UNA CHIESA CHE SA DI CASA – RIFLESSIONI #1
Cos’è una ‘casa’? Qual è il senso dell’‘abitare’? E quali sono i tratti di una fede e di un’azione pastorale plasmati su quello che viene chiamato ‘paradigma domestico’? In questi articoli condivideremo una serie di riflessioni che metteranno in luce alcune intuizioni, senza pretesa di sistematicità, ma nella consapevolezza che «si tratti della casa, delle stelle o del deserto, quello che fa la loro bellezza è invisibile» (Il Piccolo Principe, 1943).
In questo articolo metteremo in luce un primo tratto di questo paradigma legato in particolare alla pratica del discernimento. L’impressione è che questa pratica, oggi necessaria ma poco o male attuata, abbia a che fare con il ‘rumore del frigorifero’ della propria abitazione. Cosa significa questo? Lo diremo alla fine ovviamente.
«Ho scoperto una grande verità: e cioè che gli uomini abitano e che il senso delle cose per loro muta secondo il significato della casa». Le parole di Saint-Exupery (Cittadella, 1948) mettono in luce quel legame che unisce il senso dell’umano al senso dell’abitare. Oggi, anche a seguito dell’esperienza della pandemia che ha messo in evidenza le crisi già presenti in campo pastorale e nelle comunità cristiane, si sente parlare più spesso del tema della ‘casa’ o meglio del fatto che la vita ecclesiale sia chiamata a ripensarsi a partire da un nuovo approccio ‘domestico’ (anche se non inedito) alla fede.
LA CASA: LUOGO DI RIVELAZIONE DELL’INVISIBILE
La Scrittura inizia con la lettera ebraica b (bet), radice dell’espressione ‘casa’: la tradizione rabbinica sostiene che ciò comunichi il desiderio di Dio di donare un’abitazione all’umanità fin dal principio. Molti brani biblici accostano il Creatore ad un architetto o ad un costruttore di case (Gb 38,4-10; Pr 8,30; Is 45,18; Is 62,5). Tutta la Parola di Dio ci consegna molti elementi legati al senso della ‘casa’ e dell’‘abitare’: primo fra tutti il fatto che essa sia luogo di rivelazione e di salvezza per la persona.
Nei confronti dei Patriarchi Dio non solo dimostra l’importanza della ‘dimora’ per gli uomini e i suoi ‘casati’, ma utilizza l’idea di ‘luogo’ per manifestare la sua identità: «Io sono il Dio di Betel» (Gen 31,13), dove Bet-El (Casa-Dio) costituisce un luogo di riparo e di riposo, in cui avviene l’incontro tra Giacobbe e il Signore (Gen 28,16-17).
La ‘casa’ è una chiave di lettura privilegiata del cammino esodale, tanto è vero che la sintesi operata dall’autore sacro, si esprime con queste parole: «È il sacrificio della Pasqua per il Signore, il quale […] salvò le nostre case» (Es 12,27). La vicenda di Esodo è caratterizzata da una ‘arca-dimora’, in cui sono poste le tavole della legge e in cui risiede la presenza di Dio. Essa, giunti nella Terra Promessa, verrà collocata appunto in Betel (Gdc 20,26-27).
Nella casa si svolge la maggior parte della vita di Gesù. Nel Nuovo Testamento avviene quel passaggio decisivo dal ‘tempio’ alla ‘casa’ che plasmerà lo stile delle prime comunità cristiane. Questa centralità della casa emerge in tutti i Vangeli: in Luca, ad esempio, si nota il contrasto tra l’annunciazione vissuta da Zaccaria nel Tempio (Lc 1,5-25) e l’annunciazione a Maria, contestualizzata in uno spazio domestico (Lc 1,26-38), luogo di rivelazione e di salvezza straordinariamente ordinaria. Ed è nuovamente la casa il luogo che permette alla salvezza di raggiungere la vita, come nel caso di Zaccheo (Lc 19,9).
La casa nella Bibbia non è soltanto uno ‘spazio’, ma è percepita come un ‘luogo’ che rivela l’invisibile della vita, predispone all’incontro con l’altro e con Dio. In essa Egli raggiunge la vita dell’uomo toccando la sua fragilità e donandole salvezza.
UNA CASA PER FAMILIARIZZARE CON LA FRAGILITA’
Nella casa la persona vive un’esperienza fondamentale: essa viene al mondo senza il suo consenso e sperimenta un’estraneità, causa di spaesamento e di angoscia. La casa diviene perciò risposta concreta all’angoscia dell’uomo, luogo di riparo dalla paura del mondo: essa protegge le ‘funzioni vitali’ dell’uomo dalla possibilità della morte, divenendo riparo e rifugio. Ma ben presto la casa rivela il suo carattere ambivalente: nella casa può esserci conflitto, ricatto affettivo, violenza o situazioni mortifere che si creano proprio con chi ci sta accanto. Un’icona letteraria descrive la potenzialità mortifera della casa (Kafka, Racconti, 1984): un animale si costruisce una tana a prova di qualsiasi aggressione e, ossessionato da questo atteggiamento di difesa verso l’esterno, non si accorge che il predatore più pericoloso è abitante della sua stessa tana. Se da un lato la casa deve essere dotata di solide mura e buone serrature contro i pericoli esterni, dall’altro è utile che essa abbia porte e finestre capaci far uscire ed entrare.
