
PERCHE’ SINODO SIA ‘INCIAMPARE INSIEME’
Condivido la relazione che ho tenuto il 16 ottobre 2021 all’incontro delle Caritas Parrocchiali della Diocesi di Brescia. Un intervento che aveva l’intento di fornire delle chiavi di lettura a questo tempo in relazione al Sinodo e ai cammini sinodali.
Buongiorno a tutti e grazie di questo invito. Questa relazione non prevedrà come si fa di solito il cosiddetto “question time”, domande-risposte, perché l’obiettivo è avviare un cammino, avviare un processo. Per cui quello che ci sta a cuore è che alla fine di questo intervento non usciate fuori con delle risposte, ma torniate a casa con in tasca più domande. Questo è il tempo dove porci le domande, non dove darci le risposte perché le risposte oggi ce le abbiamo ma sono le risposte di un’epoca che non c’è più, sono le risposte a domande che non valgono più nell’oggi. Questo è il tempo di rifarsi le domande, ma le domande generative, non il cosa fare – che affaticano – non come fare ma ‘perché’, ‘perché stiamo facendo queste cose?’, ‘perché la Caritas oggi?’, ‘perché la parrocchia?’, ‘perché il sacerdote?’. Dobbiamo ritornare alla dimensione di senso e non schiacciarci su una dimensione funzionale, operativa, che non ci aiuta, e cercheremo di comprenderlo insieme.
Senza l’ansia di tornare a casa con delle soluzioni perché oggi non ce le abbiamo, e questo io lo dico in modo rassicurante. Oggi noi non abbiamo le soluzioni, non sappiamo qual è la forma di parrocchia, qual è la forma di Caritas migliore. È un tempo di discernimento.
Mi è stata posta una domanda da un direttore di un ufficio pastorale di una delle Diocesi italiane; mi ha chiesto “Scusa ma a che serve un Sinodo sulla Sinodalità?”. Perché è questo che il Papa ha chiesto. Intanto chiariamo: la Chiesa italiana non farà un Sinodo, chiariamo i termini, la Chiesa italiana domani avvierà i cammini sinodali. Il Sinodo è quello della chiesa universale, il Sinodo dei Vescovi, che noi quest’anno integreremo nei cammini sinodali. La differenza è enorme perché il Sinodo è un atto gerarchico normato canonicamente che è volto poi a creare un documento con delle indicazioni. I cammini sinodali non sono nulla di questo: è un processo diffuso, non gerarchico, non normato, non formale, che serve per ritessere un discernimento comunitario (dall’alto? dal basso?) dall’interno perché lo Spirito agisce dall’interno, né dall’alto né dal basso. Non dobbiamo ascoltare il mio sogno di parrocchia, il sogno del parroco, il sogno del vescovo, no: è il sogno che Dio ha su di voi, sulla vostra Caritas, sulla vostra parrocchia, altrimenti ci illudiamo e ci facciamo male. Non è ‘il mio sogno’ in gioco ma è qualcosa di più grande, perché in tutto questo lo Spirito ha già fatto nuove le cose. Dice Isaia “Ma non ve ne accorgete che già la novità germoglia?”. Non è la mia creatività in gioco. Si tratta quindi, prima di tutto, di un processo spirituale.
E perché fare allora un Sinodo sulla Sinodalità? Perché in discussione non ci sono gli altri. La Chiesa italiana aveva già iniziato a fare le schede – facciamo l’ascolto dei giovani, facciamo l’ascolto della famiglia, facciamo l’ascolto dei poveri… – il dibattito è sempre sugli altri, invece il Papa ha detto “No no, in discussione siamo noi”. Ecco perché un Sinodo sulla Sinodalità, che vuol dire che la Chiesa o diviene sinodale o non è. La Sinodalità non è un evento – un Sinodo è un evento che dura 3 o 4 anni – è uno stile evangelico – ricordatevi che è una delle tre vie – con cui abitare questo tempo – questo tempo, poi magari ci sarà un altro tempo in cui useremo altre attenzioni, ma la Chiesa come mistero la scopriamo un po’ per volta e adesso abbiamo colto questa bellissima intuizione.
