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Alla ricerca degli adolescenti smarriti

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Tempo di lettura: 7 minuti

OLTRE L”’ORATORIO-CAROVANA’ VERSO ORATORI ‘CAMPO BASE

L’oratorio ha assunto, negli ultimi decenni, una sua forma/paradigma che ha fatto la sua parte, e che non sembra più in grado di corrispondere alla vita di adolescenti e giovani di questo tempo. Roberto Mauri, in questo articolo, propone un cambio di paradigma, una nuova mappa di riferimento, cercando di indagare le tensioni soggiacenti i due modelli.

TRASCORSI I GIORNI DELL’ESTATE…

Come tutti gli anni, ‘secondo l’usanza’, ogni oratorio che si rispetti ha da poco concluso il suo ‘viaggio a Gerusalemme’, ovvero l’oratorio estivo, ormai diventato l’attività clou della proposta educativa e soprattutto aggregativa offerta a ragazzi e famiglie, spesso completata da successivi soggiorni e campeggi alpini.

A breve, celebrati scrupolosamente i riti estivi, dopo una breve pausa (giusto il tempo di rifiatare), la carovana oratoriana ripartirà, tornando – come previsto – a riprendere e riprogrammare le molte e varie attività che l’attendono durante l’anno.   

A questo punto, però, a molti oratori potrebbe accadere quanto narrato da Luca, ovvero ripartire dando per scontata la presenza dei (pre) adolescenti nella carovana (pur liberi di muoversi ma sempre al suo interno), accorgersi in ritardo della loro assenza, non comprenderne le ragioni e pertanto non sapere dove e come andarli a cercarli. 

“mentre riprendevano la via del ritorno, il dodicenne Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui, trovandolo dopo tre giorni”  

Senza entrare in letture biblico-teologiche del brano, questo episodio mette in evidenza da un lato l’importanza di disporre di un sistema-carovana come riferimento, dall’altro come questo modello non sia in grado di soddisfare le domande di senso ed il passaggio iniziatico (separazione, morte simbolica e ‘nuova identità’) che la dinamica e traiettoria adolescenziale oggi richiede, anche a livello di fede.

Oratorio ‘modello carovana’

Molte delle difficoltà che gli oratori incontrano con gli adolescenti possono essere ricondotte al fatto che, nel tempo e per comprensibili ragioni socio-pastorali, gli oratori abbiano (consapevolmente o meno) adottato un ‘modello-carovana’: uno stile e delle modalità di funzionamento che riprende quelle caratteristiche tipiche di chi si trovava ad affrontare in gruppi il deserto e che andrò qui sotto ad illustrare.

Un modello capace di ‘portare a Gerusalemme’ il ragazzo ma non in grado di ‘tornare a casa’ con l’adolescente, ovvero soddisfare le sue nuove esigenze e domande, di vita e di fede.

Un modello buono per genitori, nonni, bambini e fanciulli ma non per i giovani; valido quando si deve dare continuità e sicurezza ma non nei passaggi critici e di forte cambiamento.

Il ‘modello carovana’ consente all’oratorio di ottimizzare le risorse ed il supporto reciproco in condizioni socio religiose ed educative difficili, talvolta proibitive. Sotto questo aspetto, il modello carovana è un ottimo esempio di paradigma adattativo-resiliente, capace di adeguarsi al mutare delle situazioni esterne, resistere e reagire alle difficoltà ed imprevisti senza perdere di vista la direzione e gli obiettivi, grazie ad una sapienza educativa e organizzativa consolidata nel tempo.

Le principali caratteristiche di questo modello, quelle che consentono all’oratorio di operare come un efficiente carovana sono:

– un’alta coesione interna, dal momento che l’unità è condizione necessaria per affrontare le difficili condizioni di viaggio (i diversi e insidiosi ‘deserti’ educativi di questa epoca)

– una elevata efficienza, che consente di ottimizzare le risorse e minimizzare gli sprechi di spazio/ tempo/vita

– un valido sostegno reciproco tra le componenti, che prevede espressamente l’attenzione ed il prendersi cura dei componenti la carovana-oratorio in caso di bisogno

– una solida protezione, favorita e alimentata dal conoscersi, dal clima familiare, da dedizione e affidabilità delle figure guida

– un’ampia capacità di inclusione, grazie alla disponibilità ad accogliere nuovi eventuali ingressi ed allo spirito di adattamento reciproco

– una grande senso di sicurezza, garantita da prassi consolidate e robuste tradizioni e caratterizzato da forte fiducia reciproca e impegno comune nel servizio

Questi aspetti nel loro insieme fanno dell’oratorio un ‘posto sicuro’, che spiega buona parte del successo e fortuna che ancora esso riscuote presso genitori, famiglie, organismi ed enti, aldilà del credo e pratica religiosa.

