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UN TEMPO DI TRASFIGURAZIONE ECCLESIALE

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UN CAMMINO DI QUARESIMA ALLA LUCE DEL MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO

Papa Francesco ci consegna per questa Quaresima un messaggio che mette insieme il percorso di ascesi-purificazione proprio di questo tempo con il cammino sinodale. Il riferimento biblico è quello della seconda domenica di quaresima, la Trasfigurazione. In un tempo in cui tante sono le critiche e le incomprensioni verso il cammino sinodale, dove la speranza cede alla paura di mettere in discussione l’autorità della Chiesa, il suo prestigio, la sua Tradizione, dove è chiesto di morire per poter risorgere rinunciando a spiegare e mettersi in ascolto… siamo invitati a lasciarci guidare da Gesù per purificare queste paure e ansie ecclesiali.

Papa Francesco nel suo Messaggio ci invita a compiere tre passi: ritirarsi, trasfigurare, ridiscendere. Tre snodi per la purificazione-liberazione personale ma anche per la liberazione pastorale, assumendo la sinodalità come paradigma.

RITIRARSI… DALLA MEDIOCRITA’ E DALLE VANITA’

“Bisogna lasciarsi condurre da Lui in disparte e in alto, distaccandosi dalle mediocrità e dalle vanità”. Il primo passo è il distacco, non nella direzione che noi ci vogliamo dare, ma seguendo Lui, il Cristo liberatore. Il primo passo è perdere il controllo, sfuggire dalla tentazione di gestire e ordinare tutto secondo le necessità. E’ il gesto che anche Gesù è invitato a fare all’inizio della sua missione, come abbiamo ascoltato nella prima domenica di Quaresima. Fu condotto dallo Spirito nel deserto per venire tentato. Per entrare a contatto con le tre spinte umane interiori che se non conosciute e domate, possono condurci a compiere il male che non vorremmo compiere (pensiamo agli scandali compiuti da persone illuminate e carismatiche): l’energia di godimento, di possesso, di potenza. Le stesse che Adamo ed Eva si trovarono drammaticamente a gestire (il frutto dell’albero era buono da mangiare, desiderabile alla vista e prezioso per riuscire). La tentazione pastorale di voler trasformare da subito le pietre in pani, di ottenere risultati, di ritrovare i numeri, la partecipazione di massa, di essere riconosciuti e visibili, di essere presenti ovunque. Distaccarsi, rinunciare, è sperimentare l’atto di amore creativo nella sua cristallina potenza. Ci ricorda Simone Weil che “si posseggono solo le cose cui si è rinunciato”, siamo quindi, secondo la filosofa, invitati a “desiderare a vuoto”, separare l’energia dal suo oggetto, senza finalità, liberarla dall’attaccamento. Come Dio che si ritira dalla creazione per permetterci di amarla. “L’attaccamento deriva da un’insufficienza del sentimento di realtà”: ci si attacca perché si pensa che senza possesso quella cosa cessi di esistere oltre noi. Quanta fatica sto personalmente facendo su questi aspetti. Quanto forte la spinta infantile ad avere tutto e subito, a non saper attendere, a non farmi silenzio per restare in tensione, per purificarmi. Quanta fatica a restare sulla realtà e non proiettare su di essa desideri e appetiti non purificati. Non per cattiveria o desiderio di male, ma per paura del vuoto, della morte, di essere visto per quello che si è, di lasciar scoprire le proprie fragilità. C’è un bambino interiore intimorito e impaurito, che fa i capricci, afferra le cose, è impaziente. E Gesù prese il bambino, lo mise in mezzo a loro, lo prese in braccio e disse “Chi riceve questo bambino nel mio nome riceve me e chi riceve me riceve Colui che mi ha mandato”. Posso abbracciare quel bambino intimorito che condiziona il mio essere, che mi porta a essere dipendente dal desiderio di godimento, possesso e potenza per paura. Non a caso, il gesto di Gesù va a sedare la discussione tra i discepoli che verteva sul tema del potere, di chi fosse il più grande… Posso abbraccialo, accoglierlo e comunicargli di non aver paura, posso liberarlo per avviare questo cammino in cui ritirarsi dalla mediocrità e dalla vanità del mio dialogo interno, così come Chiesa, dalla mediocrità e vanità del dibattito pastorale.