IL PROCESSO SINODALE PER ABITARE IL CAMBIO D’EPOCA
Se non entriamo fino in fondo dentro questa dinamica sarà dura perché alla base di tutto c’è questa questione qui, che il Papa ci richiama più volte: viviamo un cambiamento d’epoca, e non un’epoca di cambiamenti. In un’epoca di cambiamenti basta fare degli aggiustamenti – sposto il sacramento della cresima più avanti, prima.. quante volte ci siamo detti queste cose? Togliamo questa cosa perché non ci è più utile, togliamo i padrini, le madrine… – Capite che sono dei giochi che vanno bene in un contesto dove ci sono dei piccoli cambiamenti, perché io aggiusto ed è sufficiente. Ma quando è l’epoca che cambia… Che vuol dire che è cambiata un’epoca? Se non capiamo questo è difficile capire il magistero di Papa Francesco. Cambiare un’epoca vuol dire che i modelli che noi usiamo per capire la realtà, le parole che usiamo per dare un nome alle cose, non funzionano più. Vuol dire che la vita non scorre più dentro le nostre categorie e le categorie con cui noi analizziamo, spieghiamo la realtà, sono saltate. Vuol dire che la conoscenza non avviene più in modo cumulativo lineare – io so sempre più cose e vado avanti – perché si è creata una frattura per cui noi dobbiamo attraversare un tempo dove non disponiamo più delle mappe precise per muoverci e dove non disponiamo più nemmeno dell’equipaggiamento (come se dovessimo attraversare un deserto ma fossimo vestiti per andare in montagna, capite che non funziona). Ma non è un problema questo perché di cambi d’epoca nella storia ne sono avvenuti tanti: è normale che avvengano i cambi d’epoca, e lo vedremo anche rispetto alla Caritas. Non è una cosa straordinaria, e la Chiesa ha già tutto il necessario, dispone di una Tradizione, degli strumenti per vivere questi passaggi. Quello che vi dirò oggi non è nulla di nuovo però dobbiamo accettare questo, che vuol dire accettare che un’epoca è morta – “elaborazione del lutto”, e come dice Gesù: “scioglietegli i lacci e lasciatelo andare”, dice questo alle persone accanto a Lazzaro, non dice “tiratelo qua e andiamo a mangiare”, no, “scioglietegli i lacci e lasciatelo andare” altrimenti diventa un fantasma e i fantasmi sono reali, sono quelle cose che non siamo riusciti a lasciare andare e che agitano le nostre notti, ci tengono agitati.
Che succede in un cambio d’epoca? Questo: si crea una frattura profonda tra (da un lato) le forme dove noi viviamo l’esperienza di fede, le parole con cui noi esprimiamo la fede e (dall’altro lato) la nostra esperienza di vita. Faccio degli esempi. Ci sono delle forme che non ci corrispondono più, come andare a una riunione del consiglio pastorale. Certi tipi di riunioni, certi modi di vederci in parrocchia, certi modi di annunciare, o certe parole che diciamo non hanno più corrispondenza con la vita di tutti i giorni. Un certo modo di stare in parrocchia, di riunirci, di discutere, sentiamo che non ci dà più qualcosa di significativo, di desiderabile. In gioco c’è il desiderio. Sono cose che facciamo perché le dobbiamo fare, più come un dovere, più con un’ansia di dovere che con un’ansia di amore, desiderio, passione. Ma questo succede, non è una cosa straordinaria. Allora cosa fa la sinodalità? La sinodalità opera una tessitura, ricuce questa frattura, ricuce tessuto di comunità, ricuce tessuto di significati, cerca di ritornare a far corrispondere certe forme dove noi viviamo la fede con la vita e lo scorrere della vita delle persone, che non sta più dentro le nostre agende. La vita delle persone, di un laico, non sta più dentro le agende parrocchiali. Spesso una coppia non ce la fa più nemmeno ad andare alle attività parrocchiali come coppia, o va il marito o va la moglie perché non ci sta più la famiglia dentro un’agenda dove tutto è regolato. Non è un caso che la prima cosa che vedi in parrocchia è la tabella con l’elenco delle attività. Scusate sono provocatorio ma è per scuotere, aprire varchi di pensiero.
IL PROCESSO SINODALE COME PROCESSO SPIRITUALE
Ma cos’è che mette in discussione questo? Siamo noi? Le nostre nuove intuizioni? No, è lo Spirito Santo, perché è lo Spirito il vino nuovo, non siamo noi, non è la nostra creatività il vino nuovo. Lo Spirito è il vino nuovo che dentro quelle forme non ci sta più. Dentro le forme storiche dove abbiamo ingabbiato la fede e la spiritualità non ci sta più.
