Scroll Top

RIFONDARE LE STORIE

tree-2712562_1280
Tempo di lettura: 6 minuti

COME SI TRASFORMA UNA CRISI IN UNA OPPORTUNITA’

Generare un cambiamento richiede parole nuove in grado di aiutarci a narrare in modo nuovo una data situazione. Altrimenti accresciamo il problema, la frustrazione, l’incomprensione. Altrimenti ci ammaliamo. Trasformare un problema in una risorsa è opera di risignificazione prima ancora che di volizione. Questo è ciò che l’articolo intende raccontare.

Dobbiamo trasformare i problemi in risorse, trasformare le crisi in opportunità”. Quasi un mantra che ci siamo sentiti ripetere frequentemente dalla pandemia ad oggi. Un mantra che forse è riuscito in un risultato: aumentare la nostra frustrazione, insofferenza di fronte ad un problema che restava tale, ad una crisi che non smetteva di mollare la presa e continuava a biascicare ansia.

Trasforma la crisi in opportunità!”. Sarà stata stata forse questa accalorata esortazione uno dei motivi per cui dopo la pandemia abbiamo ripreso a fare tutto quello che si faceva prima e di più? Iniziative, attività, eventi, corsi… come per recuperare il legame perduto. Come se per magia chi non era interessato a quello che facevamo avrebbe trovato interessanti le nostre stesse proposte di prima, gli stessi modelli di annuncio e partecipazione.

Eppure la crisi può rappresentare un’opportunità da non sprecare. Un problema può divenire risorsa! Ciò che è mancato è stato il comprendere la natura di questo possibile mutamento.

“Trasforma il problema in risorsa!”. Non è tanto con il fare che questo avviene. Questa trasformazione è più legata al narrare. Si tratta di dare un nuovo significato al problema. Dargli un nuovo nome. La risorsa consiste nel vantaggio che otteniamo dal passare da un significato all’altro. Il nuovo significato ci consegna delle risorse in più per affrontare una situazione, ci permette di leggere diversamente quanto avviene o quanto potrà avvenire. Questo cambiamento non attinge ad una volizione ma ad una risignificazione. Ad una diversa attribuzione di senso e di significato al contesto, alla situazione che sperimentiamo, o alla nostra storia.

Vale per la vita della Chiesa quanto per la vita dell’uomo. Fare un percorso di analisi ad esempio – prendo qui spunto dal mio recente vissuto – non è ottenere ricette, ma risorse e strumenti per disinnescare delle trappole interne, dei copioni infernali, mediante una riscrittura della propria biografia. Così da poterci narrare con il nostro vero nome, con nuovi occhi, con nuove parole, con una nuova postura. Resurrezione dei corpi.

Morì, risorse e ora vive. Kerygma umano, kerygma del Cristo che è morto e risorto, e come tale è il vivere.

Narrare in modo nuovo la realtà e la propria storia ci dà la forza e, allora sì, la volontà di agire. Una capacità proattiva che è frutto di quelle parole nuove in grado di ristrutturare la realtà attorno a noi o che ci portiamo dentro, non più come zavorra ma come sostegno. Autorità. Auctoritas, augere, far crescere, sostenere.

Ecco perché quando sento dire in un processo di cambiamento, “dobbiamo dirci prima da dove veniamo, rifare il punto sulla nostra storia, perché è necessario ripartire dalla nostra identità”… sento subito dentro di me attivarsi una mozione negativa, una voce che dice “anche no!”. Possiamo ridirci chi siamo, la nostra storia, ma se la continuiamo a narrarle con le stesse parole e categorie di prima non ci porterà lontano, ma con più evidenza rischierà di farci attorcigliare su noi stessi accrescendo il problema o accrescendo il giudizio su chi non risponde a quella identità.

Scrivendo mi viene in mente una frase usata da Etty Hillesum nel suo Diario. Scorro con gli occhi la libreria per ricercare e prendere il libro:

“Se noi salveremo i nostri corpi e basta dai campi di prigionia, dovunque essi siano, sarà troppo poco. Non si tratta infatti di conservare questa vita a ogni costo, ma di come la si conserva. Certo che non è così semplice, e forse meno che mai per noi ebrei, ma se non sapremo offrire al mondo impoverito del dopoguerra nient’altro che i nostri corpi salvati ad ogni costo, e non un nuovo senso delle cose, attinto dai pozzi più profondi della nostra miseria e disperazione, allora non basterà”

Etty Hillesum, Diario 1941-1943

EMMAUS E LA RISIGNIFICAZINE DI GESU’

