PERCHE’ CERCATE TRA I MORTI COLUI CHE E’ VIVO?
Uno dei temi delicati del processo sinodale è quello in merito alle forme di governo nella Chiesa. In questo articolo si forniscono alcuni stimoli per attivare una riflessione in merito.
C’è una pietra da far rotolare. Una pietra che spostata permetta di far penetrare fasci di luce all’interno del sepolcro per farci accorgere che lì dentro non c’è più vita, ma che la vita va cercata altrove. Quel tempio che avevamo così con tanta cura sigillato ora rischia di essersi trasformato in un sepolcro vuoto. E questo, come nella Pasqua, se da una parte ci angoscia e terrorizza dall’altra può spingerci ad una speranza nuova, accogliendo l’invito a cercare la vita che vibra e scorre tutto attorno a noi e non laddove ci saremmo aspettati di averla custodita (e poi rinchiusa). Assumere la speranza delle rondini che anche quest’anno sono tornate e ora sistemano i nidi. Le vedo dal terrazzo volare radenti i muri e decise. Alle spalle hanno decine di migliaia di chilometri e nel piumaggio sabbia del Sahara. Come è forte la vita… molto più delle forme nella quale per necessità di volta in volta la racchiudiamo.
Il cammino sinodale rappresenta, come abbiamo già scritto in precedenza (https://missioneemmausblog.wordpress.com/2021/11/16/la-postura-della-chiesa-e-la-ginnastica-sinodale/) un esercizio per assumere una nuova postura ecclesiale. L’uscita da alcune forme non perché sbagliate ma semplicemente perché non più aderenti alla realtà. Un’opportunità per ripensare le forme di comunione, partecipazione e missione della Chiesa. Pensiamo alle celebrazioni eucaristiche. Sento spesso il lamento che la gente dopo la pandemia non torna a messa perché, abituata a quelle online, le trova più comode. In effetti ci sono persone che hanno creato il loro personale palinsesto liturgico: il sacerdote più accattivante all’orario più consono con la possibilità di mettere in pausa, per rispondere al telefono o andare in bagno, lo Spirito Santo durante la consacrazione, lasciandolo sospeso sopra la mensa eucaristica. Stiamo dicendo che la gente è spinta dalla comodità, e questo è un modo per non rimettere in discussione la forma ma giudicare ancora una volta il fedele. In realtà la gente non torna perché la celebrazione online è vissuta come un’esperienza individuale allo stesso modo di come viveva la celebrazione in presenza. Sul piano sacramentale sappiamo non è cosi, ma dal punto del vissuto della persona, della sua percezione, lei viveva un’esperienza individuale con persone poco conosciute e senza aver partecipato nella preparazione e cura del rito durante la settimana. Senza un’accoglienza e un momento fraterno a seguire. La celebrazione online è più comoda? Sì, ma tra due esperienze uguali, e cioè, individuali. Non si tratta di cambiare la celebrazione, ma di rinnovarne le forme di partecipazione, comunione e missione che la caratterizzano.
La pietra di cui voglio parlare in questo articolo è legata al governo e le logiche che vi soggiacciono. Il riferimento è al discorso fatto da Papa Francesco per il cinquantesimo anniversario del Sinodo dei Vescovi, dove introduceva già nel 2015 la sua visione di Chiesa sinodale (https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/october/documents/papa-francesco_20151017_50-anniversario-sinodo.html).
Gesù ha costituito la Chiesa ponendo al suo vertice il Collegio apostolico, nel quale l’apostolo Pietro è la «roccia» (cfr Mt 16,18), colui che deve «confermare» i fratelli nella fede (cfr Lc 22,32). Ma in questa Chiesa, come in una piramide capovolta, il vertice si trova al di sotto della base. Per questo coloro che esercitano l’autorità si chiamano “ministri”: perché, secondo il significato originario della parola, sono i più piccoli tra tutti. È servendo il Popolo di Dio che ciascun Vescovo diviene, per la porzione del Gregge a lui affidata, vicarius Christi[20], vicario di quel Gesù che nell’ultima cena si è chinato a lavare i piedi degli apostoli (cfr Gv 13,1-15). E, in un simile orizzonte, lo stesso Successore di Pietro altri non è che il servus servorum Dei.
