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Verso una sinodalità antifragile

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Tempo di lettura: 4 minuti

IL CAMMINO SINODALE COME PROCESSO

In questi giorni nella Chiesa Italiana sta prendendo forma quel cammino sinodale che Papa Francesco ha invitato ad intraprendere a più riprese dal Convegno di Firenze ad oggi. Nella Carta d’Intenti della CEI si possono rintracciare alcune coordinate utili a definire il cammino. Come Centro Studi, dopo aver vissuto un periodo intenso di accompagnamento sui territori dovuto alle “ripartenze”, stiamo elaborando alcune riflessioni su questo ambito, che muovono nella prospettiva di una “sinodalità antifragile”.

In questo contributo, sulla traccia delle coordinate essenziali consegnate dalla CEI, condividiamo alcune piste di riflessione utili a delineare un cammino sinodale nella logica del processo pastorale.

COORDINATE

La Carta d’Intenti mette in evidenza tre “movimenti” propri del cammino sinodale, che ne definiscono il metodo: ascolto, ricerca e proposta. Essi prospettano perciò una prima fase di carattere “narrativo”, in cui si intenderà mettere in atto un ascolto capace di «intercettare, dal basso, le domande di senso e i bisogni emergenti», una fase di ricerca orientata dalla prospettiva teologica e magisteriale delineata da Evangelii Gaudium e, infine, una fase di proposta che si auspica possa essere intrisa di carattere profetico ed aprire nuove vie per l’annuncio evangelico.

La cifra sintetica del cammino sinodale, o meglio la sua natura propria, viene descritta nella Carta come processo di ricerca e sperimentazione, da vivere in una modalità “circolare” così delineata: «l’itinerario del cammino sinodale comporta la necessità di passare dal modello pastorale in cui le Chiese in Italia erano chiamate a recepire gli Orientamenti CEI a un modello pastorale che introduce un percorso sinodale, con cui la Chiesa italiana si mette in ascolto e in ricerca per individuare proposte e azioni pastorali comuni. Ci è chiesto di passare da un modo di procedere deduttivo e applicativo a un metodo di ricerca e di sperimentazione che costruisce l’agire pastorale a partire dal basso e in ascolto dei territori».

Lo stile del cammino dovrà tradurre concretamente alcune attenzioni prioritarie, come ad esempio: il primato delle persone sulle strutture, la corresponsabilità di tutti i soggetti, il coraggio di osare con libertà e la capacità di tagliare i rami secchi.

Il cammino sinodale sarà inoltre sostenuto da alcuni strumenti di lavoro (agenda di temi di ricerca, instrumentum laboris, schede per l’ascolto e la verifica, piattaforma digitale) che saranno condivisi dalla Segreteria CEI e aiuteranno l’elaborazione di una mappa di contenuti. Il tutto da vivere attraverso alcune fasi o tappe del processo collocate in un arco temporale relativamente ampio che giunge alle soglie del Giubileo 2025 e si inserisce nel cammino del Sinodo dei Vescovi «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione».

PISTE DI RIFLESSIONE

Metodo

Un’attenzione importante incide particolarmente sulla fase di ascolto o narrativa, delineata dalla Carta d’Intenti, ed è determinata dal prendere sul serio la natura “circolare” del cammino: si tratta di far sì che ascolto e narrazione si collochino all’interno dell’agire sperimentale, in un nuovo paradigma ecclesiale. In questa prospettiva il discernimento non deve essere inteso come una fase preliminare all’azione, ma si realizza “in azione” attraverso piccole sperimentazioni vissute e narrate nel contesto della comunità. Ascolto, ricerca e proposta non sono fasi separate, ma movimenti a spirale, dinamismi di un discernimento comunitario che procede secondo la logica del processo pastorale. In questo senso il cammino sinodale non è primariamente un evento, ma un processo che edifica la comunità e orienta il suo agire conferendole maggiore spinta evangelizzatrice.

