QUANDO UN’ISTITUZIONE E’ PRONTA AD AFFRONTARE UNA CRISI?
La situazione che stiamo vivendo a messo in crisi una Chiesa costruita su progetti, programmi, routine. Di fronte alla crisi ha reagito con ulteriori programmi e proposte in streaming. Cosa ci suggeriscono le scienze organizzative rispetto alle istituzioni pensate per affrontare l’imprevisto? Cosa emerge se confrontiamo queste analisi con la realtà della Chiesa e della pastorale in atto?
Mi sono ricordato in questi giorni di un racconto di Julio Cortàzar che lessi tempo fa, dal titolo L’autostrada del sud. Il protagonista sta rientrando a Parigi lungo l’autostrada. C’è traffico, come avviene di norma nel rientro dal weekend, e deve arrestarsi in coda. Ma questa coda durerà ore, giorni, settimane, mesi! In modo del tutto inatteso successe un evento che costrinse lui come tutti gli altri automobilisti a restare intrappolati lungo l’autostrada per Parigi. Come una quarantena, quella che stiamo vivendo, che chiese loro un nuovo modo di organizzarsi, generando nuove forme di comunità, di reciproco aiuto. Ciò che mi rimase impresso però era il finale, quando la colonna si rimise in moto, e tutti si abbandonarono alla meccanica della marcia, senza pensare, in un veloce procedere in avanti… “e si correva a ottanta chilometri all’ora verso le luci che crescevano a poco a poco, ormai senza più sapere perché tanta fretta, perché quella corsa nella notte fra auto sconosciute dove nessuno sapeva niente degli altri, in cui tutti guardavano fissamente in avanti, esclusivamente in avanti”.
Sarà così anche per noi dopo questa quarantena? Saremo in grado di chiederci non tanto quanto abbiamo fatto per reagire a questa immobilità, ma quanto abbiamo appreso? Altrimenti, il rischio di riprendere la corsa, i programmi, i progetti come nulla sia successo, è dietro l’angolo.
ORGANIZZAZIONI IN GRADO DI GESTIRE L’IMPREVEDIBILE
Ho ripreso in mano un altro testo questi giorni, Governare l’inatteso. Organizzazioni in grado di affrontare le crisi con successo, un classico delle teorie dell’organizzazione, i cui due autori Weick e Sutcliffe analizzano la differenza tra le istituzioni in grado di affrontare eventi imprevedibili da quelle pensate per farlo.
Un fattore emerge in modo evidente: le organizzazioni che vanno più in crisi da un evento inatteso sono quelle basate su progetti, programmi, routine. Questo mi fa molto riflettere sulla Chiesa come istituzione al servizio dell’evangelizzazione. Nel momento in cui tutti gli obiettivi pastorali fissati e gli schemi sono saltati, si è vissuta una profonda crisi evidenziata dalla reazione già descritta nei precedenti articoli. Forse questo è spiegabile in quanto la centratura del suo agire è su progetti e programmi, dipendendo da questi. Come se la vita si possa ridurre e semplificare in un progetto. E la reazione della Chiesa è stata quella di rispondere con altri progetti e proposte questa volta in streaming. Quanto questa esperienza di isolamento fisico, di distanziamento, di immobilità domestica, ha generato in termini di nuove forme di relazionalità, di spiritualità, di espressione della vita – come nel racconto citato inizialmente – nulla rischia di essere riletto, fatto rinarrare.
Del resto, di fronte all’inatteso le reazioni da parte delle organizzazioni che non sanno governarlo sono di tre tipi: negare l’evento, sostenendo che si sta esagerando, che poi tutto tornerà come prima e non vediamo l’ora che succeda; spiegare l’evento dentro le categorie teoretiche già in possesso, normalizzandolo; integrare l’evento, così che non sia più visibile (come alcune esperienze spirituali, penso al francescanesimo, siano per l’appunto state integrate nell’ortodossia).
E’ facile del resto imbattersi di questi tempi in articoli che vogliono ‘spiegarci’ cosa questa situazione ci sta insegnando, quali lezioni ci sta dando. Rischia di insegnarci poco se mettiamo in atto i tre atteggiamenti sopra elencati.