Prima andavano bene. Attenzione, in questi discorsi non c’è giusto o sbagliato, ricordiamocelo. Quello che abbiamo fatto fino a adesso era giusto ed era bello. Ma quando cambia un’epoca non è giusto o sbagliato, è cosa è opportuno e cosa non è più opportuno. Kairòs: oggi questo tempo cosa ci chiama a vivere? Per cui quello che era prima andava bene, sennò non saremmo qui, solo che oggi la gente non riesce più a starci lì dentro, è normale. È lo Spirito che genera questa tensione: come lo facciamo a capire che è lo Spirito? Perché non è una cosa intellettuale: lo Spirito non agisce per sapere, agisce per sàpere, per sapore, per gusto. Nel vivere certe riunioni del consiglio pastorale, nel vivere certe riunioni di équipe io non sento il gusto, ho perso il sapore. Nel vivere certe celebrazioni, certe liturgie, ho perso quel gusto. Ma non è colpa di qualcuno: è che siamo chiamati a ripensarle. Una volta alla fine della messa al sacerdote cosa gli dicevano? “Sai che le cose che hai detto durante l’omelia mi hanno fatto molto riflettere?”. Oggi invece al termine della messa una persona se va dal sacerdote gli dice: “Sai che le cose che hai detto mi hanno molto toccato?”. È diverso antropologicamente: prima era una cosa più intellettuale (mi hai fatto molto riflettere), adesso è una cosa più interiore, anche più emozionale ma nel senso buono (mi ha molto toccato). Non c’è un giusto e uno sbagliato – Era meglio o peggio prima? No! – è che la realtà cambia e se noi vogliamo adattare la realtà all’idea che avevamo prima, non funziona. Ecco perché il Papa dice che la realtà è superiore all’idea: non perché l’idea non è importante, ma se non purifichiamo l’idea con la realtà, cadiamo nell’ideologia. È questo il grosso rischio di oggi. L’ideologia è appunto un’idea che adatta la realtà a se stessa, ai propri schemi, alle proprie certezze o agende.
Cosa ci chiede oggi questo tempo? Di uscire da quelle forme, da quelle parole che non capisce più la gente. Perché il Papa ha scritto un documento sulla santità? Perché la parola santità oggi non dice nulla all’uomo. Scusate se lo dico ma purtroppo è così. Se voi dite la parola santità alle persone di oggi non gli tocca il cuore, ma non vuol dire che è una parola sbagliata. noi magari ci tocca perché siamo cresciuti lì dentro, ma ditelo ai giovani…. Ma la parola santità non è sbagliata, ma gli va ridato un senso, ecco perché il Papa ha scritto un documento su quello, perché va rigenerata di senso, va collegata ad altre immagini, ad altre visioni, ad un altro linguaggio più corrispondente all’esperienza di vita delle persone sennò non è più comprensibile. Non faceva così Gesù nel suo annuncio? Non spastava di uno iota la Tradizione ma ne ridonava un senso rinnovato e fresco, comprensibile e saporito.
Allora cosa lo Spirito ci chiede? Di uscire da quella terra – è quello che chiede a Abramo “Abramo, esci da quella terra altrimenti non puoi vedere le stelle”, non puoi vedere le stelle perché l’inquinamento luminoso delle tue certezze, l’inquinamento luminoso delle tue abitudini è troppo forte per vedere le stelle. Sto parlando di inquinamento luminoso, non di buio, inquinamento luminoso!
Pensiamo questo in merito alla Caritas. Cosa è avvenuto nel 1971? Paolo VI chiude la Pontificia Opera di Assistenza (POA) e genera la Caritas. Perché? Perché eravamo in un cambio d’epoca. E in un cambio d’epoca ha cambiato le parole – Caritas, non più Assistenza – e ha cambiato la forma, la natura profonda di quell’organo – che non era più un organo assistenziale, che fa assistenza, centralizzato, ma diviene un’esperienza evangelizzante delle realtà e delle singole comunità per acquisire lo stile della carità ed evangelizzare e animare la carità. Poi ancora dobbiamo entrarci meglio dentro questa cosa, e lo sappiamo, ma capite che cosa fa? In un cambio d’epoca (1971) cambia forma e parole, è un’intuizione che ancora oggi stiamo vivendo. Poi dopo avete avuto il 25esimo (1996): avete scritto un bel documento, che richiama quelle intuizioni, però capite che nel 1996 non ci trovavamo in un cambio d’epoca. Mentre adesso che lo siamo non vi salvate con un altro documento, perché non è tempo di documenti (ecco perché non facciamo un Sinodo, che fa il documento), ma attiviamo un cammino lungo nel tempo, per purificarci, per ricomprendere la realtà, ma non per scrivere un documento ma per ripensare nuove forme, creativamente attraverso l’ascolto dello Spirito, della Parola… ascoltare e ricercare nuove forme, nuove parole per agire su questa realtà che è profondamente mutata.
