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Diocesi, unificazioni, strutture: una governance sinodale

foto Think Tank Curie
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Un centro studi, un seminario creativo (think tank), un argomento: la riforma dei servizi pastorali nelle Chiese locali. Il Centro studi missione Emmaus (una mezza dozzina di persone) segue dal 2018 il cambiamento degli strumenti e della pastorale soprattutto italiana, accompagnando oltre 200 esperienze di diocesi, parrocchie, famiglie religiose, curie e centri pastorali. Il seminario creativo si è svolto il 21 febbraio 2025 a Bologna con una trentina di presenze, provenienti da quattro diocesi (Bari-Bitonto; Adria-Rovigo; Mantova; Reggio Emilia-Guastalla). L’intento è quello di accompagnare le riforme strutturali in atto dentro una rinnovata comprensione della Chiesa (sinodalità) e della coscienza credente aprendo processi atti a liberare il potenziale evangelizzante delle comunità.

Della giornata del 21 febbraio è uscita in giugno una argomentata riflessione che organizza i quattro racconti in una interpretazione capace di interloquire non solo con le 41 diocesi coinvolte in un processo di unificazione ma di intercettare le domande sulle urgenti riforme nelle curie diocesane, nello stesso centro direttivo della CEI e in molti ambiti della vita ecclesiale (parrocchie, religiosi/e, associazioni ecc.). Non riprendo le testimonianze dirette, interessanti e creative, delle quattro diocesi perché anche solo l’esposizione richiederebbe molto spazio – l’augurio è che il testo dal titolo Tra sogno e realtà. Processi di riforma dei servizi pastorali nella Chiesa locale possa essere stampato e messo a disposizione – e mi limito ad alcuni punti della riflessione sulle nuove prassi pastorali.

La tesi di fondo è che la riforma delle curie, la ridefinizione territoriale dei confini il rinnovamento dei compiti e delle attività dei dipendenti non siano sufficiente. Non è questione di ingegneria pastorale né di qualche cambiamento verbale (talora necessario). La sfida è passare da un corpo istituzionale competente a un corpo animato dallo Spirito, dalla gestione direttiva di un territorio all’invenzione di una rete che anima il territorio ma non pretende di amministrarlo.

Partire certo da un bisogno di riforma, di snellimento e di invenzione, ma in ragione di un «sogno», del discernimento sul futuro della comunità cristiana. È un atto pasquale, non un semplice accumulo o aggiustamento. Non si tratta solo di ridurre i costi della «macchina», ma di aumentarne il valore, di generare un «di più di vita», una nuova auto-comprensione.

«Operare un cambio di paradigma chiede un atto pasquale di morte e risurrezione. Uno sconvolgimento simbolico, un ribaltamento delle precedenti categorie ermeneutiche. Un cambiamento ecclesiale trova senso nell’oggi solo se va a generare una novità, una sorpresa, una ri-creazione» (cit. dal testo in pubblicazione).

La complessità e il controllo

La premessa di ogni cambiamento è la consapevolezza di trovarsi nella complessità. Pensare di governarla sminuzzandone gli elementi per ricondurli e accorparli nella gestione tradizionale significa complicare ulteriormente il quadro non collocarsi nella complessità. È necessario uscire dallo schema dei tria munera (liturgia-catechesi-carità), prezioso e fecondo nel recente passato ma tutto interno ad una Chiesa «totalizzante», per confluire nel divenire della società e della cultura ascoltando la vita che ci passa accanto e ci interpella. Una chiesa sinodale e missionaria.

Ci sono due elementi che mostrano l’insufficienza di un approccio riformista legato al paradigma del «controllo». Il primo è focalizzarsi solo sulle persone che fanno già parte del corpo ecclesiale accumulando su di esse compiti e doveri. Il secondo è la diffidenza e la paura verso il conflitto, avvertito come pura dispersione di energia e intoppo negli ingranaggi.

Oltre l’equilibrio e l’integrazione è necessario aprirsi alla diversità e alla dissonanza senza pretendere di ridurre il tutto a sistema coerente. Il modello rimane quello evangelico: l’incontro libero, inventivo e aperto di Gesù con i suoi diversi interlocutori. Tre sono le indicazioni per un «sistema aperto».