L’esperienza della casa rivela un tratto distintivo dell’identità del suo abitante: abitare è riconoscere una sostanziale ‘fragilità’ della propria condizione segnata da una originaria solitudine che viene integrata soltanto dall’alterità. Questo aspetto trova nella casa la sua naturale espressione. La casa è il luogo che fa sperimentare l’impossibilità di trovare rifugio sicuro in questo mondo, ma che allo stesso tempo insegna ad essere se stessi, senza paura della propria e altrui fragilità in quanto c’è un Altro che si rivela e mi salva: «Ogni qualvolta il soggetto tenta di tener conto dell’altro e della molteplicità degli altri (delle loro esigenze, aspettative, ma anche dei loro sogni, limiti, debolezze, incertezze e persino delle loro manie e fobie) egli abita da uomo» (Petrosino, Lo spirito della casa, 2019). La casa è il luogo in cui famigliarizzare con la propria condizione umana, segnata dalla fragilità.
CONSIGLI PER UN DISCERNIMENTO ‘PASTORALMENTE DOMESTICO’
La casa è luogo di rivelazione e ci insegna a famigliarizzare con la nostra condizione umana (fragile). Essa comunica una serie di attenzioni strategiche da considerare nell’attuazione di un discernimento pastorale efficace, che sia vissuto in stile antifragile. I consigli che seguono si ispirano alle riflessioni proposte e traducono queste attenzioni delineando i tratti di un discernimento ‘pastoralmente domestico’:
– Caos vs. Mulino Bianco: dove non si percepisce la fragilità della condizione umana non è possibile effettuare un discernimento ancorato alla realtà. Molti contesti ecclesiali sembrano essere plasmati su ideali che ricordano un po’ le famiglie del Mulino Bianco. Sempre perfette, sempre felici, sempre carichi, anche al mattino prima di prendere il caffè. Ma la vita è ‘alti e bassi’, è disordine, è caos a volte, e proprio dal caos è nata la vita in una dinamica creativa. Il primo tratto necessario alla pratica del discernimento pastorale è verificare di non attuarlo in un contesto di ‘apparente perfezione’ o di ‘implicita rigidità’. Altrimenti non sarà possibile utilizzare la porta spirituale e pastorale della fragilità, facendo sì che lo Spirito la trasfiguri in opportunità antifragile;
– Cuore vs. Mente: il discernimento pastorale è una prassi relazionale. Non può avvenire se le relazioni tra coloro che mettono in atto questa prassi sono relazioni fredde o formali, dove la mente la fa da padrona schiacciando la dimensione profonda del cuore. La casa insegna a coltivare una adeguata valorizzazione dell’intimità. Essa è trovare la giusta vicinanza per ogni persona così da non soffocarla nella libertà e allo stesso tempo da farle percepire una presenza vitale. In una comunità o in un piccolo gruppo che opera un discernimento occorre ci sia una certa intimità reciproca e con il Signore Gesù;
– Germogli vs. Fuochi d’Artificio: non è nei grandi eventi o negli appuntamenti solenni che si compie un discernimento pastoralmente efficace – in essi magari si celebra una scelta maturata a partire da un processo di discernimento –, ma nelle piccole e ordinarie esperienze della vita narrate e condivise in una comunità. C’è un tempo ordinario, di attesa, che consente allo Spirito di rivelare la direzione e orientare le scelte. La pastorale oggi non ha bisogno di fuochi d’artificio (anche perché sarebbero ridicoli rispetto a quelli proposti da altre realtà), ma di affinare lo sguardo, cogliendo quei piccoli germogli di Vangelo che emergono dal terreno del contesto attuale, accompagnandoli nella crescita, valorizzandoli.
Il discernimento pastorale funziona proprio come il rumore del frigorifero della propria casa: nella casa ogni piccolo rumore parla di qualcosa o di qualcuno, consegna scadenze e dà indicazioni, rivela qualcosa di importante, perché c’è una famigliarità con quel luogo e con quelle persone. Tutti riconoscono il rumore del proprio frigorifero perché sono famigliari a quell’ambiente. Così dovrebbe essere il discernimento pastorale: una prassi agganciata alla realtà della vita, che richiede una certa famigliarità tra le persone che la attuano e con il Signore. Una prassi orientata dai ‘piccoli rumori’ che lo Spirito ci consegna, riconosciuti dai discepoli per la loro famigliarità con la vita interiore e con il Vangelo. Una prassi vissuta in un tempo di ordinarietà, che porta a piccole scelte, senza pretese di piani strategici titanici, ma che coltiva quei germogli di vita che è possibile aiutare a crescere.