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Niente di nuovo sul fronte (pastorale) occidentale?

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Tempo di lettura: 5 minuti
Un percorso per uscire dalle trincee e facilitare il cambiamento

“Alla fine, l’ho dichiarato apertamente: non desidero più ricoprire il ruolo di parroco. Non riesco a conciliare le richieste legate alla gestione complessiva della parrocchia (non solo amministrativa) con quelle pastorali. Preferirei restare in parrocchia come prete, ma con un incarico differente, senza responsabilità dirette.

Mi scoraggia servire una chiesa che percepisco come una “bolla mentale”, lontana dal Vangelo e dalla realtà, che si limita a ripetere riti e consuetudini senza veri interlocutori. Gran parte delle mie energie è spesa a convincere bambini, genitori, catechisti, adolescenti e persone di passaggio che è bello partecipare alle attività; a chiedere chi voglia coinvolgersi; a fingere di non sentire la chiusura; a cercare il modo per rendere il Vangelo accettabile e interessante anche nei temi sociali e politici che appassionano me, ma non loro.

La struttura degli incontri, la gerarchia nelle relazioni, i luoghi comuni, l’ignoranza dei Vangeli a favore dell’autorità, le procedure della vita comunitaria, del catechismo e della carità: tutto ciò era adatto a un’altra epoca, quando c’erano anche le parole per spiegare cosa si doveva fare. Ora quell’armatura, come per Davide con Saul, va lasciata da parte per combattere nuove sfide”.

Trovare il modo di non essere sfasati

Queste riflessioni esprimono un senso di abbandono e disillusione che nasce sia dal lasciare che dall’essere lasciati. Una tensione e sofferenza che mettono in luce lo scarto tra le intenzioni pastorali e il loro effettivo impatto, tra l’impegno e i risultati, tra la volontà di dare continuità alle attività parrocchiali e la necessità di ripensare la loro gestione e partecipazione.

Non siamo di fronte ad una crisi vocazionale, non si tratta di insubordinazione o ‘diserzione’ dal fronte pastorale o rispetto ai doveri del ministero. Questo sacerdote non intende lasciare, ma riflettere criticamente sul suo ruolo. Non si tratta di fare un passo indietro, semmai provare ad andare oltre: affiancarsi alle dinamiche parrocchiali per osservarle e viverle da una prospettiva diversa. La scelta prospettata è un tentativo di ritrovare significato ed efficacia nella guida pastorale, a fronte di un’impostazione ancora troppo legata al modello di chiesa centrata sull’offerta di servizi religiosi essenziali (sacramenti, catechesi, liturgia, carità).

Non illudiamoci, né consoliamoci: non si tratta di un caso isolato, e nemmeno circoscritto al clero. Questo disagio è diffuso tra preti, consigli e operatori pastorali più sensibili, e non può essere ricondotto solo a una fragilità personale o comunitaria: chiama a rivedere le forme organizzative parrocchiali, ancorate a schemi di cristianità ormai superati e sfasati rispetto alla vita delle persone.

Doverosa resilienza o “inutile strage” pastorale?

Come vengono affrontate queste crisi e tensioni? Nella maggior parte dei casi scaricando sul singolo le difficoltà del sistema pastorale.

La strategia prevalente sembra essere quella di ‘mantenere la calma’ (pastorale), e puntare sulla resilienza personale. Significativa la risposta data da un superiore a un giovane sacerdote che chiedeva come gestire la fatica derivante dai numerosi impegni: “Tieni la posizione!”. Una battuta infelice che ricorda un ordine da Prima guerra mondiale: difendere la trincea pastorale, anche a costo di sacrifici poco comprensibili, dove ogni piccolo spostamento del fronte dell’evangelizzazione costa molte energie e perdite spesso inutili.

L’indicazione è resistere, rispettare l’agenda, ottimizzare risorse accorpando comunità, razionalizzare la dislocazione del clero, rimotivare i consigli pastorali… Assistiamo così ai lodevoli, quanto insufficienti, sforzi di molti esponenti dei vertici ecclesiali di ‘farsi prossimi’ ai preti in difficoltà (soprattutto quelli frustrati dal carico delle incombenze), ricucire strappi e ferite di comunità parrocchiali disorientate, rilanciando un rapporto di paternità, amicizia, fraternità.

Ma vogliamo davvero arrenderci al paradosso di un sistema pastorale che vuole risolvere i problemi che esso stesso ha prodotto? Davvero dobbiamo accontentarci che nulla cambi sul ‘fronte pastorale occidentale’? Forse oggi servirebbe rammentare e rinnovare il monito contro le “inutili stragi”, che toccano anche la vita della Chiesa.

Oltre lo “slancio samaritano”

È comprensibile che, per alcuni vertici ecclesiali, focalizzarsi sul ‘prete smarrito’ sia più gratificante che impegnarsi e lavorare per creare condizioni di ministero che prevengano l’insoddisfazione e quindi lo smarrimento dei preti stessi.

