Scroll Top

Nessuno si salva da solo

sphere-614974_1920
Tempo di lettura: 5 minuti

COSA LA CHIESA PUO’ APPRENDERE DA QUESTO TEMPO PER RICOMPRENDERSI ED ESSERE PIU’ GENERATIVA

undefinedMatteo Gandini

Ringraziamo Matteo Gandini, formatore, autore di testi su educazione alla pace e interculturalità, membro della Comunità Professionale Formatori della Caritas Italiana. Il suo contributo ci aiuta ad evidenziare due apprendimenti che la Chiesa può ricavare da questo tempo: il riconoscimento dell’interdipendenza e l’uscire dall’autoreferenzialità.

Ho scritto questo post su Facebook alla fine di una lunga giornata lavorativa dominata dal tentativo in Caritas diocesana di contrastare i drammatici effetti del coronavirus. Fin dall’inizio di questa fase storica le mie riflessioni si sono polarizzate in particolare su due elementi:

1) siamo tutti interdipendenti

2) ognuno di noi non è onnipotente

Provo ad approfondirli uno alla volta sperando di non essere troppo confuso perché è difficile essere lucidi e razionali.

SIAMO TUTTI INTERDIPENDENTI

Mai come in questi giorni ho pensato all’immagine che san Paolo utilizza nella 1° lettera ai Corinzi (1 Cor. 12,14-26) per descrivere la Chiesa:

14E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra. 15Se il piede dicesse: «Poiché non sono mano, non appartengo al corpo, non per questo non farebbe parte del corpo. 16E se l’orecchio dicesse: «Poiché non sono occhio, non appartengo al corpo, non per questo non farebbe parte del corpo”

In queste settimane il corpo è al centro dell’attenzione di ciascuno, siamo tutti preoccupati per la nostra salute e per quella dei nostri cari e di coloro che ci circondano. C’è “in giro” il coronavirus che può entrare in ogni corpo e lo contamina fino a procurargli gravi malattie e, in troppi casi, la morte.

La dimensione olistica e sistemica del nostro corpo emerge in tutta la sua evidenza, l’interdipendenza dei vari elementi del sistema non è una scelta o un valore: è un dato di fatto.

L’interdipendenza è drammaticamente evidente non solo per il corpo fisico di ogni singolo uomo ma anche per il corpo sociale, il benessere di un soggetto è inesorabilmente legato con quello degli altri soggetti. Di quali altri soggetti? Dei soggetti di tutto il mondo. Ciò che succede dall’altra parte del globo influenza direttamente la mia vita quotidiana. Non ci sono più confini o barriere, dal 1989 il sistema nel quale viviamo è il mondo intero e anche questo non è un valore o una scelta ma è un dato di fatto.

Tale concetto è stato mirabilmente descritto dal sociologo Zigmund Bauman nel 2002 (18 anni fa) nel libro “La società sotto assedio”:

“L’epoca inaugurata con la costruzione della muraglia cinese o del vallo di Adriano e conclusasi con il muro di Berlino è finita per sempre. In questo spazio planetario globale non è più possibile tracciare un confine dietro al quale ci si possa sentire realmente e totalmente al sicuro. E questo vale per sempre: per oggi e per tutti i giorni futuri che possiamo immaginare. Qualsiasi posto concepibile una persona occupi in un dato momento o in cui possa trasferirsi è situato dentro questo mondo, ed è destinato a restarci per sempre. Di questo mondo pieno tutti noi siamo membri residenti in permanenza e non abbiamo altro luogo in cui andare.”

Tutto ciò riguarda e caratterizza non solo il contesto civile ma anche quello ecclesiale. Recuperando l’immagine paolina emerge che nella Chiesa  gli “organi” non possono funzionare se non in quanto parte di un corpo. L’amore per Dio non può essere disgiunto dall’amore per i fratelli, questa è la “regola d’oro” che Gesù ci ha consegnato, è la legge che riassume in se tutte le altre leggi. Concretamente dunque non possiamo vivere in modo individuale e privatistico (sia come singoli che come gruppi) la nostra sequela. Riusciremo a raggiungere la terra promessa non se camminiamo da soli nel deserto ma se stiamo nella “carovana” del popolo di Dio. Non si può essere cristiani a prescindere dalle relazioni con i fratelli.

