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Il Male è una comfort zone

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Tempo di lettura: 3 minuti

I vantaggi secondari per un non cambiamento

Perché preferiamo il male che conosciamo al bene possibile? Cosa ci blocca nei processi di cambiamento o nell’intraprenderne uno? Quali i vantaggi secondari di un non cambiamento e di restare in uno stato di malessere?

C’è sempre un vantaggio secondario nei nostri comportamenti o pensieri disfunzionali.

Nella Lezione 23 di ‘Introduzione alla Psicoanalisi’, Freud parla di vantaggi secondari del sintomo.
Trattenere un malessere richiede il soddisfacimento di un bisogno per lo più inconsapevole: riceverne in cambio qualcosa.
A volte si tratta di vantaggi nascosti e sottili, eppure appaganti, seppure cronicizzanti il disagio.

Vantaggi secondari: il ritiro confortevole in se stessi, la preoccupazione delle persone intorno, la cura e le attenzioni degli altri, il pretesto per non adempiere ai propri obblighi, o per auto-boicottarsi, per non esporsi di fronte ad altri o ad una comunità o al proprio clero.

Il poter delegare una parte dei propri compiti, il non assumersi una parte delle proprie responsabilità, il rimandare delle decisioni o l’evitare di affrontare situazioni critiche.

Vantaggi secondari mascherati a se stessi con narrazioni del tipo: “Io non so più cosa possa fare”, “Tutto ciò che potevo fare io l’ho fatto!, “Ma cosa posso fare ancora per convincere gli altri di questa cosa?”, “Non riescono a capire quanto impegno ci sto mettendo!”, “Non si può mica buttare via il bambino con l’acqua sporca!”, “Tu lo vedi che non ho più tempo nemmeno per mangiare!”,…

Non dover procedere oltre il perimetro conosciuto e già nominato.
Avere la sicurezza di mantenere un determinato ruolo, la certezza che i modelli comunicativi e relazionali permangano e non mi sia richiesto uno sforzo di apprendimento nuovo.
Il non dover tollerare l’ansia, la paura, la frustrazione, l’incertezza.
Mantenere la percezione – illusione – di controllo.
Vantaggi sociali, cognitivi, emozionali.
Vantaggi secondari che mi fanno accettare un male che, pur trafiggendomi il petto, appare più tollerabile o quasi confortante rispetto al nuovo, al non ancora esplorato.

Chi vuol cambiare mi segua… sì, certamente, ma prima lasciami seppellire mio padre… sì, ma prima lasciami andare a salutare i miei parenti (Lc 9, 59-61). “Chi vuol venire dietro di me rinneghi se stesso” (Mc 8, 34-35).
Salvare la propria vita (Mc 8, 35)… vantaggio secondario.  

Il male è uno stato di comfort zone.
È comodo persistere, resistere, permanere.
È comodo buttarsi giù, arrendersi, sottolineare la sconfitta, la ripetizione.
Anche se siamo alla frutta, anche se siamo affaticati e stressati, è comodo.
Ed è comodo dirci che non ce la facciamo più. È comodo dirci che siamo stressati.
“Nelle nostre comunità c’è individualismo, poca cura delle relazioni, autoreferenzialità’”… sintomi. Facile e comodo affermarlo.
È scomodo andare alle cause, è comodo restare sui sintomi.
È comoda l’azione terapeutica, è scomoda l’azione sistemica.

Altrettando comodo è operare diagnosi.
La diagnostica del male è una forma di rassicurazione.
“La Chiesa è… secondo l’indagine la fede in Italia… la personalità di questa persona…”.
Oggettivare, elaborare ciò che ci fa stare male come un oggetto esterno a noi, ci dà il vantaggio di non esserne coinvolti.
Distanza deresponsabilizzante, valido ansiolitico decolpevolizzante.
Vantaggi secondari.
Poter dire ‘sei così’, ‘sono così’, è comodo.
Ascoltare l’ambivalente, il non continuo, il mutevole, è scomodo.
Stare nella speranza è scomodo.

“I suoi uscirono per andare a prenderlo” (Mc 3, 21). Uscire per prendere.
“Stando fuori lo mandarono a chiamare” (Mc 3, 31). Chiamare stando fuori.
“Stanno fuori e ti cercano” (Mc 3, 32). Cercare stando fuori. 
“E’ fuori di sé” (Mc 3, 21). “E’ posseduto da uno spirito immondo” (Mc 3, 31). Diagnosi. Lui è.
Dio risponde – nella traduzione letterale: “Io sarò ciò che sarò” (Es 3, 14).
Dio, la vita,  non si può circoscrivere, non può “essere” al solo presente!
Dio è consistenza della mia vita ma in continuo divenire.
La parola finale sarà la prima della genesi e del Vangelo di Giovanni: in principio.
La creazione in quanto atto di amore è perpetua. Un principiare continuo.
La vita nel suo divenire non ha dove poggiare il capo. Non c’è posto per lei se non nell’amore.
L’amore non tanto come fondamento, come costruzione, ma come sorgente.
“L’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14).

Prendersi una pausa è scomodo.
Pensare è scomodo perché è pausare. È stare sospesi.
Ascoltare è scomodo, è appoggio pensile, instabile e leggero, che non si appropria ma espropria il mio io.
Fare è comodo. Sospendere, tagliare, potare, è scomodo.
La realtà è scomoda.
Amare è scomodo, il male è comodo.