
Ospitiamo con piacere l’intervento-riflessione di don Carlo Luoni, parroco di una Comunità pastorale della diocesi di Milano, che ha partecipato come uditore alla giornata di studio (Think tank) promossa lo scorso 11 giugno dal Centro Studi Missione Emmaus e l’istituto Pastorale Redentoris Hominis dell’Università Lateranense.
L’incontro si è svolto a Roma alla Lateranense ed aveva per tema ‘Abitare la complessità. Risignificare le forme di governo della Chiesa nel post-cristianesimo’.Oltre ai promotori, intorno al tavolo erano presenti teologi ed esperti della facoltà teologica del Triveneto, dell’Università cattolica di Lovanio (Belgio) e del CNR, che hanno dato vita ad un dialogo e confronto internazionale e transdisciplinare.
Ho partecipato, come uditore, alla giornata di studio. Raccolgo qui alcuni punti che ho recepito e li unisco a qualche risonanza personale, grato per questo invito a condividere delle riflessioni che mi auguro suscitino ulteriori approfondimenti.
La sensazione è quella di aver partecipato ad un lavoro ben calibrato su un problema già evidente oggi ma in prospettiva dirompente se non ben gestito: come immaginare nuove forme di governance ecclesiale. È evidente il riferimento al numero di enti e organizzazioni ecclesiali nati in altri contesti ed ora eccedenti o forse non più rispondenti alle possibilità attuali.
È immediato anche il riferimento all’assottigliarsi del di numero di preti, di suore, di disponibilità ecclesiale in generale. Che fare?Interessante l’osservazione raccolta en passant durante la giornata: un cambiamento apprezzabile non verrà neppure dalla creazione di nuovi ministeri, se dovessero riprodurre gli stessi limiti della situazione che vogliono risolvere: fare da soli. La soluzione sarebbe invece un modo diverso di lavorare.
Cambiamento in atto e consapevolezza
È necessario distinguere la realtà dalla nostra consapevolezza sulla realtà stessa. Per vedere cose nuove (e fare cose nuove e impegnative) bisogna volerlo. Altrimenti ci si può sempre raccontare che si fa già tutto il bene possibile. Senza averci tentato veramente.
Per fare in modo diverso (e non garantito) bisogna comunque imprimere una svolta non solo personale. Si fa più fatica (ed è da mettere in conto).
A volte sono richiamati ben altri cambiamenti necessari. Questo meglio naturalmente è evocato per non fare il bene possibile (questo anche il significato della massima ignaziana).
I fattori menzionati che influenzano e a volte risultano determinanti sono diversi:
– molti superiori non immaginano realizzabile di un lavoro su nuove forme di governance. Sono impegnati nelle urgenze e dicono di fare già loro tutto il possibile, si consigliano tra di loro e si danno conferme.
In certi ambienti c’è poi un equilibrio da mantenere nel distribuire benemerenze e posti ecclesiastici di rilievo, ci sono esigenze personali dei preti e quale impuntatura. Come in tutti gli ambienti.
A volte i superiori fanno fronte a problemi che non possiamo sapere. A volte qualcuno spera sinceramente che i problemi si risolvano da soli o si ridimensionino. E, a volte, funziona.
– nel clero impegnato nella pastorale sono attive altre priorità (frammentarietà delle situazioni da affrontare, difficoltà nel gestire istituzioni nate con altri numeri e possibilità, casualità nelle scelte che li coinvolgono, vittimismo).
C’è un certo grado di compiacenza in circolazione (anche motivata ‘teologicamente’). In altri casi si hanno proprio altre priorità rispetto al cambiamento
– in generale urgono altre questioni: occuparsi della chiesa non in termini di emergenza sembra un lusso o un’operazione autoreferenziale…mentre la nave affonda, non si sogna.
– giusta l’osservazione raccolta da qualche intervento: non si tratta di entrare in un momento regressivo e autocentrato sulla vita ecclesiale che non c’è più, o perdersi nella ricerca infinita delle cause. È invece il principio della missione a chiedere oggi questa creatività.
Il confronto ha anche messo in evidenza la mancanza di strumenti di lettura e di azione alternativi, come ha evidenziato a più riprese la prof.ssa Rizziato del CNR, esperta di processi di cambiamento organizzativo e di leadership orizzontale.
Come organizzare in modo diverso la guida delle comunità cristiane, certo rispettandone la natura teologale? Quali aspetti dovranno essere tenuti presenti, quali modalità differenti sono possibili?
Normalmente del background ecclesiastico della formazione non fanno parte scienze umane, che dovrebbero essere di aiuto.
Si è detto anche: c’è uno sforzo teologico che riflette anche creativamente sulle idee di chiesa ma alla fine comanda il Diritto. Il Diritto può cercare di regolare bene quello che c’è (ed è già tanto). Difficile che sia propositivo. Le novità devono venire cercate altrove.
Che fare?
– non c’è un punto sufficientemente stabile e condivisibile a partire dal quale governare la situazione o avviare esperienze di cambiamento sicuramente efficaci. Oltre il mantenimento dell’esistente facile indicare solo un salto nel vuoto (dal quale ci si difende con parole che sembrano persino prudenti e legittime).
– alcune situazioni ecclesiali non sono allo scontro aperto ma le posizioni e le mentalità si sono irrigidite. Meno scontro ideologico aperto e diffuso, più isolamento dentro i propri ambiti (per altro sempre più isolati e demotivati, alcuni residuali). C’è una tendenza alla dispersione difficile da contenere e da incanalare positivamente.
Però…
– forse ci sono situazioni nelle quali si vuole ragionare e fare. Devono essere messe in condizione di agire, su base volontaria, con una supervisione,
In questo senso, sarebbe interessante conoscere meglio l’esperienza di Ecclesialab, il modello presentato da Lovanio e le consonanze e sinergie presenti e da sviluppare rispetto all’approccio del Centro Studi Missione Emmaus.
Ecco. Ci sono tante cose bloccate ma c’è questo però che andrebbe ascoltato.