Il racconto di Emmaus è esemplare. I due discepoli rileggono il passato, che è e resta il passato di un morto. Di un sepolto. Le voci delle donne di ritorno dal sepolcro vuoto, anche in quanto donne, non aprono ad un oltre. È una narrazione che porta il cuore dei due ad at-tardarsi sul passato, rallentare. Una crisi in atto che non permette di riconoscere il nuovo già presente, che gli sta venendo incontro. La loro fortuna sta nel trovarsi ancora in cammino, così da poter incrociare i passi del Cristo che fornirà loro una nuova narrazione di quella stessa storia. Nell’ascoltarlo il loro cuore tornerà a vivere. Il cuore di pietra va bene per non soffrire! Un cuore di carne accoglie il dolore. E fa tanto male. Porta stretta, via angusta. Elaborazione del lutto. Eppure dal sepolcro appare un volto. Che conduce alla vita. Rinascita. Volto che riconosciamo dal segno, non da parole e spiegazioni. Dallo spezzare il pane. La nuova narrazione è in grado di cambiarci, di farci assumere una nuova disposizione interna, di corrispondere alla realtà in modo nuovo. Compiere segni! Spinti da una promessa, una terra da abitare per noi. Che non è una terra diversa, come l’uomo nuovo non è un altro uomo da noi. Ma è ciò che siamo, siamo noi quella terra. Terra straniera, terra promessa, noi. Una terra che si trasforma, una terra liberata. Promessa: dall’etimo mettere avanti, mostrare, porre sotto gli occhi. Mostrare ciò che c’è, che ti porti dentro e che non si è in grado di riconoscere con le parole a disposizione.

ALLA RICERCA DI PAROLE NUOVE

Possiamo rifondare allora la narrazione della parrocchia? Di una curia? Del sacerdote? Del religioso? Della congregazione? Dell’oratorio? Della catechesi? Osare parole e immagini nuove che, al di là dell’esattezza teologica e canonica, esprimano dinamismi nuovi, aiutino a risorgere?

Quando ascolto un gruppo di sacerdoti che mi narra della propria comunità, di solito mi sento rivolgere le seguenti frasi: “La nostra parrocchia è composta da 8 mila abitanti, comprende questa zona e l’altra, composta da questo numero di chiese, ecc ecc.”. Ebbene, questa narrazione non è più vera, non più reale. E mantenerla, continuare a narrarla, non può fare altro che ammalarci. Quel numero di abitanti non corrisponde più alla parrocchia, che è il punto di incontro di una piccola parte di quella gente. Accogliere questo ci porta a non avere più l’ansia di controllare, gestire, ordinare tutto e tutti. Non richiede più delle sue strutture fatte di sale e saloni, auditorium, campetti. Se iniziassimo a narrarci in modo diverso, potremmo trovare ancora la forza, il coraggio, per agire in modo nuovo, e non ammalarci di frustrazione e disillusione. Le nostre narrazioni costruiscono inferni da cui non riusciamo poi ad uscire, attribuidendoci il ruolo di custodi di sepolcri che non ammettiamo siano rimasti vuoti.

Dove trovare queste parole. Prima di tutto dalla vita, come la Chiesa ha sempre fatto, come lo stesso Gesù faceva. Allo stesso tempo, dalla Parola. Se mi sento dire che la Chiesa è il corpo mistico di Cristo, io faccio sì con la testa, comprendo cosa mi si sta dicendo come la visione che vi è dietro. Ma non vado oltre. Non esco dal sepolcro. Così se mi si dice che è la ‘vigna’, l’ovile, la casa, la famiglia,… non vi trovo risorse simboliche in grado di aiutarmi a trasformare la crisi attuale in una opportunità. Occorre uno scatto. Sbilanciamento immaginifico che affonda nell’abisso, trae il simbolo che unisce i mondi. La vita terrena. La Chiesa mistica. Nuova forma. Forma che torni a custodire la vita, porta stretta che apra alla vita, via in grado di trasformare: resurrezione dai morti.

Dove cercare (e trovare) narrazioni vitali e generative? Sono quattro – secondo gli esperti – i tipi di storie uniche e differenzianti che possono sostenere ed accompagnare in modo (ri)generativo un processo di risignificazione:

  • La storia del valore, utile a convincere che abbiamo bisogno di quanto l’esperienza comunitaria offre.
  • La storia dei ‘pionieri’ della comunità, per far capire che vale la pena investire nel futuro 
  • La storia dello scopo, per allineare il pensiero tra i vari profili e ruoli comunitari ed ispirarli.
  • La storia delle persone, per dare la possibilità a coloro che formano la comunità  di condividere con gli altri la loro esperienza autentica.

Dove trovare le parole. Ci ricorda de Certeau, che anche le parole hanno un peso, e il peso delle parole è dato dal silenzio che esse contengono. Un omaggio al grande Cormac McCarthy, lo scrittore americano morto pochi giorni fa: “Tutte le cose piene di grazia e bellezza che ci portiamo nel cuore hanno un’origine comune nel dolore. Nascono dal cordoglio e dalle ceneri” (La strada). Dal silenzioso abisso, dal comune dolore. Porta stretta, utero materno. Sorgente di vita. Perché non basterà salvare, conservare le nostre istituzioni ad ogni costo. Sarà troppo poco. Osare, trarre un nuovo senso delle cose, attinto dai pozzi più profondi della nostra miseria. Vita.