
LIBERARE NUOVI PARADIGMI PASTORALI
Oggi, in un contesto di incertezza e profondo cambiamento, è importante porsi le domande ‘giuste’ per discernere nuove opportunità per il Vangelo. In questo articolo verranno condivisi alcuni risultati delle nostre ricerche nel territorio ecclesiale italiano, in relazione ai modelli di Chiesa prevalenti, alias paradigmi pastorali, che influenzano la lettura della realtà, le scelte, i modelli relazionali e comunicativi, le richieste e i bisogni interni alle comunità.
In questo senso è attuale richiamare le parole del cardinale Martini: «Credo che non sia il momento di cercare risposte universali. Ricordo sempre un principio pastorale e psicologico fondamentale secondo il quale le risposte cadono su un terreno fertile solo quando prima è stata posta una domanda, quando ho osservato o ascoltato» (Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede, 2010, 97).
Di fronte ai mutamenti che hanno generato molteplici crisi nelle comunità cristiane si sente oggi spesso ripetere una domanda: «Che cosa dobbiamo fare?». Il sospetto è che questa domanda non sia quella ‘giusta’.
Attraverso una rilettura pastorale dei risultati che emergono da uno strumento di osservazione – utilizzato dal nostro Centro Studi in diversi contesti ecclesiali per facilitare la messa a fuoco del ‘paradigma’ di una comunità – cercherò di mettere alla prova questo dubbio proponendo poi una nuova domanda pastorale maggiormente feconda per il nostro contesto. Lo strumento di seguito descritto non sarà presentato per snocciolare l’ennesima analisi delle ‘crisi, malattie e incapacità’ che coinvolgono le comunità cristiane. Servirà invece come chiave di lettura per cogliere con maggiore lucidità le opportunità di questo tempo e alla luce della fede aprirsi alla prospettiva di nuovi orizzonti pastorali.
VEDERE IL ‘PARADIGMA’ INVISIBILE
Il paradigma di una comunità consiste in quei presupposti e comportamenti ‘dati per scontati’ che offrono senso e governano il contesto. Effettuare un discernimento sul paradigma di una comunità cristiana significa concentrarsi su ciò che non è del tutto evidente e determina decisamente il modo di pensare e di agire delle persone che ne fanno parte pur avendo un carattere ‘invisibile’.
Esiste uno strumento efficace, in grado di evidenziare il paradigma prevalente che governa un contesto organizzativo (nel nostro caso una comunità). Esso considera l’attenzione che l’organizzazione pastorale pone al proprio interno e, dall’altra, il suo orientamento verso l’esterno: tecnicamente si parla di ‘focus interno’ e ‘focus esterno’. In secondo luogo esso verifica la tendenza nel porre in essere una dinamica di stabilità e controllo o di flessibilità e discrezione.
Questi fattori, considerati come assi di un diagramma, delineano quattro paradigmi: a) Il CLAN: attenzione all’interno, flessibilità e discrezione verso i membri della comunità stessa. Prevale un atteggiamento di cura tra le persone che già appartengono alla comunità. Si agisce con prudenza per evitare il conflitto. Si privilegia la partecipazione. Le persone, in quel contesto, si sentono in famiglia; b) L’AMMINISTRAZIONE: anche qui l’attenzione è posta prevalentemente all’interno, ma privilegiando stabilità e controllo. Le energie vengono impiegate per mantenere in piedi l’esistente. Si privilegia la strutturazione e il controllo. Le persone sono coordinate; c) Il MERCATO: quando stabilità e controllo vengono messe in atto, insieme ad un’attenzione verso un focus esterno, si delinea un contesto ‘funzionale’. Esso privilegia la ricerca di risultati, persegue la perfezione e agisce in chiave di efficienza; d) La BOTTEGA: l’ultimo quadrante, caratterizzato da focus esterno, flessibilità e discrezione favorisce contesti in cui le persone sanno correre dei rischi. Si agisce in modo dinamico per ricercare un’innovazione costante. Le prassi assumono una diversa configurazione ‘ah hoc’ a seconda delle persone a cui si rivolgono e dei contesti in cui si sviluppano.

UNA RILETTURA PASTORALE
Provo ora ad effettuare una rilettura pastorale del modello. Nel farlo consegno alcuni dati che emergono dal lavoro di accompagnamento che viviamo in diverse realtà ecclesiali a livello italiano. Prima di procedere è bene precisare che lo strumento evidenzia una ‘tendenza prevalente’ e non una catalogazione. In altre parole una comunità da cui emerge principalmente una ‘tendenza’ si basa sostanzialmente su un certo tipo di paradigma; ciò non esclude al suo interno la presenza di altre forme organizzative magari minoritarie. Inoltre, nel valutare questi paradigmi, occorre non ricadere in una stima di carattere morale. In una comunità non c’è a priori un paradigma corretto e uno sbagliato: ma l’assumere l’uno o l’altro paradigma diviene opportuno a seconda del contesto in cui la comunità stessa vive per una maggiore efficacia della dinamica evangelizzatrice.
