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Il sacerdote e il buco nero

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Tempo di lettura: 3 minuti

ESSERE RESPONSABILI IN UNA COMUNITA’ AUTOREFERENZIALE

Quali sono i rischi di guidare una comunità autoreferenziale? Cosa si perde personalmente e comunitariamente come sacerdoti e come fedeli in questo contesto chiuso e autoconservativo? Come uscire in chiave pastorale da questo campo di forza gravitazionale?

Un buco nero è un corpo celeste che ha un campo gravitazionale fortissimo: attira a sé ogni altro elemento e non permette a nulla di uscire dalla propria area di influenza, neppure alla luce. Da esso è possibile allontanarsi soltanto attraverso l’esercizio di una forza contraria a quella gravitazionale, capace di opporsi e di sfuggirgli: tecnicamente la forza necessaria per riuscire a vincere l’impresa del ‘ritornare alla luce’ e uscire dall’orbita del buco nero prende il nome di velocità di fuga.

Questa immagine può costituire una provocazione per alcune delle nostre comunità cristiane, connotate da uno stile autoreferenziale, che cercano di mantenere in vita l’esistente, di non perdere il ritmo delle routine, di reclutare nuovi volontari per portare avanti quelle prassi che assorbono molte risorse e non producono così frequentemente frutti evangelici.

Chi esercita responsabilità in una organizzazione autoreferenziale (un ‘buco nero’) rischia più di altri di perdere il senso (la ‘luce’) del suo operare venendo risucchiato in un vortice di attività che a lungo andare diventano nocive per la propria esperienza comunitaria e – nel caso cristiano – per la propria vita di fede: questo vale per i sacerdoti, ma analogamente per gli operatori pastorali, i catechisti, i volontari, …

Una situazione ‘buco nero’ si verifica quando le aspettative della maggioranza di coloro che costituiscono un’organizzazione – nel nostro caso una comunità – perdono il contatto con il senso profondo che la costituisce e si concentrano sui propri interessi, più o meno religiosi. Proviamo a pensare, ad esempio, a cosa accade quando in un contesto simile si propone un cambiamento relativo all’orario di una messa, alla destinazione di uso di una struttura, o alla cessazione / modifica di un servizio che si ritiene non essere più pertinente alla mission della comunità: seguono solitamente proteste, lettere e in alcuni casi ci si rivolge addirittura al Vescovo, anche per questioni evangelicamente insignificanti.

Un sacerdote o un responsabile, che opera in un apparato autoreferenziale, si ritrova così in situazioni scomode che lo spingono ad assecondare le aspettative di alcuni parrocchiani concentrati sui propri interessi o che ostacolano un vero rinnovamento nel senso più autentico dell’essere comunità cristiana: la Chiesa – e in essa ogni comunità – è un segno vivo del Vangelo. Essa esiste per evangelizzare!!! Per uscire, incontrare e così portare la bellezza del Vangelo agli uomini e alle donne del nostro tempo.

Ecco dunque la direzione verso la quale mettere in atto la spinta necessaria (la ‘velocità di fuga’) per liberarsi dall’autoreferenzialità che intrappola la ‘luce’ delle nostre comunità. In altre parole occorre investire sul ‘discepolato missionario’: riscoprire la bellezza del dono ricevuto nel Battesimo e sperimentare nuovi modi di comunicarlo alle persone che intrecciano l’ordito della nostra quotidianità.

No, allora, al rimanere immobili di fronte alle cose che ‘vanno come vanno’, vittime di una inconscia paura che toglie linfa alla speranza e a lungo andare spegne ogni passione. No al disperdere energie in ‘battaglie minori’ contro parrocchiani delle aspettative lontane dalla mission della comunità, che pretendono che tutto resti come una volta o che il ‘loro’ servizio sia mantenuto in essere. Di fronte a queste persone non si deve assumere la logica della ‘pecora smarrita’, ma del ‘giovane ricco’ lasciandole perciò andare.

Sì, a riscoprire una visione forte, che traduca oggi il senso dell’essere comunità segno vivo del Vangelo. Sì a tenere ciò che è buono, ma soprattutto a lasciare da parte ciò che non serve più, ponendosi spesso la domanda del ‘perché’: perché fare questa scelta? Perché continuare a compiere questa prassi? Sì ad accompagnare ogni persona a divenire in modo sempre più pieno un discepolo missionario: appassionata nel riscoprire continuamente la relazione vitale con Gesù Cristo e desiderosa di condividere questa scoperta con gli altri.

La capacità di riscoprire la ‘luce’ (il senso) della vita delle nostre comunità cristiane passa attraverso il ridonare ‘velocità di fuga’ (tensione missionaria) ad ogni persona ridando slancio al suo essere Battezzato: discepolo missionario. Questa è la priorità da tenere ben presente come responsabili per non venire risucchiati dal ‘buco nero’ (autoreferenzialità) delle attività e ritrovare il gusto e la speranza del Vangelo.