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Adolescenti e Oratorio (prima parte)

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Tempo di lettura: 6 minuti

CAMBIAMO PARADIGMA

In queste settimane è stata pubblicata e diffusa la proposta 2021-2022 per gli oratori ambrosiani, dal titolo «AMA. QUESTA SÌ CHE È VITA!» (https://www.chiesadimilano.it/pgfom/oratorio-e-ragazzi/in-oratorio-diciamo-ama-questa-si-che-e-vita-70397.html).           In particolare, la proposta intende dedicare un’attenzione specifica agli adolescenti, segnalando che “l’anno oratoriano 2021-2022 sarà per gli oratori l’Anno straordinario Adolescenti”.

Data l’autorevolezza e l’importanza della realtà ambrosiana per l’intero variegato mondo degli oratori e la rilevanza della sfida (riannodare il legame tra adolescenti e oratorio), prendo spunto dalla proposta 2021-2022 per evidenziare il permanere di un certo modo di intendere e proporre ancora oggi l’oratorio non più adeguato, soprattutto rispetto alla fase adolescenziale.

Nell’apprezzare il lavoro e la passione che la proposta esprime, essa tuttavia contiene (a mio parere) una serie di nodi irrisolti che ben rappresentano le tensioni e difficoltà della pastorale giovanile oratoriana nel suo insieme, combattuta tra bisogno di rafforzare gli aspetti identitari ed urgenti esigenze di cambiamento. Non si tratta quindi di un’osservazione sull’oratorio ambrosiano ma di un dato che caratterizza buona parte delle realtà italiane che si rifanno a questo approccio.

L’obiettivo dichiarato del documento “è di considerare tutto il vissuto degli adolescenti e di offrire le linee che possano orientare l’intera pastorale degli adolescenti, che tenga conto della crescita integrale e complessiva di ragazzi e ragazze”.

Si tratta di un compito tanto bello quanto ambizioso e certamente improbo: con forse facile ironia, infatti, verrebbe da dire che per realizzare un ‘Anno straordinario Adolescenti’ sembra mancare all’oratorio la materia prima, gli adolescenti, appunto.

E’ assodato infatti che gli adolescenti in oratorio sono sempre meno e sempre più ‘stagionali’ (animatori oratorio estivo) e soprattutto che i legami di appartenenza siano deboli e precari. Verrebbe da dire che ‘straordinario’ non è tanto “l’Anno per gli Adolescenti” quanto il fatto di trovare ancora adolescenti in oratorio…

Non basta, al riguardo, liquidare la questione con un ‘tanto peggio, tanto meglio’ come sembra fare la proposta: “Il dono di essere minoranza può aiutarci a far crescere una fede più consapevole anche nei giovani che scelgono di esserci e di crederci” (scheda ‘Temi, proposte, prospettive’, p.5). Come disse la volpe all’uva…

Si tratta piuttosto di affrontare con coraggio le questioni aperte, così da poter contribuire positivamente al confronto, tenendo presente la dichiarata volontà e disponibilità degli estensori del progetto “di lavorare insieme per una scrittura collaborativa e creativa della pastorale degli adolescenti”.  

Perché dunque questa proposta (ed il paradigma che da cui deriva) rischia di non funzionare con gli adolescenti? Segnalo al riguardo – necessariamente in modo sintetico – cinque aspetti tra i diversi ‘nodi irrisolti’ cui accennavo.

  1. Perché elude le domande chiave
  2. Perché gli adolescenti rimangono oggetto e non soggetto pastorale
  3. Perché la metafora di ‘oratorio seconda casa’ per un adolescente è debole
  4. Perché la visione dello ‘sport in oratorio’ è inadeguata
  5. Perché le proposte formative sono per ruoli e non per gruppo educante

PERCHE’ ELUDE LE DOMANDE CHIAVE

La proposta non riprende e tanto meno affronta i ‘perché’ della profonda crisi in atto tra oratorio e adolescenti. Prima di lanciarsi nel ‘come’ e nel ‘cosa’ fare, occorrerebbe lavorare sui ‘perché’:

  • Perché gli adolescenti non amano più l’oratorio?
  • Perché l’oratorio, genialmente creato in origine per loro, non affascina più i suoi prediletti?
  • Perché l’oratorio si è ‘dis-incarnato’ rispetto agli adolescenti?
  • Perché gli adolescenti non ri-conoscono l’oratorio come realtà ‘a loro immagine e somiglianza’?