È questa la sfida che oggi abbiamo avanti, come Chiesa e come Caritas. Qualcuno deve iniziare: se inizia Caritas per prima, ben venga! Che diventi pietra di inciampo per la Chiesa. Avete sentito dire che il Sinodo è camminare insieme? No! Sinodo è inciampare insieme. Io mi auguro che lo Spirito Santo sia pietra di inciampo sui nostri pensieri e le nostre categorie, che la Caritas diventi pietra di inciampo per la Chiesa nel ripensarsi.
SINODO: INCIAMPARE INSIEME
Gesù parlava così, Gesù diceva: “Avete sentito dire che…. Ma io vi dico…”. Cambio d’epoca: usa un approccio per generare una nuova visione. Se noi non generiamo una nuova visione, un nuovo sogno di Chiesa, non pensate di riuscire oggi ad attrarre persone coinvolgendole nel fare le cose. Noi abbiamo questo mito: la gente appartiene a qualcosa se gli faccio fare qualcosa, il coinvolgimento equivale all’appartenenza. È un mito. Io non vado più in parrocchia come laico per fare delle attività, scordatevelo, non ho voglia di dare tempo per gestire delle attività. La missione di ogni battezzato, laico o ordinato che sia, non è gestire delle attività perché il mio battesimo mi chiama ad altro, il mio battesimo mi chiama a trasformare il mondo, non a gestirlo e io non ho voglia di dare tempo per gestire perché non è la mia chiamata. Io sono chiamato a trasfigurare il mondo, a dargli un volto, che è quello di Cristo, e la Caritas lo sa bene: una civiltà diversa, un mondo diverso. Non soddisfare dei bisogni, ma generare nuova realtà e nuova comunità. Io su questo ci sto, ma non a gestire un’attività. Poi ci sta che dentro quella missione ci siano delle attività, ma non mi convincete a partire dall’attività. Il laico non ha più voglia, e infatti non tornano. Io le giro le Diocesi italiane: non si trovano manco più i catechisti, che era la casta più potente che avevamo in parrocchia. Scusatemi se sdrammatizzo, sono cose che diciamo con il sorriso ma rivelano una realtà che abitiamo.
Questa allora è una sfida. Come si affronta allora questa sfida? Come ci ha chiesto il Papa. Una volta la Chiesa tutta usava tre verbi: vedere, giudicare, agire. Ve li ricordate? Dobbiamo vedere la realtà, analizzare la realtà, fare l’analisi dei bisogni, sulla base dell’analisi dei bisogni giudichiamo, fissiamo degli obiettivi, determiniamo delle azioni, operiamo delle scelte. Modalità di progetto, così si lavorava per progetti, per piani: i progetti pastorali, i piani pastorali… Ecco, è morto questo tempo. Lo so che fa paura per tanti perché almeno era una certezza (è quello che so fare, si è sempre fatto così). Ma questo è un tempo diverso, è un tempo dove entrare in una logica di processi, non di progetti. Ecco perché il Papa ci ha dato altri tre verbi nel Sinodo dei Giovani sul discernimento:
- riconoscere, non vedere, perché in un cambio d’epoca io non so più vedere la realtà perché io addomestico la realtà attraverso le categorie che già ho, e i nostri occhi vedono ciò che il nostro cervello sa riconoscere, ciò che il cervello accetta. Non vediamo la realtà per quella che è, non siamo in grado perché la adattiamo alle categorie dell’epoca di prima. Faccio un esempio: costruiamo una parrocchia nuova. Come la fate una parrocchia nuova? Saloni, salette, saline, come se tutta la vita di fede ancora si svolga lì dentro. È un mito. Capite che noi facciamo una parrocchia nuova come nel modello delle categorie di un’epoca che è morta. Non ci ha insegnato niente il Covid, che si può stare anche nelle case e incontrarci anche in altri luoghi, che si può uscire dal luogo istituzionale per parlare di Gesù, come è sempre avvenuto. Lo stile evangelico era questo, non era uno stile istituzionalizzato, Maria non è stata intercettata nel tempio ma a casa sua, e la gente vuole queste cose, è molto semplice, non è che si aspetta grandi progetti. Però è un’altra logica, capite, non è facile per noi che siamo cresciuti nell’altra. Allora vuol dire saper riconoscere non attraverso le mie categorie (vedere), ma saper riconoscere ciò che lo Spirito sta generando, i germogli.
