizio non può essere limitata alla soluzione del problema dell’oratorio estivo, benché l’estate rappresenti ormai da tempo la stagione forte dell’azione e presenza oratoriana e di molta pastorale giovanile. 

Si tratta di riconoscere la serietà della situazione nella quale ci siamo venuti a trovare.

E’ noto e comprensibile che, di fronte all’inatteso, possono scattare nelle aggregazioni ecclesiali ricche di storia (associazioni, parrocchie, oratori, organismi diocesani, …) meccanismi di difesa, di adattamento e resilienza.

Tuttavia, il nuovo inizio a ben vedere va oltre e riguarda tutto: non siamo solo al ‘primo anno del secolo’ ma, si potrebbe ben dire, all’anno zero degli oratori e dell’associazionismo giovanile ecclesiale. Oggi la pastorale giovanile, oratoriana e non solo, si trova di fronte a una data ed un passaggio epocale, da affiancare ad altre date e momenti storici del suo percorso.

Quando solo un anno fa gli Oratori Ambrosiani – la realtà più grande della pastorale giovanile – lanciavano l’iniziativa ‘Oratorio 2020’ in vista di un rilancio progettuale certo non immaginavano di dover affrontare un passaggio così radicale: il 2020 da traguardo è diventato esordio, da anno della ripartenza ad anno di (ri)nascita: un nuovo inizio, un ‘anno zero’, appunto.

Molti a questo punto contesteranno che gli oratori hanno una storia ed una tradizione lunga e gloriosa che va rispettata, sostenendo che sia assurdo pensare oggi in termini di una loro rifondazione: ma “la tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri” (Gustav Mahler).

Suonano oggi profetiche le parole dell’Arcivescovo Mario Delpini nel suo ‘Messaggio alla Diocesi in apertura del percorso Oratorio 2020 – Quali oratori per fare oratorio’: “Gli adattamenti si sono fatti un po’ per volta. Ci sono però dei momenti in cui si deve mettere mano all’impresa un po’ più impegnativa e complessa di un ripensamento complessivo della proposta educativa dell’oratorio”.

Oggi quell’invito appare se possibile ancora più stringente ed urgente non sembra più adeguato alla situazione: la realtà, la vita reale, supera l’idea, come direbbe Papa Francesco (EG 233). La realtà ha superato l’ideazione e l’immaginazione, forse la stessa esigenza della cautela.  

Sempre in quel Messaggio, l’Arcivescovo Delpini utilizzò la metafora delle scarpe da cambiare perché divenute strette: una immagine efficace che spronava al cambiamento restando comunque all’interno del paradigma che lo richiedeva. Ma oggi affrontare il cambiamento in atto impone un cambio di paradigma, di visione: non è più questione di scarpe quando si tratta di camminare scalzi!

In altre parole, come qualcuno ha detto, approcci e progetti educativi funzionano come le scarpe: quando diventano troppo (s)comode significa che è ora di cambiarle…

ORATORI ‘SCOMPARSI’

“Quando osserviamo le stelle stiamo guardando il passato” ci avverte acutamente l’epistemologo Michel Serres: la luce che ci arriva appartiene a delle realtà ormai scomparse. Oggi questo vale anche per gli oratori: quello che vediamo per molti versi non esiste più, anche se si ostina a brillare, come stelle morte da tempo, ignare della propria fine. Non facciamoci ingannare, dunque, dalle apparenze.

Da sempre gli oratori hanno sviluppato grande flessibilità e capacità resilienti nel cercare di affrontare e superare le diverse e complesse sfide poste dalle ripetute ondate di cambiamenti socio-culturali, in generale, e dalle trasformazioni della condizione giovanile, in particolare. In particolare, quello che oggi possiamo osservare sono i riflessi prodotti dagli sforzi condotti per meglio conoscere la situazione degli oratori (tra gli altri, le indagini promosse a più riprese a partire dall’anno 2000) e gli esiti della progressiva standardizzazione della proposta educativa (temi annuali ed estivi, sussidi, stretta calendarizzazione degli eventi …).  