OGNUNO DI NOI NON E’ ONNIPOTENTE

Vivere in maniera così potentemente drammatica l’interdipendenza socio-sanitaria ha posto in evidenza il dato di fatto che nessun essere umano è onnipotente, ha cioè il potere da solo di cambiare le sorti degli eventi che stiamo vivendo. Nessuno di noi, compresi i capi di governo, possono decidere le sorti degli eventi. Nessuno può affidarsi solo a se stesso e alle proprie forze per saltarci fuori. Ci siamo accorti che l’essere fratelli non è solo una “religiosa definizione” ma una tangibile situazione in cui viviamo. La relazione con gli altri mai come ora è divenuta la chiave di volta per poter sopravvivere.

L’affermazione che Papa Francesco ha ripetuto in più occasioni “nessuno si salva da solo” assume dei toni profondamente profetici. Fa un certo effetto rileggere oggi alcuni dei suoi discorsi comprendenti tale citazione:

 “Nessuno può dire: ‘io mi salvo da solo’. Siamo tutti interconnessi, siamo tutti in rete”. (27 settembre 2018, piazza della cattedrale di Vilnius)

“Dio nella storia della salvezza ha salvato un popolo… nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae considerando la complessa trama di relazioni interpersonali che si realizzano nella comunità umana” (19 settembre 2013, intervista nella rivista Civiltà Cattolica)

Ogni essere umano dunque è una creatura e non il creatore, ogni figlio di Dio può abitare il giardino dell’Eden ma non “essere come Dio, conoscendo il bene e il male” così come afferma il serpente.

L’impotenza davanti ai drammi di questi giorni è una esperienza drammatica perché vedi morire le persone a te care, tante, troppe. E’ faticoso perché non vorresti ammalarti tu stesso e non vorresti che nessuno soffrisse, a partire dalla tua famiglia. Non vorresti più sentire tutto il giorno il rumore angosciante delle sirene delle ambulanze che trasportano i contagiati in ospedale. E’ faticoso perché non vorresti più ricevere dai tuoi amici o colleghi dei messaggi su Whatsapp in cui ti comunicano che la febbre dopo tanti giorni non è ancora “andata giù” e non si capisce se la polmonite “prende una brutta piega” o meno. E’ faticoso perché non vorresti più sentire che amici dei propri famigliari sono stati intubati. E’ faticoso essere impotenti. Fa tanta paura.

La Bibbia è piena di personaggi che sperimentano questa paura. Spero di essere come quelli che vedono nello spazio limitato della propria impotenza un luogo in cui poter esercitare l’amore verso Dio, verso se stessi, verso i fratelli, verso il creato, verso le avversità, verso la malattia, verso la morte.

Se io riuscissi ad abitare l’impotenza allora concederei la possibilità a Dio di tessere la trama della sua misericordia nel mio cuore, riuscirei a dire con le labbra e con il cuore “Dio c’è ma non sono io”, così mi rilasso. Quanta pace potrebbe concedere un tale momento, come “un bambino svezzato in braccio a sua madre”.

Tale sensazione di amore ha però un costo, la rinuncia alla propria idea di onnipotenza, la consapevolezza che il mio pensiero e le mie idee non sono assolute ma relative e valgono come quelle degli altri.

Ciò è vero nella società ma ancor di più nella Chiesa. Il Signore non ha donato la verità a una persona sola, ne dona un pezzo a ciascun essere umano. Mi rendo conto che nella Chiesa spesso ognuno fa fatica a porre il proprio tassello del mosaico affianco a quello degli altri ed accettare che questo venga limato ed adattato per comporre l’immagine desiderata. Si fa fatica ad accettare il rischio della sinodalità perché i processi non sono mai lineari e non hanno mai un esito scontato. Talvolta si preferisce proporre/imporre il proprio pensiero ma questo diventa come il seme sparso sul cemento, non riesce a radicarsi e il primo vento lo porta via.

Vorrei poter vivere in una Chiesa in cui ognuno si sente fratello degli altri, in cui ognuno parte dal presupposto di non avere la verità in tasca ma che questa è il frutto di un cammino sinodale continuo e mai definitivo. In tutto ciò c’è sicuramente tanta fatica ma credo anche tanto fascino, tanto divertimento, tanta umanità, tanta bellezza.

Concludo con una frase che il Vescovo Baroni, vescovo della diocesi di Reggio Emilia dal 1965 al 1986, affermò più volte “questo è il mistero della Chiesa: nessuno può fare da solo; nessuno può ritenersi inutile”.