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La necessità di disimparare

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Tempo di lettura: 6 minuti

DAI MODELLI FORMATIVI AI PROCESSI INIZIATICI

Se la formazione aiuta a portare le persone ad essere competenti all’interno di un modello assegnato, in un cambio d’epoca dove è chiesto prima di uscire da una forma per assumerne una nuova, si evidenza l’insufficienza dell’atto formativo. La sfida è attivare processi iniziatici.

Cerco di permettere a me stesso, di esser tratto dalla forza di ogni essere vivente: oblio… Vi è un’età in cui s’insegna ciò che si sa. Ma ne segue un’altra in cui s’insegna ciò che non si sa… Forse, adesso, sopraggiunge l’età di un’altra esperienza: quella di disimparare…

R. Barthes

Il tema della formazione è sempre sulla bocca di molti nella pastorale. La formazione è l’aiutare un soggetto ad assumere una ‘forma’, affinché sia in grado di poter essere efficace nel suo agire. Trasferire in lui conoscenze, competenze, attivare attenzioni e motivarlo. La motivazione è centrale: nel cercare di spingerti dentro quella forma e assumerla, adeguandoti, sapendo che avrai cadute e risalite, la motivazione è necessaria.

Semplificando, possiamo dire che la formazione fa entrare in un modello prestabilito, consolida, struttura, motiva.

Mi capita spesso di leggere documenti che rilanciano la formazione dei laici, la necessità di soggetti formati, l’importanza di scuole di teologia o di adeguati iter di addestramento pastorale per nuove ministerialità laicali. In altri termini, “Se vuoi fare, va bene, ma fallo come ti viene detto”.

Questo è coerente in un tempo in cui non si assiste ad una crisi delle forme (quelle proprie che il sinodo ci chiede di ripensare –  forme di partecipazione, comunione e missione), in un tempo in cui la realtà è conosciuta e stabile. Difficile pensare questo in un cambio d’epoca.

Condivido un principio che è alla base di ogni dimensione organizzativa: sono gli uomini che generano le organizzazioni/forme, ma nel tempo sono queste che prendono il sopravvento sugli uomini; e la preoccupazione di una forma è solo una: autoconservarsi.

PROCESSI IN USCITA

Il cammino sinodale, il magistero in senso più ampio, ci sta chiedendo un cambio di forme, una conversione di paradigma. Allora non possiamo negare l’insufficienza della formazione se concepita come è stata definita sopra.

È necessario quindi passare da modelli di formazione a processi iniziatici. Cosa intendo… intendo che è necessario aiutare le persone prima a uscire da una forma storica non più opportuna per l’annuncio (disimparare), per maturare, esplorare, sperimentare nuove forme, in grado di farci generare nuove esperienze umano-spirituali.

Faccio ricorso alla letteratura, che come anche l’arte del cinema fa continuamente ricorso a strutture iniziatiche, che vanno sotto il nome di ‘Viaggio dell’Eroe’. Qui sotto un breve video che ripropone l’archetipo che soggiace a molti film che avrai visto e che è in grado di attirare la nostra attenzione generando in noi un moto interiore. Archetipo che l’esperto di mitologia Joseph Campbell aveva identificato nel suo ‘L’eroe dai mille volti’.

https://www.youtube.com/embed/f4-PSU6bK4o

Il mio riferimento letterario è all’opera di Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carrol. Il trovarsi di fronte ad uno specchio e l’addentrarsi in esso genererà nella protagonista la prima fase di un processo iniziatico.