A fronte dell’appassionato tentativo di adattare la ‘formula oratoriana’ ai continui mutamenti di scenario socio-religioso nel tentativo di salvaguardare la propria identità e sopravvivenza, abbiamo addirittura assistito ad una trasformazione della natura degli oratori in ‘o.g.m.’, ‘oratori geneticamente modificati’. Non si potrebbe infatti definire diversamente la drastica mutazione intervenuta, ben evidenziata da aspetti quali:

– l’adozione di un nuovo baricentro di appartenenza, ovvero la centralità assegnata alla famiglia/bambini nell’età dell’iniziazione cristiana rispetto alla valorizzazione della presenza giovanile;

– la sempre più marcata settorializzazione per ambiti di attività e la relativa gerarchizzazione interna (catechismo, animazione, sport, caritativa …) che premia l’efficienza e la convivenza tra ruoli e figure diversi senza pervenire ad una effettiva comunità educante (emblematica al proposito la dialettica irrisolta tra catechiste e allenatori);

–  la progressiva stagionalità (spesso subìta più che gestita) e la conseguente enfasi sull’estate e l’adeguamento alle richieste di servizio socio-ricreativo.

Le risorse adattative e le risposte resilienti sono preziose e necessarie per garantire continuità di presenza; hanno tuttavia il grave limite di adeguarsi al presente, avendo nella esperienza e nella tradizione – ovvero nel passato – i loro principali riferimenti. Sono invece piuttosto inadeguate nel cogliere ed aprirsi al futuro. L’abbondante ricorso ad approcci e modelli di tipo adattativo e resiliente ha tra i suoi effetti quello di costringere gli oratori a vivere in uno squilibrio strutturale permanente, che alla fine porta all’implosione: per un verso infatti l’oratorio è governato e sollecitato dal riferimento alla sua storia e tradizione, ai suoi miti e valori fondativi, a cui non può rinunciare e che non possono essere smentiti. E’ il versante della appartenenza (storica, istituzionale, culturale, religiosa). Sull’altro versante, per vocazione l’oratorio mira a proporsi ed inserirsi nella comunità umana/giovanile: in questo senso è fondamentale la sua valenza operativa, ovvero la conoscenza e sperimentazione di pratiche e applicazioni secondo un criterio di efficacia. Non a caso questo squilibrio è una delle ragioni alla base della mancata elaborazione di un progetto educativo in molti oratori, bloccati dal non sapere come coniugare la fedeltà all’identità originaria e la necessità di elaborare nuovi modelli operativi.

ORATORI ‘ANTIFRAGILI’

Per affrontare il cambiamento epocale di cui cominciamo ad avere consapevolezza, occorre anzitutto accettare il cambiamento stesso, accettare il fatto che ‘le cose di prima sono passate e ne sono nate di nuove’ (cf. Ap 21,4-5): il sistema che ha prodotto e nel quale hanno operato gli oratori non c’è più, e dunque l’oratorio precedente non esiste più. Se in precedenza hanno prevalso paradigmi adattativi e resilienti oggi occorre aprirsi ad una prospettiva ed una visione ulteriore e generativa.

Si tratta pertanto invece di affrontare questo cambiamento d’epoca adottando un nuovo paradigma, basato non solo sulla necessaria capacità di adattamento e resilienza ma soprattutto che sappia muoversi in chiave ‘antifragile’. Antifragile non significa negare la fragilità o rifiutarsi di affrontarne il patimento. Al contrario la condizione di fragilità diventa un’opportunità conoscitiva e pratica.

Si sceglie quindi di non semplicemente adattarsi né di resistere alla fragilità che accompagna questi giorni “modellati” secondo questa prospettiva, ma assumerla come modalità di discernimento generativa di nuove prassi.    

I sistemi e le comunità, nel nostro caso i nuovi ‘oratori’, antifragili crescono spontaneamente in forma auto-organizzata, senza pretendere soluzioni in modo preordinato. Essi individuano spazi di futuro traendo profitto dalla casualità e dalle esperienze sia positive che di apparente minor successo: la fragilità delle singole parti, accogliendosi e raccordandosi rendono antifragili i sistemi che si generano, resi forti grazie alle difficoltà incontrate.

L’approccio antifragile è più presente di quanto sembri: basti ricordare, in altro ambito, il cosiddetto ‘calcio totale’ dell’Olanda degli anni’70, cioè quello stile di gioco nel quale nessun giocatore rimaneva ancorato al proprio ruolo e nel corso della partita poteva operare indifferentemente nelle diverse zone del campo. Piccoli errori ed imprecisioni individuali, il superamento della specializzazione nei ruoli e della ripartizione delle aree di competenza hanno potuto consentire grande efficacia collettiva ed inventiva, come dimostrano l’adozione per la prima volta del fuorigioco e del pressing.

