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CHIESA E AZIENDA NON SONO OPPOSTI. C’è anche la “buona” consulenza.

Into the Blue
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Rilanciamo sul nostro Blog l’articolo scritto con Massimiliano Padula e pubblicato su Avvenire del 18 settembre scorso. Il contributo tratta del delicato rapporto tra le scienze umane e l’accompagnamento nello specifico contesto delle realtà ecclesiali e religiose. Si afferma la possibilità di esercitare una “buona” consulenza anche in questi contesti mettendone in luce le condizioni. Le teorie dell’organizzazione sono compatibili con la teologia e la profezia. La formazione può aiutare a sviluppare competenze umane facendo crescere nell’esperienza spirituale.

Le due analisi di Luigino Bruni del 2 e dell’11 agosto su “Avvenire” su consulenza aziendale, realtà religiose e leadership, offrono lo spunto per una riflessione (o forse aprono un vero e proprio dibattito) sul tema della scelta di avvalersi di un supporto consulenziale nei contesti delle diocesi, delle congregazioni e degli istituti di vita consacrata. Accompagnare non è mai un compito facile, soprattutto quando gli interlocutori sono religiosi o presbiteri. Non perché si tratti di “alieni”, ma perché sono donne e uomini inseriti in un universo strutturato e autoconsapevole, con una sensibilità culturale consolidata e, pertanto, con modelli di gestione spesso poco flessibili.

In più, ci sono due variabili non trascurabili: il dato di fede e lo spirito di servizio che, se all’apparenza potrebbero cozzare con espressioni del vocabolario aziendalese come business plan, project management, corporate reorganisation, nel concreto rappresentano un patrimonio di valori aggiunti e mettono a disposizione risorse significative per il motore di potenziali cambiamenti.

Accompagnare queste realtà non vuol dire aziendalizzarle o renderle dipendenti da esperti esterni, ma posizionarsi in una logica sussidiaria che mira a supportare le persone a volte con una “consulenza di processo”, altre con un lavoro di “facilitazione”, altre ancora con un “accompagnamento formativo”. In tutti questi approcci si utilizzano strumenti o chiavi di lettura elaborati attraverso una ricerca transdisciplinare in un dialogo fecondo tra la teologia pratica e le scienze umane e sociali.

Capita spesso di sentir dire che «la Chiesa o il convento non sono delle imprese», ma si tratta di un misunderstood e di un luogo comune, che evidenzia un’idea distorta e ostacolante in ordine all’efficacia di autentici processi di conversione o rinnovamento pastorale. Perché, infatti, contrapporre chiesa e azienda? Certo, se parliamo di Chiesa come forma sacramentale abbracciamo una prospettiva teologica e trascendente, ma se consideriamo le istituzioni ecclesiali anche come ambienti organizzati, ogni tentativo di differenziazione e contrapposizione lascia il tempo che trova. La Chiesa è certamente più di un’azienda, ma si configura anche come un ambito che traduce in forme organizzative e prassi una visione e una missione.

Per questo motivo, alcune metodologie o strumenti che migliorano la qualità del lavoro e della vita delle persone nelle organizzazioni, possono essere opportunamente adattati e utilizzati anche in ambito pastorale. Ritenere inadeguati strumenti – come ad esempio test, survey quantitative o dinamiche di gruppo – solo perché sviluppati in altri settori o perché percepiti come troppo tecnici, significa adottare una visione riduttiva e non coerente con la prospettiva cristiana. Così come contrapporre convento e azienda, carisma e leadership , risulta limitante e conferma lo stereotipo antico che «le cose materiali sono altro rispetto alle cose spirituali», rischiando così di mettere in ombra il principio dell’incarnazione.