Ora, Kitty, se mi dai un po’ di retta senza chiacchierare tanto, ti dirò come la penso a proposito della Casa dello Specchio. Prima di tutto, c’è la stanza che puoi vedere dall’altra parte del vetro… è uguale al nostro salotto, solo che le cose sono all’incontrario. Io riesco a vederla tutta quando monto in piedi su una sedia… tutto, meno il pezzetto dietro il camino. Oh! Come mi piacerebbe poter vedere anche quello! Vorrei tanto sapere se l’inverno accendono il fuoco: non si capisce mai, vedi, tranne quando il nostro fuma, e allora si vede salire il fumo anche in quella stanza… ma può darsi che facciano solo finta, tanto per far credere che hanno un fuoco anche loro. E poi il loro libri sono un po’ come i nostri, solo che le parole vanno per l’altro verso. […] eccoci al corridoio. Se ne vede appena una fettina, del corridoio, nella Casa dello Specchio, a patto di lasciare aperta la porta del nostro salotto; e quella fettina assomiglia moltissimo al corridoio nostro, però chissà, più avanti potrebbe essere tutto diverso.

L‘AZIONE INIZIATICA

L’azione iniziatica mira prima di tutto a farti uscire da uno status/condizione iniziale, invitandoti a compiere un viaggio di trasformazione. Accettare in sé l’ignoto. Che come scrive la poetessa canadese Anne Carson è il principio base della tensione d’amore. Ciò che l’amante vuole dall’amore è “il protendersi verso l’ignoto”. L’azione iniziatica fa uscire, destruttura, ristruttura e opera nel generare consapevolezza e fiducia. Non tanto la motivazione, quanto la consapevolezza, la presa di distacco da una forma, decentrandosi – cognitivamente, simbolicamente ed emotivamente – da essa e la fiducia di poter affrontare il viaggio di ritorno profondamente cambiati.

Ci è di aiuto l’antropologia. Van Gennep, nel suo scritto sui riti di passaggio, prende in considerazione  le diverse fasi di cui è composto un passaggio iniziatico: lo schema completo dei riti di passaggio comporta in teoria dei riti preliminari (separazione), liminari (margine), e postliminari (aggregazione).  Un altro antropologo Victor Turner approfondisce. La prima fase, la separazione, comprende il comportamento simbolico che significa il distacco dell’individuo o del gruppo da un punto prefissato della struttura sociale o da un sistema stabilito di condizioni culturali (uno “stato”). Durante il periodo liminale intermedio, la seconda fase, lo stato del soggetto rituale (il “passeggero”, o “liminare”) diventa ambiguo: né qui né là, al di fuori di ogni classificazione precisa, egli passa attraverso un campo simbolico che ha pochi o nessuno degli attributi del suo stato passato né di quello in cui sta per entrare. Nella terza fase il passaggio è consumato e il soggetto rituale, il neofito o iniziando ri-entra nella struttura sociale ad un livello di status diverso non necessariamente più alto. Ciò che avviene, se si pensa al percorso di formazione di un candidato al sacerdozio, nel suo essere isolato dalla comunità di origine, nel vivere una fase di ristrutturazione della sua identità in un luogo a parte (il seminario) e fare ritorno alla comunità con un nuovo status (un nuovo appellativo, una nuova appartenenza, una nuova missione). Quello che vivrà Alice durante il suo viaggio.

Il Bruco e Alice si guardarono in silenzio per qualche tempo. Da ultimo il Bruco si tolse di bocca il narghilè e l’apostrofò con voce languida, assonnata. «E chi sei tu?» disse il Bruco. Come inizio di conversazione non era incoraggiante. Alice rispose, un po’ imbarazzata: «Ehm… veramente non saprei, signore, almeno per ora… cioè, stamattina quando mi sono alzata lo sapevo, ma da allora credo di essere cambiata diverse volte».

Il processo iniziatico quindi cerca inizialmente di operare un distacco, di generare una discontinuità e immerge il soggetto in nuove parole, gesti, segni, atteggiamenti. Questa discontinuità è frutto di un discernimento che ci ha permesso non tanto di identificare una nuova forma, ma una nuova pista da esplorare. Questo richiede accompagnamento del soggetto, un generare intorno a lui fiducia, aiutandolo a rinarrare quanto sta avvenendo, rileggersi all’interno delle piccole sfide che si troverà ad affrontare durante il suo tirocinio trasformativo. Fino a giungere alla sfida decisiva in cui gli è chiesto di operare un atto di volontà profondo, di distacco, morte e resurrezione. La conversione, ricordo, è un’azione pasquale. Si potrà così tornare alla propria realtà rinnovati.

