
Alcune volte a don Carlo capitava di sognare episodi del vangelo. Quando gli accadeva, la cosa lo rendeva particolarmente felice: poteva immaginare di essere stato presente, osservare da vicino la scena ed i personaggi, a partire da Gesù.
Ovviamente gli episodi non corrispondevano perfettamente al testo evangelico. C’erano sempre aspetti imprevisti, a volte sorprendenti, come appunto accade nei sogni. Ma la cosa non dispiaceva a don Carlo che, anzi, più volte aveva usato quei nuovi elementi per riflettere, e come spunto per le sue omelie.
Quella volta il sogno arrivò la notte del Giovedì Santo. Don Carlo era reduce dalla messa crismale in duomo con il vescovo e tanti suoi confratelli. Non gli fu difficile riconoscere l’episodio che stava sognando: un gruppo di zelanti religiosi che si accaniva, tra collera e sconcerto, contro qualcuno che doveva averla combinata grossa, soprattutto perché sembrava essere uno di loro. Questo, soprattutto, sembrava ciò che non potevano tollerare. Il gruppo aveva trascinato la persona davanti a Gesù, cercando di coinvolgerlo. A sua volta, per tutta risposta, lui invece pareva estraniarsi, facendo segni sul terreno.
Una ferita intollerabile
Don Carlo non ebbe dubbi: era l’episodio dell’adultera! Avrebbe avuto finalmente l’occasione di sentire gli argomenti degli accusatori e, soprattutto, risolvere il mistero di cosa mai stesse tracciando Gesù col dito sulla polvere, di cui fin da piccolo era stato curioso. Si mise dunque ad ascoltare con attenzione. “La nostra Chiesa è ferita, il nostro presbiterio è ferito” stava dicendo, trattenendo a stento la calma, quello che doveva essere il leader del gruppo. “Il comportamento scandaloso di alcuni di noi preti – continuava indicando la figura al centro – diventa una ferita per tutto il presbiterio, e tutti ne siamo umiliati e in qualche modo avvertiamo che è incrinata la fiducia verso tutti noi”.
Il suo sguardo ruotava sui presenti, severo e ammonitore. “Continuiamo a chiederci come sia possibile” incalzava. “Continuiamo a richiamare a comportamenti prudenti, coscienziosi… come può essere che ci siano di quelli che snobbano le proposte, le verifiche, gli inviti a conversione?” Qui sembrava rivolgersi al Rabbi, in attesa di un suo commento. Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. Ma siccome il loro sguardo ed attesa si facevano oltremodo insistenti, alzò infine il capo e disse loro: “Chi di voi non è passato per il sistema formativo pastorale scagli per primo l’anatema”.
Se la ‘pietra angolare’ diventa ‘pietra scartata’, senza vedere l’edificio
La mattina dopo don Carlo ripensò al sogno. Purtroppo, non era riuscito a sbirciare quello che Gesù aveva fatto sulla polvere. Ma non doveva essere particolarmente importante perché poi vide che lo cancellava subito. Pareva gli fosse servito per non innervosirsi verso tutti quei religiosi esasperati e petulanti, come quando scarabocchi su un foglio per calmarti.
Poi ripensò a quello che aveva sentito e si rese conto che quanto detto dal portavoce del gruppo gli ricordava molto quello che aveva detto il vescovo, nell’omelia della messa crismale: “E continuiamo a chiederci come sia possibile che uomini consacrati per portare il lieto annuncio della salvezza, diventino motivo di scandalo e diventino un argomento per screditare la Chiesa, i suoi preti, e quasi di conseguenza la parola che viene annunciata”
Gli tornavano anche alla mente, però, in modo insistente, le parole di Gesù, quel richiamo al ‘sistema pastorale’ sul quale misurare il diritto a giudicare: “Chi di voi non è passato per il sistema…” aveva detto. Ma nelle parole del vescovo questo aspetto sembrava assente. Tutto si giocava su una relazione tra preti, e soprattutto sulla salvaguardia della reputazione della categoria. “Ci sono quindi ragioni perché in questo contesto la gente sia incline alla sfiducia, allo scetticismo, alla reazione scandalizzata. L’abuso commesso da uno di noi preti è una ferita inguaribile in chi ne è vittima, perché è la smentita e la frantumazione di una fiducia che è diventata confidenza, condivisione, apertura all’intimità più profonda”.
Don Carlo rifletteva, perplesso: quelle parole erano un misto tra il ‘chi sbaglia paga’ – elemento perno della legge mosaica – e la dinamica del ‘capro espiatorio’, che concentra sul singolo la colpa ed esalta virtù e purezza del gruppo. Nessun accenno invece al ‘sistema’, nessun tentativo di verifica organizzativo-pastorale, nessun rimando alla cornice ed alle strutture di riferimento, ai modelli formativi scelti.
La sindrome della ‘mela marcia’
Tutto veniva risolto sul piano individuale, come se ‘santità’ e ‘peccato’ fossero questioni tutto sommato personali e private. Tutto sembrava ricondurre e ridursi alla dimensione ‘sacrale’, ovvero la ‘separazione’ e la ‘distinzione’ tra sacerdote e mondo. Tutto si risolveva a livello clericale: natura del problema e natura della soluzione finivano per coincidere. La differenza era la qualità del sacerdote, a prescindere dal sistema che l’aveva formato ed a cui apparteneva. A parità di ‘sacralità’ si trattava ‘solo’ di una differenza a livello di struttura della personalità. Don Carlo impallidiva al pensiero che avrebbe potuto capitare anche a lui… per fortuna, almeno per il momento, era tra i salvati.