TRASFIGURAZIONE… PERSONALE ED ECCLESIALE

Il processo di liberazione personale e comunitario è in grado di permetterci di vedere la bellezza del Cristo e di gustarla e contemplarla più che comprenderla (prenderla, afferrarla, possederla). E’ resa al mistero abbacinante, che apre cuore, mente, volontà, che discioglie le paure, che spezza le catene. Oggi siamo chiamati ad una trasfigurazione personale ed ecclesiale, come ci ricorda il Papa nel suo messaggio. Il cammino sinodale ci invita ad un ritirarci per discernere, per recuperare il legame con la realtà nel suo senso più profondo, spirituale, incarnato. Far emergere da questo ascolto la bellezza che sgorga non da analisi socio-antropologiche, ma da Lui stesso: “Ai tre discepoli è data la grazia di vederlo nella sua gloria, splendente di luce soprannaturale, che non veniva da fuori, ma si irradiava da Lui stesso. Una bellezza superiore a qualsiasi fatica”. Per comprendere “meglio la volontà di Dio e la nostra missione al servizio del suo Regno”. Infatti, l’approccio dialettico nella pastorale non mette in discussione le forme  ma si limita a porsi su di un piano di redistribuzione del potere, come mero cambiamento reazionario. La trasfigurazione come fabula mistica (direbbe de Certau), esce dalla dialettica, sovverte, destabilizza, non è redistributiva è ricreativa, rivoluzionaria. Ci mostra un Sogno Missionario che Dio ci invita a vivere in questo tempo e laddove siamo, radicato nella Tradizione della Chiesa («Accanto a Gesù trasfigurato, appaiono Mosè ed Elia») e aperto verso il nuovo. “La tradizione è fonte di ispirazione per cercare strade nuove, evitando le opposte tentazioni dell’immobilismo e della sperimentazione improvvisata”. L’amore, ci ricorda sempre Simone Weil, “non è consolazione ma è luce”, la luce che irradia dal monte Tabor, che non vuole rassicurare o rasserenare addomesticando la realtà. Altrimenti continueremo a raccontarci le nostre storie, sfuggendo dal reale, restando nell’ideologia. La luce libera, perché ci mostra la realtà per ciò che è. Non si ama la sofferenza, il dolore, la fatica perché è utile ma si ama perché è. La trasfigurazione è sguardo libero, liberato. Sento quanto mi fa male, quanto timidamente accendo questa luce dentro, sento subito una spinta a soffiarci sopra, e se resisto il respiro si inceppa, il torace si contrae. A volte piango. Cado con la faccia a terra preso da timore. È forte la tentazione regressiva di fare una tenda e mollare tutto. Quando vedi precipitare anche l’ultima scialuppa. È un’immagine deprimente, segno di fuga più che di riscatto. Forse deve precipitare anch’essa. Annullare ogni punto di fuga per restare faccia a faccia con il mistero, l’abisso incomprensibile, inafferrabile. Che sia grazia, che sia una benedizione questa débacle totale? Eppure sono tentato di lasciarmi andare, inabissarmi in questa ‘valle di lacrime’. Torno ad annaspare luce e ossigeno, conscio che nello sbracciare posso perdermi ancora, oppure accettare questa volta di morire, lasciare andare, non reagire. Terminare il ciclo di vite, purificare il mio Spirito non più afferrabile e leggero. Ma ancora reagisco. Ecco la mano che mi tira sotto, lo Spirito, l’abisso.

RIDISCENDERE… PER DIVENIRE ARTIGIANI DI SINODALITA’

“Gesù si avvicinò loro e toccateli gli disse: “Alzatevi e non temete””.  Il Papa ci invita a scendere nella pianura, e attraverso la grazia sperimentata in questo cammino di purificazione, divenire artigiani di sinodalità nella vita ordinaria delle nostre comunità. Infatti, ci ricorda che “La Quaresima è orientata alla Pasqua: il ‘ritiro’ non è fine a sé stesso, ma ci prepara a vivere con fede, speranza e amore la passione e la croce, per giungere alla risurrezione”.

Siamo chiamati, come ci invita il cammino sinodale, a ridiscendere per aprire artigianalmente cantieri, laboratori di speranza, di resurrezione, nel mondo in cui abitiamo. Liberare il mondo dalle proiezioni ideologiche, dai paradigmi/modelli ecclesiali non più coerenti con il dato esistenziale e in grado di custodire la vita. Non lo faremo con atti di forza ma con la paziente attesa del seme, che ispirato dal calore della trasfigurazione vissuta, sa distendersi e radicarsi nella realtà per sbocciare e fiorire e portare frutto. Perché ogni verità è tale solo se incarnata.

Per chi conosce il metodo del Centro Studi Missione Emmaus, rappresento i tre passi indicati sopra all’interno del nostro schema di cambiamento pastorale:

C’è chiesto quindi un processo di liberazione personale ed ecclesiale. Un digiuno dalle forze di potenza, godimento e possesso per liberarci dal giogo mortale della paura, della propria ferita interiore. E come ci ha ricordato Isaia poco prima della Quaresima, operare un ascesi/allenamento di misericordia: la carità, il gesto gratuito e non utilitario, libera, purifica. Il desiderare a vuoto per sé stessi e per la Chiesa:

6Non è piuttosto questo il digiuno che voglio:
sciogliere le catene inique,
togliere i legami del giogo,
rimandare liberi gli oppressi
e spezzare ogni giogo?
7Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato,
nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,
nel vestire uno che vedi nudo,
senza trascurare i tuoi parenti?
8Allora la tua luce sorgerà come l’aurora,
la tua ferita si rimarginerà presto.
Davanti a te camminerà la tua giustizia,
la gloria del Signore ti seguirà.
9Allora invocherai e il Signore ti risponderà,
implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”.
Se toglierai di mezzo a te l’oppressione,
il puntare il dito e il parlare empio,
10se aprirai il tuo cuore all’affamato,
se sazierai l’afflitto di cuore,
allora brillerà fra le tenebre la tua luce,
la tua tenebra sarà come il meriggio (Is 58, 6-10).