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La scure alla radice

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Tempo di lettura: 4 minuti

PER UNA GIOVANE PASTORALE GIOVANILE

E’ tempo per la Pastorale Giovanile di ripensarsi radicalmente, accogliendo senza riserve il ‘cambio d’epoca’ attuale.

Esso chiede alla PG non solo un cambio di passo ma un ‘cambio di paradigma’: rinunciare alla illusione di un approccio ed inserimento ‘morbido’ e pianificato dei giovani nella comunità, assegnando loro precocemente ruoli funzionali agli assetti pastorali esistenti. Ed accettare – per contro – di ‘lasciar(si) andare con loro e per loro, diventare ‘leggeri’, fidarsi della libertà, affrontare fratture e fragilità di questa età come spiragli da cui filtra luce.

Una PG sinodale 

La PG negli ultimi decenni si è sfiancata su un approccio progettuale, via via fino al suo attuale esaurimento: dall’adulto al giovane, dal centro alla periferia, dai bisogni alle risposte, dai problemi alle soluzioni. 

Questo approccio ha mostrato i suoi molti pregi ed ancor più i suoi grandi limiti pastorali, rischiando oggi di essere di ‘scandalo’, ovvero una pietra di inciampo, un ostacolo più che una risposta al problema.

Il cambio di paradigma richiesto alla PG comporta che l’approccio progettuale venga profondamente riconsiderato all’interno di un nuovo e più fecondo stile sinodale nei confronti dei giovani: “non fare soltanto qualcosa ‘per loro’ ma di vivere in comunione ‘con loro’, crescendo insieme nella comprensione del Vangelo e nella ricerca delle forme più autentiche per viverlo e testimoniarlo” (Doc. finale Sinodo sui giovani, 116).

Nello stile sinodale, diversamente da quello progettuale, i risultati attesi non sono preordinati o predefiniti, il cammino è altrettanto se non più importante della meta, le esperienze definiscono gli obiettivi e non il contrario, la leggerezza e l’imponderabile sono risorse altrettanto importanti come il controllo dei tempi e delle risorse. 

I cammini sinodali che il Papa ha chiesto alla Chiesa Italiana di intraprendere possono costituire una grande occasione sia di ‘purificazione’ per la PG che di incontro ed ascolto dei giovani.

Tutto questo richiede una revisione profonda del ruolo dell’educatore, da formatore ad accompagnatore, da insegnante a consegnante, da esperto a testimone.

Una PG iniziatica

Cambiare paradigma per la PG comporta prevedere, ricercare e proporre segni e situazioni di discontinuità rispetto ai percorsi di fede precedenti.

Non si tratta di ricapitolare e approfondire le prassi evangelizzanti già operate nella precedente fase di ‘iniziazione cristiana’ ma di scoprire, stupirsi, aprirsi a qualcosa di diverso, mai prima immaginato.

Come l’adolescenza/giovinezza si presenta in termini di transizione, attraverso un percorso iniziatico, alla vita adulta, analogamente la PG può considerarsi una lunga, articolata proposta iniziatica, che accompagna l’ado/giovane nella sua transizione alla fede adulta.

Una PG impostata secondo un approccio iniziatico considera e riprende i tre momenti chiave di questo processo: la ‘separazione’ dalla precedente condizione infantile, l’uscita/allontanamento dal confort di un certo format catechistico/liturgico; una ‘morte simbolica’ della fede dell’infanzia: il ritorno, ri-accoglienza, ri-conoscimento nella comunità nella nuova veste adulta.

Il noto brano di Gesù dodicenne tra i ‘dottori del Tempio’ può essere considerato emblematico dal punto di vista iniziatico, nelle sue diverse fasi: distacco dai genitori/comunità di fede; iniziativa ‘trasgressiva’ non autorizzata/prevista; verifica della fede ricevuta; rivendicazione dell’esperienza di emancipazione; rientro nel gruppo/comunità di fede con un proprio ritmo di crescita. Si noti la scelta dei genitori/educatori di ‘custodire’ il cambiamento avvenuto ed in corso.