“I motivi di speranza per la nostra Chiesa e per la missione della Chiesa in questo tempo, siete voi, i preti che sono grati per la fraternità presbiterale, che la edificano, che portano i pesi gli uni degli altri, che sanno correggersi e incoraggiarsi a vicenda, che pregano insieme. Voi siete motivo di fiducia perché continuate ad essere pieni di stupore e di gratitudine accogliendo la rivelazione di Gesù: oggi si compie, qui si compie la promessa di Dio. Siamo santi non perché siamo privi di difetti e di peccati ma perché la santità di Dio continua ad attrarci a sé e a renderci uniti al suo figlio Gesù”.
Il rischio assolutamente da scongiurare era quello di compromettere il sempre più delicato equilibrio tra il ‘sacro sacerdotale’ ed il ‘profano della gente’. Una rivendicazione di alterità, quella ‘sacrale’, a rischio di diventare generatrice di malessere e patologia proprio nel pretendere di negare i vissuti reali dell’organizzazione formativa pastorale. Meglio imputare la patologia alla fragilità del singolo che alle nevrosi del sistema ecclesiale.
Se non sai uscire dal problema, sei parte del problema
Non tutti sembravano però ragionare in questo modo. A don Carlo venne in mente di riprendere un documento che gli era capitato di leggere solo qualche mese prima. Era la relazione conclusiva di una indagine riguardante una diocesi colpita come altre dallo scandalo degli abusi sessuali da parte di chierici. L’indagine, condotta da un’agenzia esterna alla diocesi, aveva il compito di analizzare, più che gli abusi, la condotta di governo rispetto ad essi. La relazione non si limitava a trovare il capro espiatorio individuale ma metteva in evidenza le responsabilità del sistema. Il vescovo stesso era stato messo sotto osservazione, ed aveva ascoltato la presentazione del Report conclusivo come ogni battezzato, senza anticipazioni.
“Vero è che i vari atti di abuso furono ovviamente commessi da singoli sacerdoti: stando alle prime dichiarazioni costitutive provenienti dalla Chiesa, si tratterebbe di deplorevoli casi isolati. La mera quantità degli atti di questo tipo impone tuttavia di chiedersi quali carenze sistemiche siano e furono la causa di tutti questi casi di abuso sessuale. I numerosi pareri di esperti, le perizie, gli studi e rapporti già disponibili evidenziano la chiara esistenza di lacune sistemiche nettamente riconosciute e ampiamente descritte. Non è quindi possibile affermare di trovarsi di fronte a casi isolati disgiunti dal sistema”.
Quasi in risposta alla domanda di partenza (‘Come sia possibile…?’)’ il documento invitava a considerare un aspetto sottovalutato di fragilità strutturale del sistema di riferimento: la mancanza di una ‘cultura dell’errore’. A questa lacuna non potevano certo rimediare “proposte formative, occasioni di confronto, pubblicazioni di indicazioni per comportamenti corretti e per una vigilanza condivisa”, tutti aspetti affidati al buon volontarismo dei singoli. La risposta deve essere sistemica.
“Un problema generale interno alle organizzazioni – puntualizza la relazione – è spesso dato dalla totale mancanza di una cultura dell’errore, o da una cultura almeno carente in questo senso. Per esempio, chi per interi decenni non tratti e sanzioni in modo adeguato l’abuso sessuale commesso da un sacerdote diventa prima o poi complice dell’autore. Se, in un momento successivo, riconosce di avere commesso un errore, l’azione coerente richiesta al più tardi in quel momento comporterebbe infatti, dal suo punto di vista, anche la pubblica ammissione dell’errore commesso in passato. Quando tuttavia, come avvenuto in Diocesi almeno fino all’anno 2010, esista una cultura dell’errore che esclude la fallacia personale, soprattutto per gli alti responsabili della dirigenza, l’intollerabile circostanza del proseguimento dell’azione di un sacerdote fattosi notare per atti di abuso sessuale è provocata e promossa in modo immanente al sistema”.
“Tenere la posizione”
Nel sogno di don Carlo non tutto corrispondeva al brano evangelico in questione. Alcuni aspetti erano francamente spiazzanti, divergenti e provocatori. Don Carlo lo sapeva e se lo aspettava. Per questo non si sorprese nel ricordare come, nel sogno, l’episodio finiva in modo assai diverso rispetto al testo evangelico. Il monito di Gesù rimase inascoltato. Nessuno dei presenti si mosse, pur sentendosi interpellati ed in imbarazzo. Nessuno di quelli se ne andò, sforzandosi piuttosto di ‘tenere la posizione’, a partire dai più anziani fino agli ultimi ordinati.
Gesù attese qualche istante, e per un attimo ricambiò il loro sguardo, colpito dal loro zelo. In quel momento ‘li amò’, sapendo che con le pietre che tenevano in mano potevano costruire qualcosa di nuovo. Infine, fu lui ad alzarsi perplesso ed andarsene, lasciandoli alle loro ‘posizioni’.
A don Carlo, nel sogno, sembrò di vedergli fare anche un gesto coi piedi, non per scrivere qualcosa ma come volesse scuotere la polvere dai calzari.