TRA CHECK UP E NUOVI SCENARI
In questo articolo desidero mettere in luce alcuni tratti identitari dell’istituzione parrocchiale, descrivendo poi alcune criticità che la provocano ad una conversione e, infine, prospettare qualche attenzione per un possibile rinnovamento (o almeno alcuni suggerimenti per vincere la noia e la stanchezza che oggi segnano l’esperienza parrocchiale).
Articolo pubblicato nella rivista MISSIONE MARIA delle Missionarie dell’Immacolata ‘Padre Kolbe’ (https://www.kolbemission.org/it/blog/rivista.html), che condividiamo anche nel nostro blog per gentile concessione della casa editrice.
«La mia parrocchia è divorata dalla noia, è proprio ‘noia’ la parola giusta. Come tante altre parrocchie! La noia le divora sotto i nostri occhi e noi guardiamo impotenti»(G. Bernanos, Diario di un parroco di campagna). Con queste parole il parroco di Ambricourt, protagonista del celebre romanzo “parrocchiale”, esprimeva il suo percepito sulla piccola comunità di cui era guida spirituale. Quale battezzato oggi, specialmente in Europa, non sarebbe d’accordo con questa provocante constatazione?
Il cuore della parrocchia (paroikìa) palpita attraverso due movimenti: la “prossimità” (parà) e l’“abitare” (oikèo). Questo battito ha accompagnato la vita della parrocchia per più di 1000 anni determinando la sua identità. La parrocchia è la forma concreta di una Chiesa che abita lì dove i battezzati vivono la loro esperienza di vita, tra le case dei credenti. La sua origine – forse nelle sue prime forme embrionali già nel VI secolo – avviene per rispondere alla necessità di una cura pastorale delle campagne. È però soltanto la definizione di una “organizzazione medievale” ecclesiale, avvenuta formalmente nel Concilio Lateranense IV (1215) che suddivide tutto il territorio in parrocchie, facendo sì che ogni battezzato avesse una parrocchia e un curato. Anche a seguito di alcuni processi di indebolimento del modello medievale il Concilio di Treno (1545-1563) rilancia e definisce in modo più stabile la forma dell’istituzione parrocchiale consegnandoci sostanzialmente la parrocchia così come oggi la conosciamo. La parrocchia è una forma concreta e visibile di quel dinamismo di Amore che prende atto nella relazione dei discepoli con Gesù e nella reciprocità delle relazioni tra i discepoli che divengono così testimonianza visibile e concreta per il mondo. Tutto nasce da un’esperienza di incontro con il Signore, che diviene poi necessità di testimonianza e trova forma pratica nell’esperienza comunitaria (Gv 13,34: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi, gli uni gli altri”).
Oggi però sembra che la parrocchia non riesca più a compiere la sua missione. Tra i diversi aspetti critici che motivano questa situazione mi sembra importante cogliere la “rigidità” che si realizza concretamente come frutto di alcuni processi di “cristallizzazione”. In altre parole: la parrocchia non può essere l’unico modo di organizzarsi della Chiesa, pur avendo nella sua identità caratteristiche vitali per la stessa esperienza di Chiesa. Inoltre, nel tempo è avvenuta una scorretta identificazione tra la “comunità cristiana” e la “parrocchia”. La parrocchia non è “una comunità”. Nella Scrittura il termine “comunità” non è assegnato a gruppi di persone molto ampi, ma a piccoli gruppi che sperimentano una forma di comunione. La parrocchia è allora una “comunione di comunità” e perciò oggi è necessario ridisegnare la forma stessa di questa comunione per far sì che questa “rete cristiana” divenga significativa e visibile per gli uomini e le donne del nostro tempo.
Alcuni suggerimenti mi sembrano importanti e li descrivo brevemente sperando si possano intuire delle possibili piste di rigenerazione per questa istituzione ecclesiale:
a) La parrocchia dovrebbe essere il centro eucaristico attorno al quale si sviluppano altre forme di comunità, di vita e di missione, anche se parziali;
b) Essa dovrebbe intercettare le persone nei passaggi chiave della propria esperienza di vita accompagnandole in processi di iniziazione e di vita sacramentale;
c) Accanto alla parrocchie e in sinergia con essa sono indispensabili oggi nuovi spazi di ospitalità cristiana e di innovazione nella testimonianza. Esperienze di start-up o laboratori pastorali che sappiano intercettare il quotidiano delle persone. Luoghi questi caratterizzati dalla centralità della Parola e di un annuncio kerigmatico;
d) Per intercettare e accompagnare i “cercatori di senso” del nostro tempo è importante che siano integrati alla parrocchia delle esperienze o dei luoghi di profonda interiorità, luoghi aperti e liberi dove le persone possano esplorare la loro vita interiore e trovare accompagnatori sapienti.
Anche attraverso queste piste, che vengono offerte come stimoli e senza alcuna pretesa di sistematicità, la parrocchia oggi può essere ripensata in modo efficace da nucleo istituzionale o modello solido (sfera) a rete aperta (poliedro) prendendo in seria considerazione i criteri della differenziazione, del decentramento e della flessibilità.
Per un approfondimento del tema si consiglia la lettura del testo:
Stefano Bucci, “Fare dicepoli missionari. Rigenerare i battezzati e la comunità”, Paoline, 2021.