RIFLESSIONI ALL’INIZIO DI QUESTA ‘NUOVA’ SETTIMANA SANTA
Siamo all’inizio della settimana santa ed allo stesso tempo sulla soglia di una porta che può aprirci a delle novità. Sapremo come Chiesa non reagire alla situazione che viviamo, come tamarisco nella steppa, ma agire innestando le nostre radici non sulla necessità ma sulla profezia? Guardare il nuovo, guardare intorno il bello che c’è e che viene svelato anche da questa emergenza? Sapremo divenire come alberi piantati lungo corsi d’acqua?
Siamo all’inizio della settimana santa.
Siamo arrivati al ‘picco’ cristiano, al punto di svolta, tanto per riprendere un linguaggio molto usato in questi giorni, il plateau dal quale poi inizia una nuova fase, una inversione di tendenza, un cambio di rotta.
Nelle settimane precedenti, da quando cioè è iniziata questa quaresima in forma inedita e drammatica, la Chiesa ha tenuto un profilo ordinato, obbediente e disciplinato, rispettosa delle indicazioni governative, almeno a livello gerarchico.
COME TAMARISCO NELLA STEPPA
L’impressione è che questo atteggiamento, consapevole e responsabile ma sostanzialmente passivo, abbia fatto perdere lucidità nel saper dare senso e direzione forte, alla luce della fede, a quanto stava accadendo: fornire cioè narrazioni di speranza, andando oltre il dato emotivo immediato proponendo criteri distintivi alle limitazioni imposte, cogliendo nuove ed inattese opportunità pastorali.
Ha corso il rischio di reagire all’avversità più che affrontarla in chiave generativa. Per riprendere le letture quaresimali, come un tamarisco nella steppa, pianta che si lascia plasmare dalle condizioni avverse accettandone però le inevitabili conseguenze: dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere. Una condanna all’isolamento autoreferenziale, all’incomprensione, all’incapacità di essere generativi. Ma il finale è ancora più forte: non vedrà venire il bene! Non sarà in grado di discernere, di cogliere la presenza dello Spirito nella realtà che sperimenta e farla esprimere, divenire nuova prassi.
LE LETTURE DOMINANTI SUBITE
Sembra che anche la Chiesa abbia subito alcune letture dominanti della crisi senza riuscire a proporre una sua ‘narrazione vitale’. Mettiamo in evidenza due letture che ci appaiono sia state quelle più utilizzate.
Anzitutto la lettura epica, quella della ‘guerra’, eroico-combattiva: ‘vinceremo’, ‘i nostri eroi’, ‘andrà tutto bene’. Una metafora ed una retorica a senso unico alla quale la Chiesa non ha obiettato, che produce una distorsione della realtà dove c’è un nemico esterno rispetto al quale allearsi e concentrare le forze. Nulla di interno va messo in discussione se non rafforzato. Il controllo in effetti è tornato al centro e non più alla periferia.
In secondo luogo una lettura etica, nel senso del ripiegamento e dell’introspezione: ‘siamo in Quaresima’, ‘è tempo di purificazione’, ‘torneremo così all’essenziale’. La realtà qui è deformata ponendo tutto lo sforzo su noi stessi in chiave interiore, siamo noi a dover cambiare individualmente. Questa lettura si esprime soprattutto in due modi: quella ‘devozionalista’, imperniata sull’invito costante e pressante ai momenti di preghiera e di invocazione; quella ‘penitenziale’, imperniata sul messaggio di conversione e pentimento rispetto a una condotta discutibile da cui redimersi
A queste narrazioni manca uno sguardo aperto sulla realtà, un’apertura di senso. La capacità di cogliere in questa situazione l’opportunità per annunciare alla propria gente che c’è un mondo che è finito, un tipo di cristianesimo non più perpetuabile in quanto non più vivente ma tenuto solo in ghiaccio per evitare che puzzi. L’opportunità che è tempo di dire ‘Togliete la pietra. Chiesa vieni fuori! Scioglietela e lasciatela andare.’ Perdonerete la provocazione. Non si vuole essere irrispettosi ma è l’invito ad assumere un ribaltamento di prospettive, uno sguardo aperto che sa cogliere prima di tutto che non si tratta solo ‘di morire con Lui’ ma di ‘risorgere con Lui’ certi di ‘come la amava!’. Proviamo ad assumere questo sguardo.