Non a caso e significativamente, la narrazione dell’oratorio-carovana sottolinea l’importanza della cura delle relazioni personali umane e spirituali, l’attenzione al coinvolgimento dei suoi membri, alimentate da riti, abitudini, simboli ed espressioni fortemente condivise. Tuttavia i rischi di tale modello erano già stati rintracciati:

“Credo si debba uscire al più presto dal luogo comune e dalla convinzione che l’oratorio sia i più piccoli. Tra gli effetti rovinosi di tale impostazione alcuni emergono con drammatica evidenza: diaspora degli adolescenti e dei giovani dagli ambienti parrocchiali e oratoriani; inserimento massiccio nella gestione oratoriana degli adulti, il cui unico intento rischia di essere quello di creare un ambiente protetto e sicuro per i propri figli/nipoti; assenza di mentalità progettuale e identificazione dell’oratorio con alcune attività tradizionali periodiche; diminuzione di significatività sul territorio sia dal punto di vista sociale che culturale”

(Servizio naz. Pastorale Giovanile CEI: ‘I ragazzi dell’oratorio. Una rilettura della Nota dei vescovi italiani’, 2013, pp. 74-75).

IL RISCHIO DELLA DERIVA AUTOREFERENZIALE

Al pari di una buona carovana, dunque, questo modello di oratorio ha dimostrato ed è in grado di ottenere buoni risultati, sia nel favorire la socializzazione religiosa (catechesi iniziazione cristiana, sistema valoriale, educazione morale) che nel sostenere l’identità e l’appartenenza rispetto alla comunità cristiana, facendosi rispettare ed apprezzare dalla comunità civile.

Fin qui tutto bene. Qual è allora il problema? Il fatto è che il modello carovana è un modello autoreferenziale, un sistema altamente integrato e autonomo, bastante a sé stesso, dove gli scambi con l’esterno sono limitati all’indispensabile, come le soste in un’oasi per rifornimenti.

Il modello carovana funziona molto bene a condizione che si accetti di farne parte, a condizione di starci nella carovana, a condizione che il sistema carovana sia dato per scontata. Tutti aspetti problematici quando arriva il passaggio adolescenziale.

Essere autoreferenziale significa che nel tempo l’oratorio-carovana ha sviluppato sempre più delle modalità auto-correttive: le questioni e le soluzioni dei problemi oratoriani si cercano interno dell’oratorio, nella convinzione che l’oratorio sia in grado di auto-curarsi.

Non a caso Maria e Giuseppe (potremmo dire per analogia le figure educative) sono inizialmente tranquilli, convinti che Gesù sia comunque nella carovana: se non è con noi sarà con la catechista, oppure con l’allenatore, all’incontro di gruppo oppure a fare qualche altro servizio.

 Essere autoreferenziale significa che nel tempo l’oratorio-carovana ha ricercato una sempre maggiore autosufficienza, riproducendo o emulando quanto più possibile al suo interno mondi ed esperienze esterne (sport, musica, cineteatro, studio, attività ricreative, bar, cucina …).

Si pensi, ad esempio, che negli anni ’90, diversi oratori ambrosiani gareggiavano addirittura nell’avere la pizzeria interna con tanto di forno a legna … qualcuno con annessa ‘discoteca’.

Essere autoreferenziale significa che nel tempo l’oratorio-carovana ha ritenuto che le domande e la ricerca di senso potessero essere trattate in modo auto-rassicurante, ovvero formulate restando al suo interno, e che il senso dell’oratorio fosse proprio l’oratorio.

Crescere voleva dire, ‘crescere nell’oratorio’: da animato ad animatore, da educando ad educatore, responsabile, catechista, allenatore… L’importante è l’oratorio, nella sua forma da conservare, più che le dinamiche di vita sempre nuove dell’adolescente e del giovane.

Come Maria e Giuseppe, gli educatori non capiscono perché l’adolescente abbia cercato risposte alle sue domande fuori dalla carovana, piuttosto che all’interno, sentendosi delusi e traditi.  

DALLA ‘CAROVANA’ AL ‘CAMPO BASE’

“Quando la soluzione ad un problema non funziona, la soluzione diventa un problema” ci ricorda un principio dell’azione strategica.

L’adozione del modello ‘carovana’ da parte dell’oratorio può aver rappresentato a suo tempo una soluzione ad alcune esigenze pastorali (sinergia oratorio-parrocchia; iniziazione cristiana) ma va rivelandosi sempre più un problema nel rapporto con adolescenti e giovani.