Dentro questa prospettiva va letta anche la riforma della Curia Romana, e affermazioni che hanno caratterizzato il suo ministero, come ‘il potere è servizio’. Rileggere a distanza di sette anni quel discorso può aiutare a comprendere il cammino sinodale in atto nella Chiesa universale.
Rovesciare la piramide non comporta una messa in discussione della gerarchia e dei suoi assunti teologici. Ma permette di risignificarla:
La sinodalità, come dimensione costitutiva della Chiesa, ci offre la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso ministero gerarchico. Se capiamo che, come dice san Giovanni Crisostomo, «Chiesa e Sinodo sono sinonimi»[19] – perché la Chiesa non è altro che il “camminare insieme” del Gregge di Dio sui sentieri della storia incontro a Cristo Signore – capiamo pure che al suo interno nessuno può essere “elevato” al di sopra degli altri. Al contrario, nella Chiesa è necessario che qualcuno “si abbassi” per mettersi al servizio dei fratelli lungo il cammino.
Solo in questo modo si può compiere quanto già indicato dal Concilio Vaticano II in Lumen Gentium, dove il Popolo è posto prima e non dopo nel testo, in alto e non in basso sulla piramide.
Questo ci chiede di rivedere il concetto di leadership ecclesiale, la ‘catena di comando’ nel prendere decisioni, il linguaggio usato per definire alcuni ruoli e ‘uffici’ ecclesiali.
Il leader sinodale (e lo vediamo dal nuovo modello di profilazione dei Vescovi), non è più la figura competente ma solitaria, carismatica ma egocentrata. Non è tanto più colui che sa la direzione da seguire e chiama a raccolta i collaboratori per perseguirla. E’ più un architetto di spazi di sinodalità, di corresponsabilità, dove attraverso l’ascolto comune dello Spirito individuare una via e sperimentarne la consistenza. Un leader che è compagno di viaggio e permette come atto di governo di viverlo realmente insieme questo viaggio. È un atto di governo mettersi in ascolto e far in modo che tutti lo facciano. Poi la gerarchia sacramentale è chiamata a operare il prezioso e delicato compito della sintesi di quanto ascoltato. In questo consiste il termine ‘consultazione’ in un Consiglio Pastorale. Non si tratta di un semplice consiglio ma di un ascolto spirituale che in quanto tale portatore di una volontà non solo umana che va riconosciuta e interpretata per poter operare una scelta. Un consiglio che l’altro non ha il diritto ma il dovere di ascoltare. Questo ovviamente richiede, atto di governo, che l’ascolto avvenga secondo le modalità di un dialogo e discernimento profondo. Passando da un agire dialettico ad un agire dialogico.
Va fatta una distinzione quando si parla di decisioni: da una parte di sono decisioni strategiche, che definiscono un orizzonte pastorale all’interno del quale poter operare, frutto di un discernimento sinodale e di cui la gerarchia è custode; dall’altra ci sono decisioni operative, dove all’interno di quel quadro di riferimento si valutano le possibili opzioni e si opera la scelta più opportuna in quel determinato luogo. Un governo in stile sinodale, non si preoccupa di regolare tutto nello stesso tempo e allo stesso modo. Il riferimento non è più la sfera, un punto decisionale da cui tutto si irradia in modo uniforme e lineare; ma è il poliedro, dove alla luce di un punto di convergenza condiviso, la superficie delle decisioni avviene in modo differenziato.
Un passerotto si affaccia con lo sguardo corrusco sul balcone, incerto se avvicinarsi per pizzicare i semi che lascio sulla ringhiera. Compagno di volo dei miei pensieri alati. Silente attende, ci fissiamo per un attimo immobile per poi disperdersi in alto. Lo inseguo appena alzando lo sguardo fino a socchiudere gli occhi abbacinati dal sole. E resto sospeso in quel buio interiore, custodendo la vita che pulsa attorno e mi chiama a risorgere. Ad attraversare deserti, a sistemare nidi, ad attendere vite strappate al buio. Buon tempo di Pasqua.
Ho apprezzato tantissimo l’articolo le piramide. Molto stimulante per oggi giorno!