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Scuola: una nuova esperienza a ‘tripla A’

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Tempo di lettura: 4 minuti

GESTIRE PERCEZIONI, EMOZIONI E TURBAMENTI DOPO L’ESPERIENZA DEL LOCKDOWN

Riportiamo l’intervento di Roberto Mauri del team del Centro Studi, tenuto in settembre per gli insegnanti di religione della Diocesi di Albano. Pur riferendosi alla scuola sarà facile tradurre gli stimoli presenti in questa riflessione per il mondo pastorale e la ‘ripartenza’ in questo tempo così speciale.

Dare alla apertura scolastica una ‘tripla A’, in analogia con la certificazione di classe energetica usata in altri ambiti.

La relazione educante – ancor più delle strutture, spazi e arredi scolastici – necessita e merita infatti di ricevere una certificazione a ‘tripla A’: Accoglienza, Ascolto, Accompagnamento

Ora che la scuola (ri)apre la cosa fondamentale è quella di evitare che le giuste precauzioni anticovid si trasformino in ingiuste penalizzazioni educative e didattiche.

Proviamo piuttosto a considerare questa situazione così speciale una opportunità per tessere nuove positive relazioni, tra insegnanti e ragazzi, con le famiglie e tra gli insegnanti stessi.

All’interno del percorso di aggiornamento ‘Ripensare l’umano’ rivolto agli insegnanti di religione della diocesi di Albano, Missione Emmaus ha condiviso e discusso come rendere l’esperienza in classe una ‘esperienza di classe’, grazie appunto alla ‘tripla A’.

ACCOGLIERE

Il primo atteggiamento da assumere verso ragazzi, famiglie e colleghi è quello dell’accoglienza. Può sembrare scontato ma non lo è, specie in questo momento in cui si è tutti ipersensibili.

Accogliere vuol dire in concreto agire in modo da facilitare e non complicare le cose e la vita dell’altro. Il sabato è per l’uomo, non l’uomo per il sabato, le regole e precazioni sono per la persona non il contrario. Evitiamo di cadere nel legalismo fine a se stesso, di farci irretire da lacci e lacciuoli perdendo di vista la cosa più importante, il valore ed il bene dell’altro.

Questo significa avere uno sguardo ottimista e non pessimista, evitare il processo alle intenzioni, alimentare la fiducia e non il sospetto, considerare e trattare l’altro come alleato/aiuto e non potenziale minaccia: così si accoglie e ci si sente accolti.

ASCOLTARE

Il senso dell’accoglienza è mettersi in ascolto. Saper coltivare l’arte dell’ascolto significa imparare dai parcheggiatori delle nostre città: quando si vuole entrare in un posto auto già occupato, il bravo parcheggiatore fa in modo che quello spazio si liberi così da poterlo utilizzare. Ascoltare significa consentire all’altro di liberare il suo ‘box mentale’ perché acconsenta di lasciarcelo usare.

Fuor di metafora, si tratta di consentire al nostro interlocutore di esprimersi, fargli liberare spazio emotivo e mentale, così da creare la possibilità (il posto) per potergli far arrivare i nostri messaggi. Finché la sua mente ed il suo cuore sono occupati dalle sue opinioni e preoccupazioni sarà molto difficile pretendere di entrare: non c’è spazio e non abbiamo dato la possibilità di ottenerlo!

Ascoltare non significa ‘farsi ascoltare’ ma fare in modo che l’altro ‘si senta ascoltato’: prima di parlare, allora, facciamo domande; prima di informare, chiediamo informazioni; prima di dare istruzioni, raccogliamo suggerimenti …

Come sanno fare i bravi parcheggiatori, per saper ascoltare occorre esercitarsi e migliorare l’arte della negoziazione: saper prevedere ed accettare i possibili conflitti ed utilizzare un approccio e gestione efficace verso di essi, attraverso la flessibilità che porti a vedere riconosciute le diverse posizioni senza rinunciare alle proprie ragioni.

In breve, se ascoltiamo saremo a nostra volta ascoltati, altrimenti si finisce ilo più delle volte per non capirsi o, peggio, litigare per quel posto ‘che avevo visto prima io’ …

ACCOMPAGNARE

Solo quando abbiamo ascoltato possiamo immaginare di poter accompagnare.

Accompagnare significa non lasciar sole per persone, ovvero fare la strada insieme, andare insieme in un certo posto, condividere l’esperienza. Accompagnare è frutto di premura e genuino interesse: si accompagna e ci si fa accompagnare solo da chi ci si fida o ci sta a cuore. Non è sempre vero che ‘chi fa da sé fa per tre’ ma è sempre vero che chi sta solo rimane solo.

In questo periodo di incertezze in cui si moltiplichino i momenti di insicurezza, poter contare ed offrire un accompagnamento è oltremodo prezioso: accompagnare ed accompagnarsi sono l’esito più bello dell’aver accolto ed ascoltato, perché in questo modo è più facile dare senso a quanto accade.

In molti casi ‘accompagnare’ si esprime attraverso la capacità di narrare, proporre dei racconti e delle storie che danno più luce al cammino, alla vita, aiutando a percorrerlo.

Se ascoltare vuol dire saper fare domande, l’arte di accompagnare consiste nel saper raccontare storie ed avere storie da raccontare. 

Essere bravi nell’arte dell’accompagnamento vuol dire anche saper stare alla giusta distanza e nella giusta posizione: non si accompagna stando di fronte, davanti o dietro all’altro, ma mettendosi al suo fianco; non basta limitarsi a ‘fare spazio’ ma occorre rendersi disponibili a ‘far entrare’, ovvero passare dall’accettazione alla ospitalità: insomma, imparare dalla parabola e dallo stile del buon samaritano.

PARTIAMO CON TRE ‘A’ IN CARTELLA

Abbiamo l’esigenza, come insegnanti ed educatori, di non subire ma saper gestire la distanza interpersonale. Per alcuni la distanza può diventare un ostacolo alla crescita, in quanto limita fortemente il vissuto di vicinanza emotiva.

Per altri, al contrario, la distanza diventa una esperienza di autonomia: una separazione che consente di viversi come punto di riferimento a partire dal quale considerare le cose in prospettiva.

La fatica richiesta riguarda anzitutto la capacità di distinguere la distanza come ‘mancanza’ (qualcosa che non c’è ed avrebbe dovuto esserci, un ‘difetto’, ‘scarsità’, ‘deficienza’) dalla distanza come ‘assenza’, ovvero una ‘non presenza’.

Sappiamo infatti che spesso la distanza che più fa soffrire è quella in cui pur essendo fisicamente presenti si è assenti sul piano della relazione. Coltivare la ‘tripla A’ diventa allora occasione di crescere in umiltà e saggezza, nel riconoscere i nostri limiti, ed insieme acquisire maggiore flessibilità ed apertura verso gli altri e verso i cambiamenti.