Lo stesso approccio elusivo si ritrova quando la proposta affronta il tema ‘sport’ (vedi scheda p.2-3): alla lucida consapevolezza (“in ambito oratoriano sono pochi gli adolescenti che praticano sport e pochissimi quelli nella fascia 17-18 anni”; “la proposta sportiva oratoriana risulta decisamente deficitaria sul versante femminile, con un grado di abbandono molto più significativo di quello maschile”) non fa riscontro un rilancio sulle ragioni pastorali profonde alla base di tale situazione.

  • Perché l’adolescente abbandona lo sport?
  • Perché lo sport proposto dall’oratorio non fa la differenza?
  • Perché lo sport dell’oratorio è monodisciplinare, tradizionale, maschile?  

A tutti questi ‘perché’ non basta rispondere dando spiegazioni teoriche, accennare ad analisi socio-culturali, fare questionari, o con considerazioni autoconsolatorie di sapore resiliente (‘ne usciremo più forti’).

Non troverete qui una analisi che risponda a questo ‘perché’, perché non crediamo che sia questo un tempo in cui bastino analisi, documenti, indagini, fatte da istituti o esperti. Quanto un tempo opportuno dove prevedere e attivare un lavoro di rilettura narrativa di quanto accaduto tra oratorio e adolescenti: favorire il raccontare e raccontarsi, a partire dagli stessi adolescenti, è il punto chiave ed iniziale per aprire il cuore e la mente.

Senza questo lavoro di confronto e tessitura narrativa è come se il brano di Emmaus iniziasse con Gesù che spiega e non con Gesù che domanda e i discepoli raccontano. Sarebbe come iniziare dalle risposte saltando o dando per scontate le domande, ovvero come chiedere agli adolescenti di ascoltare (‘gli slogan di Gesù’) senza che l’educatore si sia messo anzitutto in ascolto degli adolescenti stessi.  

Soprattutto, eludere le domande chiave ostacola, quando non impedisce, l’esercizio del discernimento, compito qualificante e strategico della comunità degli educatori.

I cammini sinodali che il Papa ha chiesto alla Chiesa Italiana di intraprendere possono costituire una grande occasione di incontro e di ascolto degli adolescenti. Ma va fatto appunto nello stile sinodale, non come intervista per un’indagine ma come spazio narrativo che porta il ragazzo ad una apertura profonda del cuore e della mente.

I cammini sinodali infatti possono interrogare la comunità, mettendo in discussione le proposte, le strutture, i tempi dell’oratorio. Altrimenti sarebbe come cercare di rimettere il dentifricio dentro il tubetto! Non è possibile e forse è meglio così.

Se non si ripensa in profondità la visione, la forma e la proposta di oratorio per gli adolescenti, ci si ridurrebbe ad un accanimento terapeutico invece che attivare un processo di liberazione educativa.

Se gli adolescenti e il loro ascolto non diventano quell’energia in grado di rimettere in profonda discussione le nostre forme e modelli di oratorio non possiamo dire di aver attivato un vero ascolto. Ci siamo limitati ad un’altra forma di coinvolgimento animativo.

E qui entra in gioco il secondo nodo da sciogliere.

PERCHE’ GLI ADOLESCENTI RIMANGONO ‘OGGETTO’ E NON ‘SOGGETTO’ PASTORALE

Nonostante il dichiarato (e immaginiamo sincero) auspicio di non considerare gli adolescenti ‘oggetti’ della pastorale ma “soggetti partecipi della loro crescita” (scheda ‘Ama. Questa si che è vita!’, p.2), l’ansia organizzativa e programmatrice finisce ancora per prevalere sui processi di reale ascolto e fiducia nella libertà e creatività degli adolescenti.