Anche nel corso della vicenda oratoriana si possono ritrovare molti germogli antifragili. Molte fortune e successi dell’oratorio non sono quasi mai state prodotte da documenti redatti a tavolino o da pianificazioni centralizzate ma dalle esperienze creativamente e spontaneamente generate dagli oratori nel loro insieme, e solo in seguito portate a sistema e modello canonico. Ecco alcuni esempi di azioni antifragili oratoriane:   

– il passaggio spontaneo (non previsto e faticosamente regolamentato a posteriori) da oratori maschili e femminili a oratori ‘misti’ (ribattezzati in ‘unitari’) negli anni ’70;

– le cosiddette ‘raccolte della carta/indumenti’ ad impronta missionaria e solidaristica degli anni’80, antesignane del volontariato solidaristico e della diffusione delle iniziative Caritas;

– la crescita spontanea del fenomeno dei campeggi oratoriani come esperienze forti, poi riletti in termini di campi scuola;

– i ‘grandi giochi’ a tema, geniale sintesi di animazione, narrazione e rappresentazione scenica, poi rielaborati sotto forma di proposte/sussidi per l’estate o per il carnevale;

– più recentemente, le esperienze dei ‘10 Comandamenti’ o il cammino dei Giovani verso Assisi, che raccolgono centinaia di giovani adulti originatisi dal basso, al di fuori dei cammini ufficiali

Tutti aspetti frutto della fertile inventiva generativa di una serie di realtà periferiche, e solo successivamente istituzionalizzati.

ORATORIO ‘ANNOZERO’

Siamo all’anno zero. Non si tratta di una affermazione retorica ad effetto. Oggi sono le stesse coordinate spazio/tempo ad essere cambiate, in senso aperto e multidimensionale. Il concetto di tempo libero e di vacanza vanno ripensati prima ancora di porsi il problema di dare risposte organizzative.  

Cosa comporta il riconoscimento di un anno zero per l’oratorio? Anzitutto, come abbiamo detto, l’adozione di un diverso paradigma, una nuova visione del reale e della realtà giovanile. Occorre evitare il rischio di essere definiti dalle proprie azioni piuttosto che da una visione distintiva. Adottare un approccio ‘antifragile’ offre al nuovo oratorio la possibilità di “iniziare processi più che di possedere spazi” (EG 223).

La nuova priorità nell’annozero è la scelta di un approccio sinodale e non verticale, positivamente fallibile e imperfetto, despecializzato, che non confonde complessità e complicatezza, cerca e non teme la variabilità, l’esplorazione e la sperimentazione.

L’anno zero si esprime anche in un nuovo rapporto tra educazione e libertà, capovolgendo la tradizionale prospettiva: non si tratta di educare alla libertà, come il modello tradizionale vorrebbe, ma che la libertà è per sé stessa educante ribaltando quindi la prospettiva. Un passaggio da ‘educare alla libertà a ‘la libertà è educativa’.

Si apre così la scelta su un ventaglio ampio di possibilità piuttosto che prescriverle e incanalarle: creatività, invenzione, innovazione, pur accompagnate da inevitabili incertezze, perplessità, titubanze.

L’annozero degli oratori è dunque un anno di grazia, in cui ‘liberare’ e liberarsi: come quando dal blocco di marmo emerge il capolavoro che esso contiene, grazie all’opera insieme competente e visionaria, all’inizio apparentemente approssimativa, dell’artista.

Possibili piste di lavoro, in cui attivare un percorso di accompagnamento, e che suggerisco nella prospettiva antifragile possono essere

– la costruzione del nuovo immaginario oratoriano, per narrare l’oratorio e l’esperienza oratoriana con altri intrecci, segni e linguaggi;

– il passaggio dal ‘fare spazio’ a sempre nuove attività al ‘far entrare’ nuovi soggetti, favorendo l’’esserci’ più compiutamente nella relazione, per procedere dall’accoglienza alla ospitalità;

– la conversione dal programmare i contenuti (rispondere ai bisogni) al curare i processi (coltivare il desiderio);

– la rinuncia a rincorrere modalità autosufficienti e soprattutto autoriparative ed accettare di mettere in rete le singole fragilità, così che queste non restino separate ma si possano incontrare per realizzare un ‘noi’ che rende più forti.

Perché non dedicare allora questi mesi a coltivare germogli e lasciare che si sprigioni la creatività della base oratoriana della comunità giovanile? Perché non consentire di provare, sbagliare e immaginare invece di predisporre le linee guida e i sussidi per teorici piani d’azione?  

Si tratta per gli oratori di andare oltre il ‘ripartire meglio’. Non è più il tempo di nuove progettazioni ma di immaginare il nuovo, lasciarlo emergere, ‘inventare’ un ‘oratorio’ che non esiste.