Natura

Il cammino sinodale così caratterizzato da questo metodo non si limita ad essere un evento normato che si svolge secondo una logica lineare (dall’alto) e viene vissuto esclusivamente nei luoghi istituzionali ecclesiali. Diviene piuttosto un processo accompagnato che genera un discernimento diffuso e si concretizza in una dinamica non lineare – a spirale appunto – che dal basso (o meglio “dall’interno”) si orienta ad una finalità specifica. Il fine di un cammino sinodale in prospettiva “classica”, infatti, è quello di approdare ad un documento finale che approvato richiede un’attuazione. Il fine di un processo sinodale, concepito in prospettiva antifragile, è quello di ritessere il tessuto comunitario a partire da una visione condivisa. Infatti, come ricorda il Papa, «l’obiettivo dei processi partecipativi non sarà primariamente l’organizzazione ecclesiale bensì il sogno missionario di arrivare a tutti» (EG, 31).

Stile

Mettere al centro le persone significherà concretamente non procedere per “ruoli designati” (segreterie, rappresentanti), ma costituendo “reti di persone” capaci di osare nella libertà, appassionati dal desiderio di immaginare un nuovo volto per la Chiesa, senza la paura di perdersi o di tagliare ciò che non è più generativo oggi, anche se a suo tempo è stato utile. Ciò comporterà un investimento su nuove “figure di giuntura” (cf. Ef 4,16; Col 2,19): a noi piace chiamare alcune di esse Custodi del Fuoco (persone non dedicate all’azione, ma che si curino primariamente di tenere acceso il fuoco della visione, cioè il senso profondo di ciò che si sta vivendo, che si curino di facilitare le relazioni nella comunità e si occupino di accompagnare alcuni processi), o ancora Facilitatori o Tessitori di Relazioni, privilegiando il lavoro in equipe ed evitando commissioni formali. Tutto ciò perché lo stile di un processo sinodale antifragile prevede di prediligere modalità di relazione calde, in piccoli gruppi, con uno stile narrativo, che siano già esperienza ecclesiale in sé, lasciando in secondo piano le modalità di relazione fredde (questionari, dibattiti, mail, verbali).

Fasi e strumenti

Lo “strumento” decisivo di un processo sinodale antifragile saranno perciò le persone: sarà opportuno in una prima fase attivare nuove figure di giuntura secondo i profili delineati, per far sì che il processo venga accompagnato e non sia lasciato alla buona volontà. Questa scelta farà sì che le fasi del cammino non vengano definite a priori, ma concretamente siano centrate sulle persone e sulle comunità, prevedendo momenti di ingaggio efficaci dei diversi soggetti pastorali (battezzati attivi, ministri, religiosi, presbiterio) ed esperienze di narrazione dei processi nei contesti comunitari, nello stile proprio del discernimento. Una caratteristica di una strutturazione per fasi del processo sinodale, inteso in senso antifragile, dovrà essere perciò la flessibilità.

UN CAMMINO SINODALE INFORMALE

Secondo Alphonse Borras parlare di corresponsabilità battesimale di tutti e parlare di sinodalità del corpo ecclesiale è dire la stessa cosa ma da due punti di vista distinti: la corresponsabilità concerne la Chiesa di soggetti, la sinodalità la Chiesa soggetto. Perciò la sinodalità può concretizzarsi in una duplice accezione: vi è una “sinodalità formale”, che è quella che normalmente si sperimenta nei processi istituzionali e burocratici, regolati dal codice, che ad esempio un Sinodo nazionale o diocesano avvia richiedendo la creazione di organi appositi e documenti validati. Ma si può pensare anche di una “sinodalità informale”, basata sull’ascolto reciproco nella Chiesa e sulla corresponsabilità di tutti i battezzati alla sua missione. Questa seconda via trova forte sintonia con l’idea di un cammino sinodale diffuso, un processo – come noi lo intendiamo – da vivere nella prospettiva antifragile qui delineata nei suoi tratti essenziali.