A questo proposito è opportuno richiamare una chiave di lettura elaborata da Romano Guardini nel suo saggio L’opposizione polare. Saggio per una filosofia del concreto vivente. Egli spiega come la realtà è caratterizzata da “tensioni”, ossia da interazioni generative che intercorrono tra due polarità contrapposte, ma non contraddittorie. In parole semplici questa visione aiuta ad evitare l’errore di valutare le cose del mondo in modo polarizzato, “bianco o nero”, e invita a maturare, nella capacità di discernere, accettando l’inquietudine del presente. Una delle caratteristiche della Chiesa Sinodale è proprio quella di saper di “gestire le tensioni” e di stare nell’“inquietudine dell’incompletezza” (cf. Sinodo dei Vescovi, Instrumentum Laboris, 2023, 28-29). Perciò, non è opportuno ritenere in assoluto “contraddittorie” polarità che sono “contrapposte”.

Quindi non è corretto pensare che nel lavoro di accompagnamento l’avvalersi delle teorie dell’organizzazione metta in secondo piano la teologia, oppure che una metodologia mortifichi la profezia o, ancora, che un’azione formativa orientata a sviluppare competenze umane non aiuti a crescere nell’esperienza spirituale.

Un’ulteriore sottolineatura riguarda il profilo dei formatori, consulenti o facilitatori in contesti religiosi. Affidarsi a un manager aziendale o a una società di consulenza strategica può sembrare affascinante e suscitare entusiasmi. Ma, la mancanza di una visione di fede, di una sensibilità ecclesiale, della capacità di intercettare e considerare gli aspetti informali, rischia di creare cortocircuiti organizzativi e relazionali e, dunque, di peggiorare la situazione di partenza. Per questo motivo, in linea con Costituzione apostolica Veritatis Gaudium che indica l’«inter e la trans- disciplinarità esercitate con sapienza e creatività nella luce della Rivelazione», quali prospettive efficaci per affrontare questo tempo di cambiamento e complessità, occorre chiarire i vari approcci di consulenza, facilitazione e accompagnamento formativo.

Ci sono consulenti problem solver che si sostituiscono ai responsabili o agiscono come loro ombre. Il rischio, in questo caso, è un approccio troppo interventista e potenzialmente destabilizzante. Poi c’è un approccio tecnicamente denominato “consulenza di processo”, che opera in una logica di problem setting e chiede alle figure di accompagnamento di collocarsi “a fianco” dei responsabili, come partner evolutivi di processo, evitando di entrare nel merito dei contenuti e delle scelte, e aiutando le persone a recuperare quanto di più prezioso è nel loro patrimonio biografico.

In altre parole, nello specifico religioso, si tratta di aiutare i responsabili ad attingere alla Tradizione, cioè a praticare in modo efficace il discernimento ecclesiale, suggerendo attenzioni e indicazioni pratiche ed evitando uno schiacciamento su una funzionalistica risoluzione dei problemi o una risposta alle sole urgenze, favorendo inoltre una riconnessione all’azione dello Spirito. I n conclusione, ha ragione Bruni quando dice che a volte è necessario «convivere con la non-soluzione», ma è anche vero che oggi le istituzioni ecclesiali non possono esimersi dall’agire nella Babele della complessità.

Non dimentichiamoci che donne e uomini che scelgono oggi di consacrarsi, crescono umanamente e spiritualmente in modo diverso rispetto al tempo in cui sono stati scritti le costituzioni del loro ordine. Percorsi di studio e di lavoro pregressi, percezione della società scristianizzata e post-secolarizzata, iperstimolazione determinata dall’iperconnessione e dall’accesso agli spazi digitali, sono solo alcuni dei motivi per cui la vita religiosa dovrà sempre più trovare Dio e santificarsi in un tempo di trasformazioni radicali, di portata eccezionale e potenzialmente esplosiva.

Per questo, fede e opere, come ricordano gli apostoli Paolo e Giacomo, possono configurarsi in modo adeguato e testimoniare segni evangelici nel nostro tempo. Così come è possibile offrire un servizio ecclesiale di accompagnamento che aiuti le comunità cristiane a vivere il discernimento e contribuisca, per il suo specifico, ad aiutarle a riconoscere che ancora oggi «i ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella» (Mt 11,5).