Un vescovo può sentirsi così il buon pastore che va in cerca della pecorella smarrita, ne cura i graffi e le ferite pastorali; a sua volta, un vicario pastorale può immaginare di rendere meno burocratico il proprio mandato nell’ambito pastorale o territoriale assegnatogli.

Aspetti sicuramente doverosi, che impegnano nel rapporto personale immediatamente umano, mentre l’altro lavoro – quello di rendere razionale l’ovile perché alle pecore non venga il desiderio di scappare e smarrirsi – rischia di passare per qualcosa non di loro competenza.

Questo approccio, però, finisce per ridurre il problema ai casi singoli, trascurando le cause sistemiche che alimentano il disagio. Una cura e responsabilità pastorali autentiche dovrebbero piuttosto lavorare a monte, non solo a valle del problema: chiedersi come evitare che la malattia insorga, da cosa può nascere la frustrazione al di là delle ragioni particolari legate ai singoli, come sia strutturata l’azione formativa, quali siano le priorità e le pratiche pastorali. In sintesi, dovrebbe interrogarsi sulle basi stesse del sistema ecclesiale e pastorale.

L’esigenza di altre mappe pastorali

Le tensioni attuali non si risolvono solo con la vicinanza, ma richiedono nuovi paradigmi: “abbiamo bisogno di altre mappe, di altri paradigmi, che ci aiutino a riposizionare i nostri modi di pensare e i nostri atteggiamenti” (papa Francesco).

Le tensioni attuali non si risolvono solo con la vicinanza, ma richiedono nuovi sguardi. Leone XIV lo ha richiamato nell’incontro con i Vescovi della CEI del giugno scorso, in continuità con papa Francesco: “ci è chiesta audacia per evitare di abituarci a situazioni che tanto sono radicate da sembrare normali o insormontabili. La profezia – diceva – non esige strappi, ma scelte coraggiose, che sono proprie di una vera comunità ecclesiale: portano a lasciarsi “disturbare” dagli eventi e dalle persone e a calarsi nelle situazioni umane, animati dallo spirito risanante delle Beatitudini”.

Sappiamo che cambiare sguardo, però, è difficile: spesso dietro la richiesta di cambiamento si cela il desiderio di adattare lo schema esistente. Ogni vera conversione suscita resistenze e fratture, ma proprio queste possono essere occasione di rinnovamento e di nuova stagione vocazionale. Serve però in molti casi un accompagnamento, perché traumi e tensioni possano diventare momenti di crescita. Occorrono tuttavia accompagnamenti non solo formativi ma trasformativi e nuove esperienze iniziatiche, ispirate da un sogno missionario rinnovato

Un Percorso per facilitare il cambiamento pastorale

Sempre più diocesi, comunità, congregazioni e associazioni in questi ultimi anni stanno chiedendo di essere accompagnate in processi innovativi di cambiamento pastorale. Il recente cammino sinodale ha evidenziato la necessità di immaginare nuovi approcci in grado di dare slancio all’annuncio evangelico e incrementare ministerialità e partecipazione. Tuttavia, sono ancora pochi coloro che possiedono le competenze necessarie: “il cambiamento è molto ma i facilitatori del cambiamento sono pochi” si potrebbe dire riprendendo la nota massima evangelica.

Per questo il Centro Studi Missione Emmaus propone il Percorso Intro: un cammino unico e distintivo di introduzione ai processi di cambiamento pastorale. Il Percorso Intro si articola in incontri a cadenza mensile ed uno stage residenziale, dedicati a coloro che intendono diventare figure di facilitazione, competenti nell’accompagnare il cambiamento e gestire le tensioni che attraversano le comunità ecclesiali.

Percorso Intro: focus di apprendimento

Il Percorso Intro è un ciclo di incontri e momenti di condivisione concepiti come esperienza leggera, flessibile, ‘antifragile’, per permettere ai partecipanti di respirare e trasmettere scelte e segni di rinnovamento e discontinuità pastorale, creando occasione di conversione e nuovi spazi di apprendimento. I cinque focus principali che verranno approfonditi sono

  • IL PARADIGMA: lavoro sulle resistenze interiorizzate al cambiamento
  • IL PROCESSO PASTORALE: significato e modalità di accompagnamento
  • IL SOGNO: visione missionaria e discernimento ecclesiale
  • LA SPERIMENTAZIONE: introduzione di novità nelle prassi pastorali
  • LA CONVERSIONE PASTORALE: metodi e strumenti per accompagnare il cambiamento

Questa esperienza consente di accogliere e acquisire un approccio pastorale diverso, aprendo vie nuove ancora poco esplorate: non solo affrontare il cambiamento, ma imparare a cambiare. È un’esperienza iniziatica che non intende semplicemente formare, ma trasformare chi vi partecipa, affinché a propria volta possa trasformare il proprio ambito ecclesiale di riferimento.

Forti dei risultati già ottenuti, a ottobre partirà la VI edizione, che sarà proposta a Bologna e Napoli, con possibilità di scegliere la sede più comoda. Per maggiori info e modalità di iscrizione consultate la brochure informativa disponibili sul sito (Percorso intro – Centro Studi Missione Emmaus)