Anzitutto la questione dei confini. Il confine è una linea che determina un dentro e un fuori, mentre il bordo è un margine dove gruppi diversi interagiscono. La seconda è l’incompletezza. L’incompleto permette l’altro. La terza è l’incoerenza, nel senso che una comunità evolve in modo non lineare e programmabile perché la crescita permette conflitti e dissonanze.

Come dice l’Instrumentum laboris del sinodo sulla sinodalità: «Caratteristica di una Chiesa sinodale è la capacità di gestire le tensioni, senza esserne schiacciata, vivendole come spinta ad approfondire il modo di comprendere e vivere comunione, missione e partecipazione».

Territorio e Chiesa sinodale

Cambia il rapporto col territorio. Esso non è più guidato dalle logiche dei luoghi e delle appartenenze, ma dai flussi e dalle funzioni. Non è autonomo se non entra in una rete, se non intercetta le correnti di flusso, se non fa i conti con la mescolanza delle popolazioni. Come la città anche il territorio si attraversa, non si vive. Il suo centro di gravità è l’insieme delle funzioni, la capacità di produrre eventi, di integrare etnie diverse, di generare flussi materiali e immateriali. La parrocchia è definita più che dalla territorialità dalla prossimità. Le relazioni non nascono se non sono sostenute e la solidarietà non è più un dato sorgivo del vivere insieme. La comunità cristiana diventa segno profetico non se difende il suo territorio, ma se alimenta la prossimità.

Coerentemente vanno ripensate le forme di governo della Chiesa in senso sinodale. Ci viene chiesto «di rivedere il concetto di leadership ecclesiale, la catena di comando nel prendere decisioni, il linguaggio usato per definire alcuni ruoli e uffici ecclesiali» (cit. dal testo in pubblicazione). Tutto nasce dall’ascolto. Vi sono certo decisioni strategiche che definiscono l’orizzonte pastorale dell’azione evangelizzatrice che competono ai vescovi. Ma vi sono anche decisioni operative e possibili opzioni che possono e debbono essere condivise. Anche perché è quando si iniziano a fare le cose nuove che si avviano pensieri nuovi.

Credenti nella secolarità

Un capitolo finale del volume illustra i criteri dei processi di riforma: dall’accompagnamento con persone dedicate al processo di riforma alla cura e all’attenzione verso quanti sono coinvolti in questa fase di transizione. È rilevante anche la ridefinizione degli spazi già sperimentata in quelle diocesi che hanno riunito gli uffici nella «casa della diocesi».

L’ascolto dei «segni dei tempi» nel proprio territorio dovrebbe permettere di evidenziare nuove possibilità da recepire con gioia e non con sospetto. Privilegiando la missionarietà allo status quo. Fondamentale è il ruolo dei presbiteri e di quanti sono in autorità nella Chiesa. L’autorità significa far crescere, trasmettere la vita.

L’esperienza dei tentativi di rinnovamento raccomanda una segreteria unitaria e trasversale alle aree di intervento che riconosca i temi generali da affrontare da parte di tutti. Sapendo che non sempre i risultati sono immediati.

Riprendo per cenni alcune suggestioni finali. «Superare la logica degli uffici nelle curie diocesane prendendosi maggiormente cura dello sviluppo di ministerialità laicali». «Riavviare processi iniziatici per adulti, riconoscendo che l’iniziazione non è mai stata antropologicamente un’azione che riguarda i fanciulli». «De-programmare, de-progettare l’azione pastorale della diocesi-parrocchia, senza l’ansia di assolvere a tutti i servizi e le attività». «Vedere la parrocchia come comunione di piccole comunità in rete fra loro […] creare occasioni di evangelizzazione di “bassa soglia”». Rispetto all’occupazione degli spazi del vecchio sistema è utile scegliere la via minore dei processi, lasciandosi ferire dalla realtà e avviando un discernimento. L’abilità pastorale «non consiste nell’imporre una forma esteriore alla materia, ma nel trovare la fibra delle cose e rivolgerla verso uno scopo in costante evoluzione».

Una citazione del card. Jozef De Kesel, già vescovo di Bruxelles, può dare il senso dell’impresa. La vitalità di una Chiesa si riconosce «non tanto nel numero di membri che ancora raggiunge, ma nel fatto che qualcuno, pienamente integrato nella cultura secolarizzata di oggi, possa essere toccato dalla verità, dalla forze e bellezza del Vangelo».