Anche lo stile dell’animazione, se soddisfa i bisogni di famiglie, bambini e ragazzi, non riesce a rispondere anche a quelli di un adolescente, relegato appunto al suo ruolo e compito di animatore, conduttore per altri. Un aspetto prezioso ma non sufficiente, in quanto lui necessità in questa fase di esperienze di uscita, destrutturanti, sfidanti, per rileggersi e ricostruirsi dentro un centro più vero e significativo.

Ormai la gran parte dei sacerdoti e responsabili d’oratorio si rende conto che occorre cambiare ma nel contempo sono vincolati dal dover gestire la carovana: molti stanno iniziando a ‘sognare’ un diverso modello d’oratorio ma vengono bruscamente svegliati dal dover organizzare le molte attività, ‘secondo l’usanza’. La vera battuta che blocca il cambiamento oratoriano non è “si è sempre fatto così” ma “ci sono tante cose che non possiamo non fare”. Ma come si fa a voler cambiare e nel contempo dover gestire sempre tutto?

Un primo decisivo passaggio è cambiare modello di riferimento: passare cioè dal modello ‘carovana’ al modello ‘campo base’ (o se si preferisce, per restare in tema, al modello ‘oasi’).

Un oratorio ‘campo base’ è un centro nevralgico, energetico e vitale, da cui prendono avvio imprese ed esperienze vitali. Una rete semplice ma salda, basata sull’essenziale, che mantiene un centro, uno stile e un cuore ma che si sa decostruire e ricostruire insieme. Uno ‘spazio/tempo’ che non ti ingloba e fidelizza ma da cui si parte ed a cui si torna mentre si è impegnati nell’affrontare le sfide esistenziali, scoprire i propri talenti e limiti, esplorare i territori vitali.

L’oratorio ‘campo base’ è un luogo di sosta e di passaggio, dove stare solo il tempo necessario per preparare ed affrontare imprese ed esperienze, soprattutto quelle impegnative. Dal campo base si parte e al campo base si ritorna perché è il luogo ed il tempo in cui narrare quanto accaduto, celebrare i successi ed elaborare gli insuccessi, operare un apprendimento ed un discernimento. L’oratorio ‘campo base’ è l’occasione di comporre ‘cordate’, consolidare i legami precedenti e crearne di nuovi. 

L’oratorio ‘campo base’ non è una confort zone, non è una ‘casa’ o una ‘famiglia’. Tra le icone fondative dell’oratorio non vi è ‘la casa’, ma il ‘cortile’, non la ‘famiglia’ ma la ‘bottega/palestra’ dove sperimentarsi. Non luoghi ‘sani e protettivi’ come piace immaginare alle istituzioni civili come rimedio alle loro politiche giovanili inadeguate, ma spazi aperti, esperienziali, sperimentali, precari, esposti, dove forgiarsi per uscire incontro alla vita.

Non è il tempo/luogo delle risposte ma delle domande che generano ascolto, riflessione, ricerca, cammino. E individuare le domande di senso è esercizio ben più sfidante che il dare risposte, perché costringe noi stessi ad uscire dalla autoreferenzialità. Un oratorio ‘campo base’ tollera l’ansia del rischio e accetta l’incertezza di operare in modo poco strutturato, leggero, sperimentale, anti-fragile.

*  *  *

Al di là della retorica pastorale, vi sono tensioni, dinamiche che si agitano sottopelle nel corpo oratoriano, che ho provato a descrivere, e soprattutto che vanno affrontate.

 Alcuni potrebbero malignamente parlare di astrazioni che non danno concretezza operativa. Ma è proprio questo il punto. Non si tratta di ricadere subito sull’operativo. Occorre superare il mito del Progetto come strumento di gestione della complessità. Penso sia utile soffermarsi sui nodi di senso nevralgici che possono aiutarci a distinguere una forma di oratorio da un’altra. A partire da questi punti di appoggio, di ancoraggio come nelle ferrate di alta montagna, si può in cordata avviarsi per risalire e scorgere un nuovo orizzonte di pastorale oratoriana.

Ma occorre avere il coraggio di lasciare alcune piste conosciute, alcune pratiche consolidate per invertire le logiche che agiscono e determinano le forme attuali. E non ci sarà necessariamente uno sviluppo uguale per tutti (l’oratorio tipo d’altra parte non è mai esistito) ma varie sperimentazioni che cercheranno ognuna di intravedere il nuovo presente.

Prendiamo esempio da Maria che – dopo aver sfogato la sua ansia materna – si è messa in ascolto attento e non pregiudiziale della nuova persona che aveva davanti; sperando che, a sua volta, qualche adolescente prenda esempio da Gesù ed accolga il ‘campo base’ oratoriano, crescendo e facendo crescere.