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“Tornarono per un’altra strada”

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Tempo di lettura: 6 minuti

Cinque passi per procedere nel cammino sinodale

Siamo forse già entrati in una fase di riflusso sinodale? Stiamo già correndo il rischio di accantonare la sfida del camminare insieme che siamo stati invitati a sperimentare in questi ultimi due anni? E’ già terminata la luna di miele con un Sinodo che ci sollecitava ad uscire dalle nostre aree di confort pastorale, per sostituire sterili documenti con rinnovati sogni missionari?

Forse è presto per dirlo ma l’impressione non è incoraggiante: l’avvio e sperimentazione di nuove prassi di incontro e ascolto orizzontali, circolari e paritetiche, differenti dalle solite conferenze unilaterali, ha suscitato interesse ed al contempo scompiglio.

L’immagine emblematica dei tavoli di lavoro sinodali che riempivano l’Aula Nervi in Vaticano, a cui erano seduti insieme vescovi e laici, uomini e donne, fino a papa Francesco, ha creato entusiasmo in alcuni ma al contempo disorientamento in diversi altri. Sappiamo che molti si stanno chiedendo se la Chiesa sia pronta a questo passaggio sinodale o se esso non sia un ulteriore esempio di perdita di controllo sulla situazione ecclesiale.

 

Significativa tra le tante reazioni, la recente pubblicazione di un articolo di un Arcivescovo emerito e teologo intitolato ‘Doni gerarchici e doni carismatici’, in cui – prendendo spunto dal processo sinodale – si rivendica la superiorità dei primi sui secondi concludendo che “i carismi dei fedeli devono essere verificati dai pastori. Non viceversa”.

Avendo accompagnato come Centro Studi molte realtà ecclesiali, a diversi livelli, a vivere l’esperienza sinodale, possiamo affermare che sono stati numerosi nel popolo di Dio coloro che hanno guardato al Sinodo dedicato al ‘camminare insieme’ un po’ come i Magi alla Stella. Hanno accettato di rompere gli indugi, superare le perplessità accumulatesi e si sono messi in cammino (appunto) non sapendo bene ciò li aspettava, ma determinati a scoprirlo.

Come nel brano evangelico, tuttavia, spesso l’incontro con l’Istituzione ed i suoi vertici, al pari di quello dei magi con Erode ed i suoi sapienti, si è rivelato ambivalente: da un lato passaggio prezioso, reso necessario dal bisogno di conferme e di indicazioni senza le quali il cammino si sarebbe interrotto; dall’altro circostanza resa insidiosa da interessi nel mantenere il controllo dottrinale e dall’esigenza di salvaguardare ruoli gerarchici e prassi consolidate.   

Come sappiamo, il racconto evangelico non ha un lieto fine. Non vorremmo succedesse qualcosa di analogo: benché i viandanti sinodali, con l’apparente sostegno dell’Autorità, giungano alla meta, vi è il concreto rischio che, subito dopo, i ‘sogni missionari’ generati dall’esperienza sinodale finiscano soffocati ancora in fasce.

Istruiti dalla narrazione evangelica, dunque, ora che la prima fase del Sinodo è giunta al termine, è forse bene ‘tornarsene da un’altra strada’: non quella formale degli atti dichiarativi e documenti di lavoro, interessata a normalizzare l’esperienza sinodale e ricondurla in un alveo pastorale più rassicurante, ma per una strada alternativa, informale, meno tracciata e sicura ma in grado di continuare il cammino di discernimento e cambiamento avviato.

Come ammoniscono gli esperti dei processi di cambiamento, non si può risolvere un problema restando all’interno del sistema che quel problema ha generato. Occorre uscire, ampliare i riferimenti, farsi altre domande.

Questo criterio potrebbe oggi essere molto utile anche al sistema ecclesiale, superando il riflesso condizionato di ritenere che le risposte ai problemi della Chiesa siano solo e solamente da ricercare al suo interno.

Forse invece è possibile trovare spunti e intuizioni utili anche in altri ambiti, dal momento che lo Spirito soffia dove vuole.  

A questo riguardo prendiamo in prestito da Italo Calvino, di cui si è appena celebrato il centenario della nascita, le parole da lui scelte in Lezioni americane: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità. Come noto, ciascuna parola fu scelta da Calvino per indicare la proposta di un valore da considerare basilare per la letteratura ‘del prossimo millennio’. Allo stesso modo, proviamo a rileggere queste cinque parole come altrettante proposte per il cammino sinodale che ancora ci attende, cambiando strada senza perdere la strada.

La leggerezza, afferma Calvino, come sottrazione di peso è un valore non un difetto. La Leggerezza si associa alla precisione non alla casualità, è la gravità senza peso. La leggerezza è una qualità che rende una forma in grado di trasformarsi continuamente in qualcosa di diverso, contro ogni fissità e gerarchia.

Il cammino sinodale può proseguire se prende la strada della leggerezza, della ‘antifragilità’, imparando ad attraversare le crisi, non resistendovi ad oltranza: ‘se la crisi ti chiede di fare un miglio, tu fanne due’…

“La crisi non è il declino. Nel declino, la Chiesa lavora solo alla sopravvivenza. La via, che può sembrare una non soluzione, è vivere evangelicamente nella crisi” (Riccardi, La Chiesa brucia, Ed. tempi nuovi).