- Poi non è tanto un giudicare alla luce di quello che già so, ma è interpretare ciò che lo Spirito ci sta dicendo per poi operare delle scelte.
Capite che è un’azione di processo che si basa su una dinamica spirituale che è il discernimento. Il discernimento mi fa uscire dalle mie idee, dalle mie fissazioni, per entrare dentro un ‘io’ spirituale, che è un io relazionale, fondamentalmente. Se voi guardate i documenti del Sinodo che il Papa ci ha chiesto di iniziare – che è già iniziato domenica passata (ndr. 10 ottobre), questa domenica (ndr. 17 ottobre) inizia quello delle Diocesi – parla di questo: è un’azione spirituale. Non stiamo lì a fare discorsi intellettuali, a dirci quello che già sappiamo perché la creatività dello Spirito ci supera, è fastidiosa. Quando io accompagno le comunità religiose in cammini di discernimento, gli dico subito: “Se concludiamo questo discernimento con delle scelte che vi stanno comode, allora abbiamo sbagliato tutto” perché è scomodo lo Spirito, va oltre.
Le tre vie che vi hanno dato sono tre vie scomode, ma è così, sono scomode perché servono per liberarci. La verità ci rende liberi, non ci rende felici. E noi stiamo ancora a fare i percorsi per i giovani sulla felicità, ma la verità ci rende liberi, e io voglio la libertà più che la felicità perché dalla libertà raggiungo la gioia – l’Evangelii Gaudium, che è un’altra roba – sennò adottiamo dei termini che non ci azzeccano nulla.
L’azione della Caritas è un’azione di liberazione, dalle proprie povertà, dalle proprie schiavitù, dalle proprie idee. Questa liberazione parte prima da noi, è un cammino lungo, come l’Esodo. Il cammino dell’Esodo poteva essere più breve in termini geografici, ma Dio gli ha fatto compiere la strada lunga perché non era la schiavitù dell’Egitto fisico da cui dovevano purificarsi, era la schiavitù dell’Egitto interiorizzato che portavano nel cuore, di quelle abitudini che avevano acquisito nel tempo e che erano dure da togliere. Io ci scherzo ma quando accompagniamo le diocesi – restiamo sulle parole – ancora nelle Diocesi usiamo le parole uffici, direttori. Capite che sono parole che noi diamo per scontato, ma a che servono ancora? Non vuol dire che non ci siano dei referenti, dei responsabili, dei team leader – perché la Chiesa sinodale è così – non è più tempo di leader carismatici, né nella Chiesa né nelle aziende, non è più il tempo dello Steve Jobs di turno. È tempo di un processo sinodale di corresponsabilità, dove i leader non sono più carismatici ma sono architetti di spazi comunitari, di confronto e condivisione, architetti di spazi di sinodalità. Il Papa sta facendo questo: certo, cambia il tema della leadership nella Chiesa, cambia la gestione del potere, si, ma la parola potere è bella perché potere è un verbo, non è un sostantivo: vuol dire capacità di generare, o capacità di permettere ad altri di fare. Usiamole queste parole perché sono belle se le usiamo bene. Quando noi non usiamo le parole, sono le parole che usano noi, che creano patologie. Invece la parola potere vuol dire creare e generare, che non comporta perdere per il presbitero la propria identità ma assumere un ruolo diverso.
Sono passaggi delicati, ecco perché il Papa ha chiesto un Sinodo sulla sinodalità: perché c’è tutto questo in gioco, ed è bello, anche se facciamo più fatica noi a stargli dietro.
