
DAI PROGETTI PER BEN FUNZIONARE AI PROCESSI PER ESISTERE
Incontriamo tanti consacrati e laici che con passione sono impegnati nelle sfide che questa nuova epoca ci pone. Cogliamo desideri e frustrazioni, soprattutto la difficoltà ad entrare in una nuova prospettiva di vita ecclesiale, di abitazione di questo tempo. Influenzati da una mentalità progettuale, in un momento di cambiamento non lineare, rischiamo di fare del nostro impegno e dei nostri sforzi la nostra condanna. Proviamo in questo articolo a richiamare alcuni elementi propri di una forma mentis processuale.
Mentre mi guardavi suor Franca potevo leggere nella tensione dei lineamenti del tuo volto un disagio. Alla fine hai trovato la forza di chiedermi ciò che non ti era chiaro. “Non capisco bene cosa dobbiamo fare. Forse è solo un mio dubbio e sono io che non ci arrivo”, – avresti potuto fare a meno di questa finta umiltà ma la annovero nel disagio e me la lascio alle spalle – “Per avviare un processo in un primo momento operiamo un discernimento e poi come organizziamo le attività? E soprattutto come le verifichiamo?”
Don Leandro non poteva sfuggirmi il tuo sorriso tagliente, che incrociavo nell’attraversare con lo sguardo la sala durante la formazione del clero. Le maschere hanno una qualità inconfondibile, si notano! Alla fine ti ho fissato per invitarti a porre domande e quel sorriso si è appuntito: “Tutto molto bello!” – e quando l’inizio è questo non c’è che da sistemarsi comodi nel riparo di una trincea, – “In parrocchia si fa già tanto. Ora stiamo ripensando le attività per i giovani e le famiglie. Abbiamo stilato i programmi e i calendari. Quanto abbiamo ascoltato oggi da te non so quanto sia fattibile nelle nostre realtà. Non possiamo fermare tutto. La parrocchia ha un suo funzionamento”.
Suor Franca e don Leandro vi chiedo di attendere un attimo per la mia risposta.
L’antropologo Tim Ingold racconta di un convegno a cui prese parte (in Corrispondenze, Raffaele Cortina Editore), rivolto ad escursionisti, alpinisti ed artisti. Era stato invitato lui come antropologo insieme ad un celebre alpinista. Narra di come artisti ed escursionisti raccontavano con gioia delle loro esplorazioni montane, dei fiori, dei giochi di luce, degli animali e dei loro movimenti, immersi nel paesaggio, aperti a continue meraviglie, a qualcosa di sempre nuovo e sorprendente. Quando fu il turno dell’alpinista si passò dalla celebrazione allo sconforto: lui aveva conquistato tutte le alte e difficili montagne della terra, e seppur raccontava di imprese sensazionali lo faceva con tristezza sostenendo che oramai aveva conquistato ogni vetta. Per i primi c’era un continuo esplorare, per l’alpinista era oramai tutto finito. L’antropologo rifletterà che “L’alpinista non è un abitante ma un occupante. Non traccia linee mentre cammina, ma le progetta in anticipo, risolvendo il puzzle su come raggiungere dalla base la cima attraverso una sequenza di punti”. Si può quindi stare nella vita o cercare di conquistarla, possederla.