Non si tratta di essere deboli lampi nel cielo: leggerezza non è debolezza ma antifragilità, libertà, coraggio di sperimentare nella gioia.

La rapidità non è un valore in sé, sostiene Calvino, ed un ragionamento veloce non è necessariamente migliore d’un ragionamento ponderato. Esso piuttosto comunica qualcosa di speciale che sta proprio nella sua sveltezza, nella sua logica essenziale e soprattutto nella sua efficacia narrativa.

“Il raccontare è un’operazione sulla durata, un incantesimo che agisce sullo scorrere del tempo”, come se con il ritmo si volesse catturare il tempo.

Il cammino sinodale consiste nel dare attenzione ai processi, prima ancora di proporre o trasmettere contenuti. La via sinodale si snoda attraverso la ritessitura di relazioni e legami comunitari, una strada che si sviluppa attraverso l’ascolto e la narrazione reciproca: due aspetti indispensabili per procedere alla conversazione spirituale del successivo discernimento. Molte comunità sono rimaste assai colpite dall’opportunità di narrarsi l’un l’altro la propria storia di fede, e ricevere un ascolto non giudicante.

Se è vero che c’è sempre tempo per cambiare, occorre affrettarsi nel seguire il cammino sinodale, senza indugiare, cogliendo il suo essere ‘tempo di grazia’, ovvero di conversione e purificazione.

Nel cammino sinodale l’esattezza rimanda all’utilizzo di un linguaggio fresco, vitale, immediato, capace di parlare non solo di Dio o della Chiesa ma soprattutto alla vita delle persone.

“Quando la coscienza storica dell’uomo è spezzata, tutto il messaggio cristiano appare come una lezione di baseball a chi di baseball si disinteressa” (H. Nouwen). La strada sinodale da percorrere chiede e persegue qualità comunicativa ed uno stile di annuncio e predicazione capace di restituire al linguaggio del cristianesimo il suo potere liberatore.


Visibilità (“gridatelo dai tetti”)

Calvino intende la ‘visibilità’ come processo di conversione dell’immaginazione nella realtà, dall’invisibile al percepibile, dal fantastico al plausibile. In Calvino, domandarsi “da dove viene l’immaginazione” è una questione importante, perché è attraverso la fantasia che possiamo guardare il mondo ogni giorno con occhi nuovi, senza mai perdere la capacità di stupirci. 

Se ho incluso la Visibilità nel mio elenco di valori da salvare è per avvertire del pericolo che stiamo correndo di perdere una facoltà umana fondamentale: il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi’”

Anche il cammino sinodale punta a ‘mettere a fuoco visioni a occhi chiusi’, ovvero ‘sognare’: non per fantasticare, tuttavia, ma in senso biblico, come speciale modalità con la quale cogliere profeticamente il disegno di Dio sull’umanità.

La via sinodale persegue la possibilità di condividere un ‘sogno missionario’ per le diverse comunità o ambiti ecclesiali. Diversamente dalla tradizionale ‘via progettuale’, il cammino sinodale non parte col fare analisi e definire obiettivi ma procede a ritroso: mettere a fuoco il ‘sogno missionario’ grazie al quale rileggere il presente e individuare quei segni di dis-continuità visibili che cambiano nel concreto le prassi pastorali. L’immaginazione profetica diventa cambiamento sperimentabile, perché “ciò che è nascosto non ci interessa” (Wittgenstein).


Molteplicità (“estrarre cose nuove e cose antiche”)

Quest’ultima parola sta ad indicare, secondo Calvino “una rete di relazioni che lo scrittore non sa trattenersi dal seguire, moltiplicando i dettagli in modo che le sue descrizioni e divagazioni diventano infinite.” 

La molteplicità allora, altro non sarebbe che questa attitudine alla pluralità, al multiforme e al poliedrico.

Anche nella Chiesa, sollecitata dal cammino sinodale, vi è l’urgente esigenza di non temere la molteplicità, di operare il passaggio da una forma sferica, ‘perfetta’ ma chiusa e univoca, ad una forma poliedrica, dove il criterio non è l’uniformità ed immutabilità ma la creatività spirituale e pastorale.

La via sinodale apre alla possibilità di sperimentare nuove forme ecclesiali come, ad esempio, i nascenti ‘terzi luoghi ecclesiali’, piccole strutture e spazi di ospitalità e di innovazione, luoghi di scambio e di incrocio molto più flessibili rispetto alle articolate strutture pastorali cui siamo abituati (parrocchie, oratori, istituti …) che pongono chi li frequenta in un ruolo attivo di co-creazione.

“Solo un pensiero mi fa sentire a mio agio: i tappeti. È nella tessitura dei tappeti che i nomadi depositano la loro sapienza: oggetti variegati e leggeri che si stendono sul nudo suolo dovunque ci si ferma a passare la notte e si arrotolano al mattino per portarli via con sé insieme a tutti i propri averi sulla gobba dei cammelli” (I. Calvino, Collezioni di sabbia) Probabilmente questa immagine sarebbe piaciuta ai Magi. Certamente ci aiuta ad affrontare il cammino sinodale che ci attende.