Vi mostro un’opera di arte contemporanea da titolo “La caffettiera del masochista”. Vedete com’è fatta? Il beccuccio è dallo stesso lato del manico. Che vuol dire? Che voi vi ci potete sforzare, vi potete impegnare, potete fare più riunioni in parrocchia, potete fare più incontri con i genitori, potete fare più iniziative, ma vi brucerete solo di più. Capite la metafora? Il problema non è l’impegno in questo tempo, non è la buona volontà – nessuno mette in discussione la buona volontà e lo zelo pastorale di tutti – il problema è la forma. Se noi non modifichiamo la forma all’interno della quale noi viviamo la nostra esperienza pastorale, noi non ci stiamo più dentro, la gente non ci sta più dentro, e ci facciamo del male, ci bruciamo e bruciamo le persone accanto a noi, che non tornano, che non vengono, ma perché non gli interessa più, non perché ce l’hanno con noi. È questa oggi la realtà, non è una realtà in cui la gente è in conflitto con noi, con la Chiesa, non gliene frega più, ne restano indifferenti.
PERCHE’ VIDEO DOVE ABITAVA
Io amo la letteratura – se leggete gli ultimi premi Calvino, Campiello, Strega… non c’è più l’esperienza cristiana, non appare più, non c’è più nessun riferimento all’esperienza spirituale. E se c’è è il residuo di un passato, dell’infanzia. La letteratura ci racconta della realtà e del sentire. Non è un problema: è un tempo in cui ci chiede di non stare più a rispondere a dei bisogni, rispondere a delle urgenze, ma ci chiede uno scatto. Se si è creata una frattura, una discontinuità rispetto alla realtà, anche noi siamo chiamati a generare delle discontinuità, ma non cambiando tutto perché non dobbiamo cambiare tutto e subito. Anche questo è un mito. “Adesso tutti fate così”: non funziona più in questo modo, il discernimento è un’altra cosa. Si tratta di iniziare a sperimentare qualcosa di nuovo. Il cambiamento profondo non si spiega alle persone, si inizia a fare, a partire da qualcuno. La Chiesa ha sempre cambiato così: attraverso i dinamismi del Regno, richiamando quindi lo stile evangelico, cioè il lievito, il piccolo seme, che attrae. Come i due discepoli del Battista, si fermarono quel giorno con lui – vi ricordate, no? “Dove abiti?”, “Vieni e vedi”, venite e vedrete – si fermarono quel giorno con lui non perché avevano capito qualcosa di chi fosse (non avevano capito niente, manco alla fine avevano capito), ma perché videro dove abitava, perché il modo in cui quelle persone si guardavano era bello, perché il tono della voce di quelle parole che loro dicevano era saporito, perché gli oggetti che hanno trovato in quella stanza erano disposti in ordine in modo bello, perché la cosa che gli hanno offerto era buona. Videro dove abitava.
Quando usciamo dagli incontri di discernimento sinodale che facciamo in piccoli gruppi, non mi interessa che la gente esca dicendo “ho capito”, ma esca potendo dire “è stato bello per noi essere qui”. Capite che sono altri i criteri che oggi siamo chiamati a usare. Non è più per convinzione – diceva Papa Benedetto, poi ripreso da Papa Francesco – ma per attrazione. C’è una bellezza di cui siamo depositari e custodi, non di idee, noi non vendiamo idee ma desideriamo condividere una realtà viva.
Allora proviamo a riconoscere, andiamo avanti ancora e usiamo questi tre verbi – velocemente, non voglio entrare troppo nel tecnico. Analizziamo: qual è il modello delle nostre parrocchie in Italia? Noi giriamo nord, centro e sud Italia e facciamo delle analisi di paradigma. Qual è il paradigma, ovvero il modello sottostante? Quello che condiziona poi i nostri pensieri, le nostre scelte. Usiamo per questo degli strumenti tecnici. Questo perché il paradigma non riesce a vederlo altrimenti. Un paradigma (è un termine anche questo che usa Papa Francesco) è quel modello interiorizzato di cui noi non ci accorgiamo. Ecco, dicevo, faccio una parrocchia nuova e la costruisco secondo un paradigma. Qual è il paradigma oggi della catechesi, di iniziazione? Educativo, sistematico, prendete il sussidio e c’è tutto, che chiede degli esperti, persone formate, e i catechisti chiedono continuamente la formazione perché devi essere un esperto per usare i sussidi, non basta un battezzato. E cosa questo tempo ci chiede, invece? Una catechesi narrativo-simbolica-kerigmatica, che non è sistematica. E noi stiamo lì a decidere se spostare i sacramenti. Capite? La caffettiera del masochista! Il problema non è aggiustare delle cose, è saltato quel modello. E grazie a Dio! Perché li troviamo poi i catechisti a fare una cosa nuova, non li troviamo a fare quello che facciamo adesso, perché chi vuole fare l’oretta settimanale con 20 ragazzini? Per tenerli a bada devo usare la didattica, ma una catechesi kerigmatica si fa in gruppi piccoli, da 7/8. Ma come si fa? Quanti ci servono? Le domande nascono dal vecchio modello, non dal nuovo. Si inizia da qualcuno, senza l’ansia di fare tutto e subito, è così questo tempo. Metodo sperimentale: è una cosa nuova il metodo sperimentale? No, 1400, cambio d’epoca, Niccolò Cusano, teologo, vescovo, filosofo, metodo sperimentale nella teologia. È ovvio che i teologi del tempo gli davano addosso, loro erano sistematici, ma non è il tempo di questa sistematicità, è tempo di riascoltarci tutti.