LA CHIESA CLAN
Una tipologia di comunità che si manifesta prevalente in associazioni, movimenti o istituti di vita religiosa è quella del ‘clan’. Questo paradigma prospetta elementi decisamente positivi, anche nel contesto attuale, quali ad esempio la cura delle relazioni personali. In una comunità ‘clan’, invece, si riscontra una difficoltà di integrarsi per ‘chi viene da fuori’, per la presenza di simboli e abitudini molto interiorizzate da parte dei membri che fanno sentire l’esterno come un pesce fuor d’acqua. Inoltre il ‘clan’ è un modello che tende a investire molto sulle relazioni interne, preservando le persone dal conflitto, seppure questo non sia negativo a priori e in alcuni casi possa divenire luogo di creatività. Pastoralmente si tratta di comunità chiuse in se stesse, autoreferenziali. Comunità incapaci di ‘uscire’, ripiegate nei propri recinti. In esse si insinua la possibilità di un’azione pastorale segnata da un interesse dominante per una sola determinata esperienza o una serie di ragionamenti che vengono ritenuti migliori.
LA CHIESA AMMINISTRAZIONE
Un’altra tipologia comunitaria che emerge in alcune parrocchie e in diverse Curie consiste nell’‘amministrazione’. In questo paradigma emerge la ricerca di una chiarezza dei ruoli e degli incarichi, un cercare di ‘fare ordine’. Ma in un contesto di incertezza queste attenzioni possono portare ad un irrigidimento burocratico, dove la persona risulta essere in funzione del sistema e non il contrario. Anche qui il conflitto è visto negativamente perché può interrompere la linearità e l’efficienza del sistema. Anche nel paradigma amministrativo si riscontra una certa autoreferenzialità che si manifesta attraverso il controllo e la ricerca di stabilità: si confida nella propria forza, nella capacità di normare opponendosi al cambiamento.
LA CHIESA MERCATO
Una connotazione diversa si riscontra in comunità cosiddette attive o in contesti di servizio: si può parlare in questo caso di paradigma di ‘mercato’. In positivo si nota la capacità di rispondere a bisogni ed esigenze delle persone (si pensi al prezioso lavoro di tante Caritas). In questi contesti c’è una spinta missionaria verso l’esterno, che si realizza però attraverso prodotti ‘pre-confezionati’ che non mettono in discussione la propria comunità e si traducono spesso in ansia di sussidiazione, celebrazioni e progettualità non ancorate alla realtà. Qui la comunità rischia di trasformarsi in un’agenzia di servizio, si concentra sul fare numerose attività che assumono un carattere educativo, sociale, ma non evangelizzante. In esse non trovano spazio la leggerezza del soffio dello Spirito e la forza della profezia.
LA CHIESA BOTTEGA ARTIGIANA
Una comunità ‘bottega’ è segnata da flessibilità, leggerezza e decentramento: in essa si privilegia la discrezione (cioè il discernimento) che sa riconoscere le priorità e concentrarsi su ciò che è essenziale. C’è una costante apertura alla realtà e all’altro, capacità di mettersi continuamente in gioco e lasciarsi cambiare i piani dallo Spirito. Si pensa e si agisce come minoranza creativa trasformando dall’interno le cose, facendole nuove. Questo è il modello meno presente nel panorama italiano, anche se forse potrebbe essere quello più utile in un contesto di cambiamento e incertezza come quello attuale. La ‘bottega’ è un luogo aperto, attento a ciò che davvero conta, ancorato alla realtà, dove le persone prendono decisioni e si assumono dei rischi promuovendo una cura ‘ad hoc’ delle diverse fragilità. Le prassi di una comunità di questo tipo prendono la forma di un artigianato pastorale che assume grande efficacia in un contesto mutevole come quello attuale.
UNA NUOVA PROSPETTIVA
I risultati delle ricerche mostrano, come accennato, uno schiacciamento sul modello ‘clan’ da parte di associazioni, movimenti e istituti di vita consacrata che si trovano perciò incapaci costitutivamente di uscire dai propri ‘recinti’. Le comunità parrocchiali mostrano una tendenza a mettere in atto modelli centrati su stabilità e controllo: da un lato si concentrano le forze sui sacramenti o sulla catechesi dei fanciulli, cercando di normare e ‘amministrare’ una certa forma di comunità; d’altra parte si cerca di rispondere a bisogni e aspettative che aumentano le ‘cose da fare’ e stressano i sacerdoti fino a rendergli impossibile un sano ed equilibrato vissuto ministeriale, trasformandoli in manager di agenzie di servizio educative o sociali. È un modello questo di ‘mercato’ che fa forza sulla quantità più che sulla qualità e intensità della proposta.

In definitiva questi primi tre paradigmi costituiscono tendenze decisamente disfunzionali rispetto alla realtà complessa e fluida che viviamo e non possono fare altro che aumentare le frustrazioni e gli insuccessi pastorali. Ridurre le tendenze che spingono a concentrarsi sulla propria realtà o a far forza sulla stabilità e il controllo per dare spazio alla flessibilità e al discernimento che si apre all’altro e trasforma dall’interno la realtà non è via facile, ma è oggi necessario per riacquisire carica evangelizzante nella comunità cristiana.
La domanda da cui siamo partiti – che cosa dobbiamo fare? – anche alla luce di questi dati risulta essere fuorviante per il contesto ecclesiale attuale. La sfida, invece, è crescere nella consapevolezza della presenza di quei ‘paradigmi invisibili’ che influenzano negativamente le scelte e che è necessario abbandonare. La domanda da porsi oggi non può essere legata al ‘fare’, ma deve condurre ad un affidamento allo Spirito che già opera nelle vicende di questo nostro tempo. È questo il tempo delle domande ‘giuste’. Per la ricerca di nuove vie pastorali suggerisco una nuova prospettiva: che cosa lasciare? Come liberarsi da quei paradigmi che ostacolano un’accoglienza sincera di ciò che lo Spirito sta già realizzando?