In questo senso la PG opera nel sottolineare gli aspetti di discontinuità, di ‘separazione’ con le prassi e le credenze precedenti per favorire un’esperienza di fede originale e personale.

Una PG ‘generativa’

La nuova PG necessita di essere non solo ‘educante’, come in modo quasi ossessivo si ripete (forse per autoconvincersi), ma ancor più di diventare ‘generativa’.

Essere ‘generativi’ comporta l’unione fertile del maschile e del femminile, il codice paterno con il codice materno. Il primo rimanda alle istanze di separazione e autonomia, il ‘mettere al mondo, per il mondo’; il secondo riguarda il prendersi cura, alimentare e sostenere ciò che è stato messo al mondo. Una generatività vera ed efficace è l’esito del contributo armonico di entrambi i codici.

La metafora della ‘casa’ come offerta ed esito della proposta della comunità cristiana ai giovani andrebbe ben bilanciata sui versanti materno e paterno.

Forse più che una ‘casa’ al giovane andrebbe proposta, in assonanza sinodale, un ‘campo base’: un centro nevralgico, energetico e vitale, da cui si diramano esperienze, imprese, startup. Un reticolato di vita e di pensieri, che mantiene un centro, uno stile e un cuore ma che si sa decostruire e ricostruire insieme. Un punto cioè da cui si parte ed a cui si torna mentre si è impegnati nell’affrontare sfide ed esplorare il territorio.

Si tratta di contemperare le tradizionali inclinazioni centripete (in parrocchia, in oratorio …), talvolta giustificate solamente dalla preesistenza di strutture, dalla maggiore comodità e ansia di controllo, con spazi de-strutturati, de-istituzionalizzati, de-regolati, de-studiati, dove sperimentare l’incerto e l’errore, mettere alla prova la vita e la fede, perdere precedenti certezze e ritrovarne di nuove.

Una PG esperienziale

Una PG in grado di abitare il ‘cambio d’epoca’, accetta di ribaltare il tradizionale rapporto tra educazione ed esperienza.

Non si tratta di educare all’esperienza ma proporre esperienze da cui trarre aspetti educanti.

Dall’esperienza si inizia e non all’esperienza si arriva, come se fosse una applicazione/esemplificazione di principi e valori educativi teoricamente introdotti: l’esperienza precede l’educazione e ne diventa la condizione di efficacia.

L’approccio esperienziale è induttivo non deduttivo: non si ‘educa alla libertà’ ma si vivono/condividono esperienze di libertà che portano, attraverso il confronto e la rielaborazione, a valenze educative.

In questo senso, mentre l’approccio educativo classico privilegia e segue la logica del ‘progetto’ (progetto educativo, progetto pastorale, …) l’approccio esperienziale accorda priorità ai ‘processi’ (processo relazionale, processo d’ascolto …).

L’approccio esperienziale comporta che il processo educativo inizi da/con una esperienza, possibilmente significativa. Lo stesso incontrare Gesù è farne esperienza non sentirne parlare.

Siamo chiamati a passare dal tempo delle risposte al tempo delle domande che generano ascolto, riflessione, ricerca, cammino. E individuare le domande di senso è esercizio ben più sfidante che il dare risposte, perché costringe noi stessi ad uscire dalla autoreferenzialità. Ogni domanda che la PG fa ai giovani, è una domanda che fa a se stessa: “Le fatiche e fragilità dei giovani ci aiutano a essere migliori, le loro domande ci sfidano, i loro dubbi ci interpellano sulla qualità della nostra fede” (Doc.finale Sinodo sui giovani, 116).

Una pastorale non solo ‘per’ i giovani ma ‘a misura dei giovani’ tollera l’ansia del rischio e accetta l’incertezza di operare in modo poco strutturato, leggero, sperimentale: il desiderio di ‘generare’ buoni adolescenti e giovani ‘si fa generare’ dalla loro voglia di vivere oltre i tempi, gli spazi e le iniziative tipicamente ‘ecclesiocentriche’, ma una Chiesa di discepoli missionari.