Una riflessione simile viene dal filosofo e psicanalista Miguel Benasayag nel suo Funzionare o esistere? (Ed. Vita e Pensiero). Il funzionare non attende che l’avvenire avvenga: “vorremmo poter sapere, prevedere, prepararci ad affrontarlo, ci abbeveriamo alle teorie e ai racconti deterministici: che sollievo se i giochi fossero già fatti, per sempre!”. Ragionare in termini di funzionamento vuol dire assumere una visione lineare della realtà e del suo dispiegarsi nel mondo. Questo permette di prevedere i funzionamenti della vita ma non permette di comprenderli, di farne esperienza. Si raccolgono informazioni ma non conoscenze. Esistere è accogliere non il lineare ma il complesso, è farne esperienza. “La vita delle persone non ha una coerenza lineare. Più si crede all’’identità di sé con se stessi’, più si eludono le situazioni. In realtà l’identità è sempre in gioco in ogni situazione”. Si tratta di agire da esploratori, artisti, partecipando alle linee di liberazione che le situazioni ci offrono. Non basta funzionare bene, essere competenti o bravi, ma di vivere. Avere “il coraggio di assumere le situazioni come un insieme di costrizioni che non sono in nostro possesso” e tali costrizioni possono essere nel tempo modificate ma non mediante progetti. Stare nella situazione e viverla è essere aperti ai nuovi possibili che essa mi offre, osando l’esistenza più che il buon funzionamento. Altrimenti vedremmo tutto in funzione del tempo e dello spazio, a cui accordare il nostro agire, mentre il divenire è l’essere in grado di generare tempo e spazio senza modellarsi ad esso. Chi prevede, pianifica, programma, di fondo elimina il tempo, perché lo ossessiona e così pensa di contenerlo ed escluderlo e quindi si pone fuori. Fare una diagnosi, fissare i tempi, è un’oggettivazione che usiamo per restare fuori dalla vita, per non restarne immischiati. È atto di espulsione, non ci riguarda più, non dipende da noi. Lo stesso, penso, è riflettere sul tema dell'”essenzialità”: cambia radicalmente se lo facciamo dal lato del funzionamento (prassi e proposte mirate e efficienti nel giusto rapporto costi e benefici) o dal lato dell’esistere (porsi dove è vita e nulla più).
Suor Franca e don Leandro, credo che abbiate proprio ragione. Io non è di questo che mi occupo.
Voi cercate programmi, strumenti di valutazione e verifica, di monitoraggio e pianificazione pastorale, una modellizzazione delle prassi. Mi spiace ma non mi occupo di questa materia. Mi occupo di processi.
E la materia di cui io mi occupo purtroppo chiede una cosa… chiede la fede.
E la fede opera su di un altro piano, è di altra natura.
La scienza che voi invocate si chiama auto-illusione, si chiama proiezione ideale, si chiama buon funzionamento.
Io non mi occupo di funzionamento ma di esistenza. E la fede non è una illusione.
Perché l’illusione si basa sull’ego, su di sé, sui propri calcoli e aspirazioni.
La fede è risposta ad una chiamata che viene da altro, viene dall’Altro da sé.
E se l’illusione chiede impegno, convinzione e motivazione, la fede chiede rischio e il rischio chiede coraggio, cuore. Un coraggio che si appoggia ad una promessa non ad un calcolo o ad una statistica o ad una diagnosi.
So bene Suor Franca e don Leandro che avete a cuore le vostre comunità e la missione. So che vi impegnate, che credete in quello che fate. Nessuno sta mettendo in dubbio questo. Sto solo dicendo che la vita vi sta passando accanto e rischiate di non afferrarla. Quella tensione sul vostro volto, quel sorriso tagliente non sono altro che espressione di un disagio che vi penetra e che non state ascoltando. Osate la vita! Ascoltatela facendone esperienza. Rischiate il non ancora, il non determinato, il non previsto. Provocate la fede.
E’ così tanta gioia! Così tanta!
Dovessi perdere, quale povertà!
E tuttavia, poveri come me
hanno rischiato tutto in un azzardo!
Han vinto! Sì! Ha esitato talmente –
da questa parte la vittoria!
La vita è solo vita! E la morte, solo morte!
L’estasi è solo estasi, e il respiro, respiro!
E se proprio fallissi,
sapere com’è il peggio, almeno, è dolce!
Sconfitta non vuol dire che sconfitta,
nulla di più triste può accadere!
E se vincessi! Oh cannone sul mare!
Oh campane, che siete sulle torri!
In principio, ripetetelo adagio!
Perché il paradiso è una cosa diversa,
immaginarlo, ed essere lì sveglia all’improvviso –
e mi potrebbe annientare!
Emily Dickinson