Così avanzarono insieme nel bosco, Alice con le braccia avvinte amorosamente al tenero collo del Cerbiatto, finché non sbucarono in un altro campo aperto, e qui il Cerbiatto spiccò un salto improvviso, liberandosi dell’abbraccio di Alice. «Sono un Cerbiatto» gridò con voce piena di gioia. «E tu sei una bambina umana! Povero me!» Un’improvvisa espressione di allarme gli apparve nei begli occhi marroni, e un attimo dopo il Cerbiatto era schizzato via a tutta velocità. Alice rimase a guardare nella direzione che l’altro aveva preso, e fu lì per scoppiare a piangere dal dolore di aver perso tanto improvvisamente il suo caro piccolo compagno di viaggio. «Però adesso so il mio nome» disse, «e questa è una consolazione. Alice… Alice… non lo dimenticherò più.»

INIZIARE ABILITA NON RENDE COMPETENTI

A volte pensiamo che l’innovazione nei modelli formativi sia quello della struttura laboratoriale, o del metodo esperienziale. Ma se questi modelli sono in funzione solo formativa, che attraverso un approccio deduttivo o induttivo ti introducono ad un modello prestabilito, anche nuovo, ma senza prima aver compiuto dei riti preliminari di separazione dal precedente, non si ottiene quanto desiderato. Quante volte ci siamo sentiti dire “Si, è vero ma…”, “Tutto giusto eppure…”, “Queste cose le facciamo già…” quando invece la proposta è ben diversa ma semplicemente letta all’interno delle categorie mentali in loro possesso. L’azione iniziatica non spiega, non descrive, non definisce. L’azione iniziatica ribalta, decentra, coinvolge prima il cuore e poi la mente e infine la volontà. Destruttura spiazzando la persona in un rito di distacco e la immerge in un flusso esperienziale dove è invitata a compiere gesti nuovi, ad usare materiale linguistico nuovo (apertura del cuore), per poi rinarrarsi, porsi domande senza darsi risposte, esplorare (apertura della mente) e infine ridefinirsi per suscitare un nuovo agire (apertura della volontà). Richiede un clima e un apertura di fiducia, dove sono chiare all’inizio le condizioni ma non gli esiti. Al termine di questo viaggio si è solo abilitati! Non competenti! Come presupporrebbe invece la formazione. Abilitati ad un processo trasformativo che va accompagnato. Siamo di fronte ad un nascituro che chiede appoggio, sostegno ai suoi primi passi nel suo nuovo essere. Occorrono accompagnatori che facilitino questo incedere fatto anche di inciampi ed errori. Ma contrassegnato da un’aria nuova, un respiro ampio, un timore curioso.

Siamo chiamati oggi ad aprire nuovi sentieri, oltre il visibile e il pensabile. Concludo con una poesia che penso possa sintetizzare quanto scritto.

La sera si fa sera, / Tu non avrai compagni.

Ed allora verrà / La faina da te / Per metterti paura,

Prendila per sorella.

La faina conosce / E l’ordine dei fiumi / E i fondali dei guadi

E ti farà passare / Senza che tu t’anneghi

E poi ti condurrà / Fino alle fonti fredde / Perché tu ti rinfreschi

Dai polsi fino ai gomiti / Dei brividi di morte.

 

Anche comparirà / Davanti a te il lupo / Per metterti paura.

Ma non prender paura / Prendilo per fratello.

Perché il lupo conosce / E l’ordine dei boschi / E il senso dei sentieri

E t’accompagnerà / Per la via più leggera

Verso un alto giardino / Dove la luce è quieta.

Il tuo posto è laggiù,

Dove vivere è bello / Dov’è il campo di dalie / La collina dei giuochi.

E laggiù c’è il tuo cuore.

Franco Fortini, da Foglio di via