Allora cosa avviene? Vi sono due tensioni, come nella Evangelii Gaudium, e da queste tensioni emergono quattro modelli. La tensione in basso come vedete dal grafico indica STABILITA’-CONTROLLO, cioè l’attenzione su gestire le attività, fare in modo che tutte le attività funzionino, tutti abbiano un ruolo.
In alto nella stessa tensione all’opposto c’è la DISCREZIONALITÀ, cioè discernere in base alla situazione.
A sinistra abbiamo l’ATTENZIONE A INTRA, l’attenzione su chi c’è già dentro. A destra abbiamo l’azione missionaria AD EXTRA.
Vengono fuori come vedete quattro modelli:
- In alto a sinistra il modello CLAN, una realtà che si prende cura delle persone, sa adattarsi ma rispetta chi è già dentro, perché chi è fuori non ti capisce, usa dei gesti, delle parole, dei riti incomprensibili – è tipico più dei movimenti di solito, che usano un linguaggio e delle modalità molto riconoscibili per chi è già dentro. Il clan è molto bello perché è attento alle relazioni – abbiamo capito dalla pandemia che le relazioni sono la cosa più importante – allora i clan teniamoceli con cura, però chi è fuori è fuori.
- Sotto, in basso a sinistra abbiamo l’APPARATO: che cos’è l’apparato? È attento a tenere le cose unite, ma non sulle relazioni, ma sulla burocrazia. Tutti in parrocchia devono avere un ruolo, tutti in parrocchia devono svolgere un servizio, non ci deve essere il conflitto, tutto deve funzionare, dobbiamo rispondere bene alle richieste che ci arrivano. L’apparato deve gestire bene le cose e tutto deve essere ordinato. L’agenda pastorale deve essere pronta già a fine maggio… Guai arrivare all’estate senza avere fatto tutta l’agenda pastorale perché guai che lo Spirito intervenga e metta in disordine le cose! (scusate, scherzo per alleggerire)
- In basso a destra abbiamo il MERCATO. Il mercato che cos’è? Il mercato si sposta verso la missione però attraverso i prodotti che genera lui. Per cui ti mando io i sussidi, ti mando io lo schema, ti mando io il tutto, e valuto il successo del mio agire sulla base di quanta gente viene, di quante persone mi chiedono, di quanti vengono da me e non vanno nell’altra parrocchia (concorrenza) – il prete che fa il corso più breve, cerca di ridurre il costo, come fanno le compagnie telefoniche. Certo, se poi baso tutto sui servizi, la gente sceglie in base a quelli. C’è una grande associazione di oratori italiani che ha ridotto del 47% i tesserati. Perché? Perché se io baso l’attività sui servizi che ti do, durante la pandemia i servizi non c’erano, perché devo fare la tessera? Anche in Azione Cattolica è successo così, ma io non sto riferendomi all’Azione Cattolica. Perché se l’appartenenza è basata sul servizio e non su una missione, non su un sogno missionario, io pago per ricevere qualcosa, non per partecipare a un cambiamento. Se non c’è quel servizio, perché devo pagare?
- La BOTTEGA ARTIGIANA o chiamiamola ospedale da campo, per risuonare un po’ l’aspetto magisteriale, invece, opera sull’esterno ma attraverso un processo di decentramento, attraverso fare in modo che siano le persone in modo più corresponsabile a decidere insieme. Nella bottega artigiana antica il maestro dava un’idea, dava un indirizzo e poi era il singolo artigiano a cui lui insegnava che dava forma a quella cosa attraverso i suoi talenti, il suo tratto distintivo. Non c’è un modello che è uguale per tutti, ogni soggetto opera in base alla sua realtà mediante un discernimento e dentro un indirizzo, un orizzonte o sogno comune.