Tra essere ‘oggetto’ e ‘soggetto’ della pastorale vi è una chiara differenza: si passa dal ruolo di ‘destinatari’ e ‘partecipanti’ a quello di ‘promotori’ e ‘protagonisti’.

Perché tuttavia questo passaggio si realizzi occorre anzitutto avere fiducia nella libertà (che è appunto ‘libera’) degli adolescenti senza pretendere di incanalarla e giudicarla anzitempo.

Con gli adolescenti bisogna accettare di rischiare: se si intende davvero ripensare la pastorale degli adolescenti occorre cambiare prospettiva, ribaltare le premesse.  

Il passaggio rischioso ma ineludibile è dal voler ‘educare alla libertà’ alla libertà che si fa esperienza educante; non si tratta di progettare/selezionare le esperienze così da renderle educative ma lasciare che siano le esperienze a fornire spunti educativi.

In questo senso gli educatori di adolescenti dovrebbero essere più ‘curiosi ed inesperti’ dei loro adolescenti, competenti nell’arte di ben domandare e mettersi in vero ascolto più che nel saper proporre e coinvolgere in attività di fatto predefinite.

Un oratorio ‘a misura di adolescente’ tollera l’ansia e il rischio di ‘non avere misure’ precodificate, opera in modo poco strutturato, leggero, sperimentale: non ‘genera’ buoni adolescenti e non considera un traguardo la loro fidelizzazione oltre l’animazione stagionale, ma ‘si fa generare’ dalla loro voglia di vivere e rimane loro attento anche dopo l’estate.

Considerare ‘soggetti pastorali’ gli adolescenti significa desiderare e soddisfare il loro sguardo, non solo offrire loro il nostro sguardo positivo; l’adolescente ‘soggetto’ non progetta storie ma sogna imprese, non cerca una sua ‘buona forma’ ma esplora il senso del limite e dei propri limiti, che ancora non conosce. L’adolescente ‘soggetto pastorale’ non aderisce o si conforma allo ‘stile evangelico’ ma lo scopre, lo mette alla prova e decide al riguardo.

Un ‘Anno straordinario Adolescenti’ è per definizione ‘straordinario’, improgrammabile, irripetibile, aperto e libero. Eppure un rischio che notiamo è che nella proposta 2020/21 tutto è già preordinato, scandito con tappe da fare invidia al giro d’Italia (p.12).

Ma la cosa ci sorprende solo in parte in quanto è frutto del paradigma in essere e lo perpetua senza averne la consapevolezza.

Forse diventa più importante raccogliere storie di adolescenti protagonisti perché chi le ascolta possa attivarsi. Il tema dell’avventura e dell’avventurarsi (perché così è la vita) è decisivo per farli uscire dalla loro comfort zone. Forse più che occasioni e percorsi preordinati vanno offerti ‘atelier aperti’ in cui porre degli elementi e lasciare che chi cammina nell’atelier possa metterci mano e creare. Per poi provare a rileggere insieme l’esito.

Rendere gli adolescenti soggetti e non oggetti richiede di creare spazi dove loro possano esprimersi e immaginarsi in modo non strutturato ma libero. Renderli soggetti è renderli parte anche degli organi decisionali e progettuali dell’oratorio.

Si tratta di spazi de-strutturati, de-istituzionalizzati, de-regolati, de-studiati, dove sperimentare l’incerto e l’errore, mettere alla prova la vita e la fede, perdere certezze e ritrovarne di nuove, ridefinire il rapporto educatore educando, rischiando di ridurre la distanza per aumentare la libertà non autodeterminante ma ‘interdeterminante’.

Ma soprattutto richiede di vederli anche come singoli e non come gruppo. Non come adolescenti ma come volti, come Mario, Maria, Luca, Lucia, Francesco, Giorgia…

E’ proporre loro degli esordi e non delle conclusioni, delle sfide e non delle spiegazioni, delle imprese e non dei tour guidati.

Tutto questo richiede una revisione profonda del ruolo dell’educatore, da formatore ad accompagnatore, da insegnante a consegnante, da esperto a testimone.

(prima parte)