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PERCHÉ NON RIUSCIAMO A CAMBIARE? Motivi ricorrenti per i quali un processo di cambiamento non produce un effettivo cambiamento

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Tempo di lettura: 4 minuti

Perché non riusciamo a cambiare? Come favorire un cambiamento significativo? Perché il cambiamento non avviene in modo soddisfacente? Come consulenti di processo ci troviamo spesso di fronte a queste domande. Oggi, infatti, anche nel ripensare le forme e i linguaggi delle esperienze ecclesiali ci troviamo a fare i conti con una crisi gnoseologica che segnala l’opportunità di ‘cambiare il modo di cambiare’ e prospetta l’opportunità di ricercare dei nuovi approcci con la realtà – esperienza.

In questo articolo vorrei condividere in modo sintetico i risultati di una ricerca internazionale di grande spessore – tra i partecipanti al core group della ricerca erano presenti profili europei di nota esperienza quali F. Novara, S. Del Lungo, A. Bekman, Jhon Luijten, A. Gandini, … – effettuata nei primi due decenni del 2000, che nella sua prima fase ha messo a tema “il perché del fallimento dei processi di sviluppo organizzativo” analizzando contesti di diverse organizzazioni europee.

Riporto semplicemente la sintesi elaborata da E. Rizziato nel suo testo Verso un umanesimo della vita organizzativa. Generare sviluppo nella complessità con la leadership orizzontale (2020) e per ciascuno degli elementi descritti pongo alcune domande che penso utili per lo specifico contesto pastorale che caratterizza le organizzazioni ecclesiali.

  • Il cambiamento non risponde ad effettive esigenze del beneficiario (o destinatario) dell’azione promossa dalla realtà organizzata, ma a ottimizzazioni o razionalizzazioni interne. In alcuni casi non c’è una consapevolezza condivisa rispetto a chi sia indirizzata la missione della realtà organizzata;

-> Siamo consapevoli di chi sia il destinatario principale della missione di una realtà ecclesiale? Per chi esistiamo e operiamo?

  • Non viene coinvolto nella progettazione del cambiamento chi poi deve mettere in atto la trasformazione dei processi e delle prassi ordinarie nell’organizzazione. Se si deve modificare il proprio ‘mansionario’ e il proprio ruolo sarà modificato da alcune scelte strategiche, è necessario che le persone che saranno toccate da queste scelte siano coinvolte nei processi decisionali che le promuovono;

-> Come sono pensati i processi partecipativi e decisionali di una realtà ecclesiale? Come avviene il discernimento comunitario e l’orientamento all’azione?

 Il cambiamento risponde a domande che nascono da una rappresentazione astratta dei problemi, che non sono state chiarite concretamente dal principio. Molto spesso le ‘domande di sviluppo’ sono troppo vaghe, suggeriscono già la soluzione, oppure sono troppo astratte. Si manca di concretezza e di conseguenza l’azione che ne consegue è confusa e incerta, producendo spesso frustrazione;

-> Le domande che ci poniamo sono concrete? Quali sono le precomprensioni che consideriamo scontate e che influenzano il nostro sguardo sulla realtà?

  • Nella ricerca di soluzioni di cambiamento non si tiene conto della specifica biografia dell’organizzazione e dei passaggi chiave che hanno determinato la sua identità. Se pur due realtà operano nello stesso ambito e sono tecnicamente lo stesso tipo di organizzazione la loro biografia determina l’opportunità di scegliere diverse dinamiche di crescita e operatività;

-> Siamo consapevoli della storia della nostra realtà ecclesiale? Conosciamo i talenti e i limiti delle persone e delle nostre comunità?

  • Le soluzioni di cambiamento sono buone, ma non vengono accompagnate attraverso la determinazione di specifici processi di accompagnamento con risorse dedicate. Si operano scelte, ma non ci si prende cura dei ‘follow-up’, cioè di determinare chi si prende cura della ‘messa a terra’ di quelle stesse scelte e di accompagnare e sostenere le persone coinvolte in esse;

-> Oltre a discernere ‘cosa’ dobbiamo fare ci interroghiamo sul ‘come’ farlo? Siamo attenti a disegnare processi di accompagnamento delle scelte efficaci?

  • Si propongono semplificazioni, cioè soluzioni di cambiamento razionalistiche o relative ad una singola parte dell’organizzazione senza tenere conto della complessità del suo insieme (visione sistemica). In un’organizzazione ogni singola parte è connessa con il tutto e ci sono interazioni da tenere in considerazione;

-> Stiamo mettendo in atto dei piccoli adattamenti o aggiustamenti oppure stiamo creando le condizioni per un cambiamento paradigmatico? Lavoriamo sul breve o sul lungo termine?

  • Esistono conflitti di interessi impliciti e non dichiarati in modo trasparente tra i diversi livelli gerarchici dell’organizzazione. A volte si pensa, si agisce e si scegliere per un ‘vantaggio secondario’ che porta anche in modo inconsapevole un beneficio indiretto alla propria categoria;

-> Stiamo cercando di cambiare per soddisfare gli interessi parziali di alcune figure pastorali? Come promuovere un cambiamento che generi aumento di valore per tutti coloro che fanno parte dell’organizzazione ecclesiale e per i suoi beneficiari?

  • Gli agenti del cambiamento – cioè coloro che sono coinvolti e attivi nel prendersi cura di un processo sperimentale innovativo – vengono strumentalizzati dalla governance e divengono inefficaci ai fini del processo di cambiamento, oppure non è condiviso un mandato chiaro e pubblico (ben comunicato) sulla loro missione;

-> Abbiamo comunicato bene a tutti i soggetti della realtà ecclesiale la natura e il fine del cambiamento avviato? Abbiamo dato un mandato condiviso con gli agenti del cambiamento che sono chiamati a custodire il processo?

  • Gli interventi di formazione che accompagnano il processo di cambiamento non sono connessi con gli stessi processi oppure sono disallineati rispetto alle strategie organizzative che si stanno portando avanti;

-> Stiamo proponendo un’esperienza formativa adeguata per le figure pastorali e le ministerialità coinvolte nel processo? La formazione è sinergica al processo di cambiamento?

  • Il focus del cambiamento mira ad implementare in modo primario la qualità delle relazioni, mentre lascia in secondo piano la struttura organizzativa che resta inalterata. Questi due ambiti sono interconnessi e agire in modo sbilanciato su uno di essi non produce gli esiti attesi;

-> Come cambiare le strutture e i processi interni affinché la qualità delle relazioni ne abbia beneficio?

Forse il linguaggio utilizzato qui può essere percepito come troppo tecnico o alieno dalla dimensione spirituale e trascendente propria di una realtà ecclesiale. Credo che comunque un lavoro serio di verifica e riflessione su questi punti, attuato nel contesto di una realtà ecclesiale che si senta chiamata a mettere in atto una conversione pastorale, potrebbe dare buoni frutti e dispiegare energie spirituali e pastorali rinnovate e inattese.