Dov’è oggi la Chiesa italiana? APPARATO-MERCATO, questo è il risultato che otteniamo in generale all’interno della Chiesa italiana a livello statistico attraverso questo test. Vedete dove siamo collocati? Nella stabilità-controllo con poco clan, bottega artigiana quella meno, molto apparato e molto mercato. Se tu in parrocchia non fai un servizio, se tu in parrocchia non hai un compito, non sei nessuno, sei ‘quello della domenica’, anzi ti giudicano perché sei solo quello che viene a sfruttare il servizio domenicale. Se tu non fai un servizio non sei nessuno in parrocchia, non hai un nome, non hai un volto. Io sono 8 anni che mi sono trasferito in un paese a nord di Roma, sento durante l’omelia che ‘siamo una casa’, che ‘siamo una famiglia’, ma la domenica quando vado a messa in 8 anni nessuno mi ha chiesto chi sono, non c’è nessuno che mi accoglie all’ingresso. E che casa è dove io posso entrare e girare per conto mio? Capite che è saltata la forma, le parole: non corrispondono più all’esperienza. Mi dici che siamo una famiglia, ma io a livello spirituale e umano non vivo questo, si rischia di restare sul piano ideologico, pura ideologia. Ma non dobbiamo farcene un’accusa, una critica, è che c’è un cambio d’epoca per cui è normale che sia così. Ma siamo chiamati a prenderne consapevolezza per poter procedere oltre.
Per cui il primo passo del discernimento è la consapevolezza. Siamo lì e va bene, siamo lì perché quello serviva prima, in un’epoca di cristianità tu devi gestire; l’epoca precedente avevi una pluralità di esperienze religiose cristiane che dovevi gestire. Andava bene.
Non è più questo tempo. È un tempo, come ci chiede Evangelii Gaudium, di spostarci; ci serve un po’ di struttura, ci servono un po’ di iniziative, ma non è più il tempo in cui devo fare tutto. Io come laico non vado in parrocchia a cercare delle attività, io vado a cercare senso, io cerco senso alla vita. L’uomo non vive per vivere, vive per dare senso alla propria realtà, non va a cercare delle attività. Ormai la vita di una persona la persona ce l’ha fuori dalla parrocchia. Io il divertimento lo trovo fuori. Il gusto intellettuale lo trovo fuori perché ci sono tante cose fatte bene fuori, c’è un mondo che fa cose anche belle al di là di noi, e io in parrocchia non cerco più tutta la mia vita. Una volta la parrocchia era il centro del paese, ma non è più il centro, scordiamocelo. La parrocchia è una casa tra le case, non in mezzo alle case, non è più la fontana del villaggio, non è più il centro… perché siamo una minoranza. La mia parrocchia ha diecimila abitanti: ma diecimila abitanti non corrispondono alla gente che vive la comunità, smettiamo di dire questi numeri. Si, per l’8xmille fanno comodo perché ce lo danno in funzione degli abitanti, è vero… lo dico sorridendo.
Andiamo in chiusura all’ultima slide proprio per rilanciare quanto detto. Perché fare un Sinodo sulla sinodalità? Facciamo un Sinodo sulla sinodalità per riattivare tre dinamismi di partecipazione, missione, comunione:
- Ascoltare: ascoltare lo Spirito, non le nostre idee, non le nostre categorie mentali, i segni dei tempi, il magistero. Questo fa il cammino sinodale
- Liberare: dobbiamo liberare, è un tempo di liberazione, è la libertà che siamo chiamati a vivere, che ci chiede di convertirci, di riattivare dei dinamismi. Ecco le tre vie: sono dinamismi, non sono progetti. Non dobbiamo fare tre progetti, sono tre dinamismi. Ritornare a sognare la Chiesa: voi sapete qual è il sogno della vostra parrocchia? Lo sapete qual è il sogno della vostra unità pastorale? Perché come faccio io a prendere parte, a dare la mia vita a qualcosa…? Ma sì, lo faccio per un servizio. No, io do la vita per un sogno, per una missione, non per un servizio. Altrimenti poi devo subirmi anche un fare paternalistico che per motivarmi dal fare mi si chiede di partecipare ad un incontro di catechesi. Perché ti devo motivare in qualche modo: se ti faccio fare delle cose, come ti motivo? Ti faccio la catechesi. Questo è paternalismo.
- Tessere: ritessere. Ricordate l’immagine iniziale della frattura? Ritessere comunità, ritessere senso, ritessere legami con la realtà