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La pastorale e la caccia ai bisonti

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Tempo di lettura: 6 minuti

PER UNA STRATEGIA DI COMUNICAZIONE EFFICACE

Quale differenza esiste tra un indiano che progetta di cacciare bisonti nelle praterie nordamericane e la pastorale impegnata a ‘catturare’ l’attenzione dei suoi destinatari?

Ovviamente molte, verrebbe da dire, soprattutto a prima vista. Molto meno se si osserva la cosa con maggiore attenzione.

Sia il primo che la seconda hanno infatti bisogno di una strategia perché i loro sforzi possano essere coronati da successo: entrambi necessitano di elaborare un piano di avvicinamento, influenzamento e ‘cattura’ pensato, condiviso, applicato e verificato, in breve una strategia efficace. 

Strategia di caccia e strategia di comunicazione hanno diverse analogie: si tratta di saper localizzare il passaggio dei bisonti (incontrare le persone nel loro ambito di vita), indirizzarli verso il punto dove sono più facile bersaglio (individuare gli argomenti capaci di attrarre l’attenzione e far leva sugli aspetti differenziali), fare in modo di modificare, possibilmente in modo stabile, il loro atteggiamento/comportamento (senza necessariamente ‘abbatterli’ …).

La volontà di diventare ‘cacciatori’ migliori, grazie alla definizione di strategie comunicative efficaci, è stato il tema sul quale ha lavorato in un apposito incontro la Commissione Comunicazioni Sociali delle Diocesi del Triveneto, guidati da Missione Emmaus. 

Sollecitati dagli stimoli ed esempi offerti dal Centro Studi, i responsabili degli uffici diocesani hanno così affrontato quella speciale ‘pista dei bisonti’ che costituisce una moderna strategia di comunicazione, efficace anche in ambito pastorale. 

STRATEGIA DI COMUNICAZIONE: L’ENERGIA DELLA DIFFERENZA

Senza una strategia, la comunicazione pastorale rischia di essere solo una serie di dichiarazioni di intenti senza esito reale quando non controproducente: non una spinta per la Chiesa in uscita, ma un alibi alla (auto)conservazione.

L’energia vitale che scorga della strategia è la capacità di cogliere e valorizzare le differenze. Le differenze sono la chiave per ottenere attenzione, rendersi significativi, generare risultati pastorali, perché come ci ricorda Gregory Bateson, grande studioso della comunicazione, “l’informazione è notizia sulle differenze. Tutto il resto è rumore di fondo”.

Per cogliere le differenze non basta conoscere i destinatari, i propri punti di forza, le risorse su cui poter contare, gli strumenti da usare in funzione dei possibili eventi, le azioni da perseguire. E nemmeno sono sufficienti l’aver definito obiettivi precisi: puntare al ‘capo branco’ (gli opinion leaders), condurlo verso una gola (toccare i punti sensibili) e stabilire le regole di comportamento che servono per prendere decisioni veloci.

Tutti questi punti non fanno un buon indiano cacciatore, un buon responsabile della comunicazione pastorale. Anche i ragazzini della tribù e i seminaristi li conoscono. L’abilità non risiede nel seguire le regole ma nel cogliere, dal contesto, i segnali che guidano all’azione più efficace.

A volte sono segnali deboli che permettono di immaginare il futuro delle azioni. Questa capacità fa la differenza fra il saggio ed il ragazzo della tribù e costituisce la vera forza.

La sensibilità ai segnali deboli, detto altrimenti la capacità di discernimento, è ciò che qualifica  un saggio stratega: segnale debole è il ‘vento leggero’ in cui il profeta Elia coglie la presenza divina; segnale debole sono i ‘cinque pani e due pesci’ che qualche apostolo aveva notato nonostante la grande folla; segnale debole è il commento a margine dei discepoli di Emmaus ‘come avevano detto le donne …’ da cui prende avvio la replica di Gesù.  

A questa virtù possiamo aggiungere un’altra caratteristica: la dote di saper interpretare in modo originale sia le risorse a disposizione sia lo scenario.

LE TRE FASI DELLA STRATEGIA DI COMUNICAZIONE

La costruzione di una valida strategia di comunicazione procede attraverso tre passaggi: l’analisi e mappatura dello scenario; la definizione di una piattaforma strategica che contenga una visione, che si traduce in un breve testo (manifesto identitario e valoriale); l’individuazione di una ‘idea chiave’, una dichiarazione sintetica che mostri come e perché si è unici per il proprio pubblico di riferimento.

a) Analisi e mappatura di scenario

Lo studio dello scenario e delle sue specificità permette non tanto o solo di descrivere la situazione presente ma di immaginare le tendenze ed i possibili nuovi scenari futuri.

L’interpretazione dei segni dello scenario, ovvero del contesto di riferimento socioculturale entro il quale ci si muove, è la sapienza che sovrintende una strategia di comunicazione.

Nessuna strategia è possibile se non si conosce lo scenario e non si hanno mappe precise: la fretta nel superare queste fasi conoscitive dà spesso cattivi consigli.

La complessità dello scenario va sintetizzata dunque in una mappa, ovvero ricercare un linguaggio e delle connessioni per esprimere in modo immediato situazioni variegate. Va detto che la mappatura non ha lo scopo principale di realizzare una ‘fotografia’ dell’esistente ma soprattutto quella di individuare i territori più promettenti, dove orientare le scelte e le azioni comunicative.