LA LETTURA ESTETICA: COME ALBERI PIANTATI LUNGO CORSI D’ACQUA
Per superare le letture dominanti, quella epica e quella etica, desideriamo proporre una lettura estetica. Uno sguardo per riconoscere che un mondo nuovo è già qui, la bellezza del Risorto è già qui in mezzo a noi.
Uno sguardo che consenta l’atto maturo di mollare la presa su ciò che non è più vitale per liberare nuove energie in chiave generativa per far nascere il nuovo. Non ci guadagno in sicurezza e nemmeno in chiarezza ma in libertà, in speranza e in gioia.
La lettura estetica inspira, evoca, fa sentire. Richiama l’afflato dello Spirito l’unico in grado di fare nuove tutte le cose. Ci fa entrare in risonanza con esso. Ci invita al discernimento: ci permette di vedere venire il bene, il bello!
È sguardo sapienziale. Richiede prima l’apertura del cuore che della mente, perché nell’amore prima arriva il cuore. È il cuore che fa cogliere il sapore prima che il sapere della realtà, il suo dato sensibile e non l’idea che può degenerare verso l’ideologia. Poi arriva la mente che fornisce le chiavi di lettura per riconoscere e interpretare il bene accolto. Infine la volontà, non tanto del fare ma dell’apprendere, perché solo così non ci lasceremo modellare dall’ambiente esterno come il tamerisco, ma sapremo agire e non più solo reagire, come alberi piantati lungo corsi d’acqua, che sanno superare le avversità e portano frutto nel tempo opportuno.
PREPARIAMO LA PASQUA
Ora, dicevamo, siamo alla settimana santa. La preparazione alla Pasqua si fa stringente.
Il compito di ‘andare a preparare la Pasqua’ che Gesù ci rivolge come suoi discepoli non può essere disatteso o accolto in modo superficiale.
Andiamo a preparare la Pasqua con tremore e fiducia, senza farci condizionare o peggio schiacciare dall’emergenza di questi giorni. Non riduciamo la Pasqua ad un antivirus. Al contrario!
Speriamo che la Pasqua ricordi che Cristo ha già vinto! Non è una rivincita sul male, non servono armi segrete spirituali. Ci basta una vittoria, non abbiamo bisogno di rivincite.
Speriamo che la Pasqua sia la festa di tutti e non solo degli eroi, dei martiri, dei sopravvissuti …. perché Cristo si è fatto anti-eroe, si è fatto scarto perché tutti abbiamo bisogno di sentirci salvati e non protetti.
Speriamo che l’evento pasquale sia dono di amore gratuito, non il gesto di benevolenza di Dio verso l’umanità peccatrice. Abbiamo bisogno di un amore libero e non di un dispenser di grazie.
Speriamo che l’evento pasquale sia per sempre. Non sia inserito nella riunione serale di debriefing della Protezione civile come segno di conferma che il peggio sta passando (ma dobbiamo resistere fino all’Ascensione o magari, Dio non voglia, alla Pentecoste). Abbiamo bisogno del sempre di Dio e non dell’andrà tutto bene prima o poi.
Speriamo che l’evento pasquale sia il fatto in grado di liberare energie in chiave generativa per far nascere il nuovo che è già qui.
Speriamo … convinti che il messaggio pasquale non è ‘andrà tutto bene’ quanto ‘andrà tutto nuovo!’
‘Ecco io faccio nuove tutte le cose ’. Ricordiamolo e ‘facciamo anche noi lo stesso’. Auguri!