I due autori del testo citato ci ricordano che “I programmi possono fare solo il contrario di ciò per cui sono stati pensati” in quanto impongono una visione ristretta di quali sono i segnali rilevanti, sia perché indeboliscono le capacità di utilizzare competenze in modo contingente e modulare, sia infine perché implicano una ripetizione di schemi che è incapace di adattarsi a eventi nuovi e imprevisti.
Sono sempre più necessarie competenze di governo che sanno affrontare la variabilità, la complessità e l’efficacia. Una visione meccanicistica dell’organizzazione potrebbe far pensare che questi fattori siano gestibili con l’aumento di regole, procedure operative standard, tecnologia, specializzazione e gerarchia. In questi casi in effetti è proprio la gerarchia a prendere il sopravvento, anteponendo l’autorità all’esperienza, accrescendo così la crisi.
CARATTERISTICHE ORGANIZZATIVE E PASTORALI PER GOVERNARE L’INATTESO
Le organizzazioni che sanno governare l’inatteso hanno le seguenti caratteristiche:
- individuare piccoli eventi critici
- opporre resistenza all’eccessiva semplificazione
- rimanere sensibili alle attività in corso
- mantenere la capacità di resilienza
- trarre vantaggio da un’attribuzione mobile delle competenze
1. Individuare piccoli eventi critici, che anticipano quello che potrà avvenire, vuol dire evitare l’eccessiva sicurezza di sé. questo permette di rispondere in modo deciso ai segnali deboli. Di solito infatti diamo risposte deboli a segnali deboli e risposte forti a segnali forti (gesto ‘eroico’). Di fronte all’inatteso di solito piccole carenze passano inosservate, si accettano diagnosi affrettate, le attività di reazione si danno per scontate, il recupero si sottovaluta e l’autorità come abbiamo detto si antepone all’esperienza. In termini pastorali ci richiama quanto sia importante tenere sempre viva l’attenzione sugli altri, le relazioni, la loro qualità. Cogliere il clima, porre attenzione ai gesti, ai simboli, alle parole e non trascurarle. E questo si può fare non se c’è una persona sola a farlo, ma diviene una cultura diffusa.
2. Tutto è aggravato dalle aspettative che riducono la capacità di analisi e semplificano la realtà. Le aspettative si costruiscono all’interno dei ruoli, le routine, le strategie organizzative, creando quel genere di ordine e di prevedibilità su cui l’organizzazione fa affidamento per la propria attività. Sono quindi benefici ma anche svantaggi in quanto possono produrre dei punti ciechi che non permettono di riconoscere un cambiamento. E questi punti ciechi si ingrandiscono nel momento in cui andiamo alla ricerca delle prove che confermano le nostre aspettative. Routine e programmi sono forme di aspettative organizzative. Quanto la pastorale è condizionata da questi elementi? Quanto allora ricordare che siamo oggi chiamati ad avviare più dei processi che dei progetti pastorali. E non è questione di nominalismi, le due realtà sono profondamente diverse.
3. Occorre avere la capacità di accettare e soprattutto richiedere continuamente feedback da chi è sul campo, da chi è immerso nelle esperienze e nella vita. Altrimenti l’istituzione diviene autoreferenziale e quindi più vulnerabile. Sul piano pastorale è agire in termini veramente sinodali!
4. Aiutare le persone a saper leggere la realtà, rileggere le proprie esperienze e poterle narrare, condividere. Abilitare al discernimento.
5. Trarre vantaggio da un’attribuzione mobile delle competenze. Le gerarchie rigide hanno una loro speciale vulnerabilità nei confronti dell’errore. Nelle organizzazioni che sanno affrontare l’inatteso le decisioni vengono quindi prese in prima linea e l’autorità viene trasferita alle persone con più competenza, senza badare al loro rango. Altrimenti ciò che la gerarchia non vede non succede, con danni che si incrementano nel tempo. È il tema del decentramento pastorale, della corresponsabilità laicale, delle ministerialità.
SULL’AUTOSTRADA VERSO CASA
Siamo ancora in coda, con l’auto ferma, diretti verso la nostra destinazione che possiamo ora solo desiderare ma non vedere. Sapremo cogliere da questo tempo una consapevolezza rinnovata? Qui ci giochiamo il futuro e la credibilità, ma ancora di più la bellezza di un’espressione di Chiesa che è già tra noi ma fatica ad essere accolta nelle forme più opportune al suo manifestarsi.