Si tratta di un passaggio cruciale per la buona riuscita della strategia: se la mappa è in grado di cogliere le caratterizzazioni dello scenario, la strategia spesso sarà indicata dalla mappa stessa come consequenziale azione di presidio dei punti chiave emersi. Viceversa, una mappa che non dà una visione strategica è tempo perso, conviene passare oltre.

La mappa viene spesso costruita a tavolino, sulla base degli elementi di scenario raccolti, e viene ottenuta dall’incrocio di due assi tra loro ortogonali, ciascuno dei quali rappresenta una variabile in grado di discriminare i diversi aspetti presi in esame ed evidenziare le differenze significative tra fenomeni osservati.

La maggiore difficoltà nel realizzare delle buone mappe è proprio l’individuazione degli assi. A questo proposito, occorre procedere per tentativi. Non c’è un modello deterministico ma un “prova e riprova” finché la mappa indicherà un’opportunità strategica.

Occorre poi definire e denominare i quattro quadranti, ovvero i principali ‘territori’ è già una valida verifica della bontà della mappa. Se non si trovano verbalizzazioni plausibili probabilmente gli assi individuati non sono in grado di rappresentare le differenze di scenario e si dovrà dunque ricominciare con nuovi assi.

b) Definizione di una visione strategica

La messa a fuoco di una visione significa elaborare una descrizione sintetica che presenti l’immagine del futuro che si vuole creare.

La visione si basa sui valori, le aspirazioni e gli ideali che si intendono seguire per conseguire i principali obiettivi di lungo periodo.

Essa si esprime al presente e mostra dove vogliamo andare e come ci sentiremo una volta conseguita.  Scegliere una visione è qualcosa di molto più profondo che volere una visione: vuol dire dedicare le proprie energie, i propri sforzi ad essa, mettere in campo tutte le risorse creative per far sì che si realizzi.

La visione si esprime ed è contenuta in un ‘manifesto identitario e valoriale’: un breve testo in grado di ispirare e coinvolgere i destinatari e che può essere utilizzato in modo coerente nel corso degli anni.

Come esempio, riportiamo la visione del Centro Studi Missione Emmaus:

«Oggi non viviamo un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca». In un tempo segnato dal cambiamento e dalla complessità, crediamo che ogni fase di crisi porti con sé delle opportunità nuove.

Ci sta a cuore farci prossimi, sostenere, accompagnare e riorientare chi opera nella Chiesa in questo difficile ma esaltante «tempo della grazia», con particolare attenzione alle molte periferie e alle diverse solitudini pastorali.

Forse avevano ragione loro a mettersi in cammino e uscire da Gerusalemme, non quelli che stavano chiusi e spaventati nel Cenacolo.

Forse avevano ragione loro a rischiare il confronto con uno sconosciuto lungo la strada che non cercare consolazione tra persone note.

Prima di tornare a Gerusalemme occorre uscire per Emmaus; prima di ricevere conferme servono le domande; prima del bisogno di sicurezza viene il desiderio di libertà e leggerezza.

Ricreare nelle e con le comunità cristiane e grazie ad esse spazi di crescita, bellezza, relazione e libertà costituisce una sfida decisiva in grado di trasformare le dinamiche di crisi che caratterizzano il contesto ecclesiale attuale in nuove opportunità per l’evangelizzazione.

Liberiamo il cambiamento pastorale.

 

c) Individuazione di una ‘idea chiave’

Tenendo presente la mappa di scenario e prendendo ispirazione dalla visione, il terzo decisivo passaggio nella costruzione di una strategia di comunicazione consiste nella formulazione di una espressione sintetica creativa, la cosiddetta ‘idea chiave’, in grado di alimentare le diverse azioni comunicative in modo duraturo e nel lungo termine.  

In questo senso l’idea chiave deve essere neutra rispetto ai Media, ovvero essere utilizzabile e declinabile in tutti i diversi mezzi e canali senza perdere di efficacia e impatto.

L’ idea comunicativa chiave consiste dell’abbinamento di una immagine ed un breve testo, entrambi riassunti dal punto chiave.

Essa deve essere in grado di parlare sia alla testa che al cuore dei destinatari. A livello emotivo si caratterizza per il buon potenziale evocativo: capacità di richiamare/attivare emozioni, immagini, ricordi, desideri, sentimenti, facilitando identificazione e coinvolgimento; a livello cognitivo deve posseder una buona rilevanza e credibilità, ovvero la rispondenza ad un bisogno presente ed importante per il pubblico di riferimento, nonché essere distintiva e differenziante.

Anche qui portiamo come esempio l’idea chiave individuata dal Centro Studi nella fase delicata e particolare che stiamo vivendo:

Non possiamo accontentarci di tradurre la solita pastorale da presenza in remoto. Allo smart working non corrisponde la smart pastoral. 

Solo varcando la propria porta, la Chiesa in uscita dal lockdown può cogliere la vita. Non una porta per entrare nella nostra ‘Gerusalemme’: una porta per uscire verso le vie del Regno.

Ecco la buona novità: andrà tutto nuovo!

 

Quanti bisonti volete prendere?

La pastorale ha l’urgente necessità di elaborare delle nuove strategie di comunicazione se intende andare a caccia dei suoi ‘bisonti’. Al termine dell’incontro, gran parte dei responsabili diocesani delle comunicazioni sociali avevano un sacco di appunti e qualcuno già cominciava a colorarsi il volto per prepararsi alla prossima campagna di caccia (ops, di comunicazione).

Ma non sarà semplice: i bisonti, quelli veri e quelli nostrani, sono diventati pochi e sempre più sensibili ed in allerta. Occorre affinare le strategie, senza perdere altro tempo.